Premio Racconti nella Rete 2016 “La nostra corsa a 6 zampe” di Stefano Battaglini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016Se avete voglia di leggere la nostra storia, allora fermatevi un attimo e rubate solo qualche minuto alla vostra giornata, per ascoltare il mio racconto sul modo in cui, io ed il mio amico Ghigo, ci siamo incontrati. Leggendolo potrete capire come il nostro correre insieme, sia per noi due naturale e comprenderete come questa attività ci abbia permesso di diventare amici inseparabili. Probabilmente posso essere uno dei pochi che può affermare con certezza: “Io ed il mio cane abbiamo sempre corso insieme … praticamente lo facciamo sin dal primo momento in cui ci siamo incontrati!”.
Era il 22 giugno dell’anno scorso ed io, di buon mattino, avevo deciso di fare una corsetta in giro per la campagne della mia zona. Volevo fare un bellissimo giro poco più lungo di dieci chilometri, che ormai chiamo “giro del fontanile” perché a circa metà del tragitto, c’è un bel fontanile con tanta acqua fresca.
Avevo appena iniziato la mia corsa quando incrocio quattro ciclisti che pedalavano nella direzione opposta alla mia. Al loro fianco un bellissimo cane da caccia li scortava felice.
Ho pensato che il cane fosse di uno di loro e senza dare troppa importanza alla cosa ho proseguito per la mia strada.
Percorro poco più di cinquecento metri da quell’incontro, quando sento alle mie spalle il rumore di alcuni passi accompagnati da un respiro ansimante. Mi giro per vedere chi o cosa fosse e vedo dietro di me, quel bel cagnolone incontrato poco prima. Dato che dei ciclisti non vi era traccia, ho subito capito che quel cane non era di nessuno di loro e che probabilmente stava prima seguendo loro, proprio come ora stava facendo con me, insomma si era unito al loro gruppo ma poi aveva deciso di venire con me.
Per farla breve, quel bel cane roscio incomincia a corrermi vicino, anticipandomi a volte, seguendomi per qualche tratto ed aspettandomi quando necessario. Non so come spiegarlo ma sin da quei primi momenti si è creato un certo feeling tra noi ed io da subito, ho iniziato a chiamarlo Ghigo. Non so da dove mi sia uscito, so solo che è venuto così, un po’ come se me lo avesse suggerito lui.
Ovviamente anche se ho continuato a correre, ho leggermente modificando i miei piani per venire incontro alle esigenze del mio nuovo compagno peloso.
Mentre corre al mio fianco mi accorgo che portava intorno al collo una specie di collare. Era qualcosa di molto simile alla “corda” che si usa per tirar su le tapparelle. Guardando meglio noto che quel “collare” non aveva alcun gancio di chiusura. Era semplicemente cucito con del filo. In pratica era un cappio permanente che poteva essere tolto solo usando le forbici !!!. Sia ben chiaro, era abbastanza largo e non gli creava alcun problema, ma restava comunque il segno di una sua condizione che, forse, non era troppo serena.
Dopo qualche piccola e breve sosta all’ombra, arriviamo in prossimità del fontanile e a differenza del solito, mi fermo più del dovuto perché penso che il roscio-pelosone debba avere qualche minuto per riposarsi. Lui si sdraia al fresco dell’ombra di una pianta di fico dalla chioma grande e folta, ed io mi siedo a poca distanza. Visto che fino a quel momento non ci eravamo ancora toccati, faccio un tentativo e provo a chiamarlo per vedere cosa accade. Lui, piano piano, si avvicina e mi permette di passare la mia mano sulla sua testa. Lo accarezzo. Lui, fidandosi, si lascia toccare. Bene! Fantastico! Adesso siamo veramente amici!
Ok, si riparte. Muovo qualche passo, mi giro per guardarlo, lui risponde al mio sguardo, si alza e via, di nuovo al mio fianco verso la strada del ritorno.
Ah, scusate; dimenticavo di dirvi che durante tutto il tragitto, ogni volta che incrociavo qualche altro podista, gli chiedevo se per caso avesse già incontrato quel cane da caccia e, come potete ben immaginare, la risposta che ho sempre ricevuto è stata: “No, mai visto prima!”.
Ormai è quasi un’ora che corriamo insieme quando mi dico: “Niente, deciso! Vieni a casa con me e poi domani vediamo”. Così è stato e come se già ben sapesse quello che stava accadendo, mi segue sino a casa, entra nel mio giardino, si sdraia sotto il porticato e si gode il meritato riposo.
Il giorno successivo chiamo la ASL e parlo con un signore che mi da solo alcune informazioni. Non mi aiuta come immaginavo e l’unica cosa che mi suggerisce di fare, è portare Ghigo da un veterinario, magari vicino casa mia, per verificare la presenza del microchip che come immaginavo e forse anche speravo, non era presente. Il passo successivo a quel controllo è stato girare per tutti i dog-park, i negozi di animali ed i circoli cinofili della mia zona, chiedendo notizie e lasciando volantini del ritrovamento.
Fino a questo momento tutto sommato la storia è andata bene; un umano fortunato che ha il privilegio di incontrare un bellissimo cane che senza alcuna costrizione, rinuncia ad un pezzo della sua libertà e decide spontaneamente di essere amico di quell’uomo incontrato per caso. Tutte le belle storie che si rispettino però, hanno sempre un momento in cui qualcosa, improvvisamente ed inesorabilmente si complica.
Due giorni dopo il nostro incontro, il mio amico breton incomincia a comportarsi in modo strano. È mogio mogio e con lo sguardo un po’ malinconico. Quell’atteggiamento però pensavo fosse dovuto alla sua sensazione di abbandono. Insomma trovarsi lontano dal proprio padrone ed in una casa nuova, non doveva essere una condizione così allegra. Altro fattore che ha ingannato la mia percezione della situazione che si stava verificando, è che conoscendolo solo da pochi giorni, non avevo alcun termine di paragone. Per capire e notare un comportamento strano, bisogna prima conoscere quali sono le condizioni normali e ciò è possibile solo dopo essersi frequentati almeno per un po’. Insomma, io il suo comportamento normale non sapevo quale fosse!
In quei primi giorni mangiava anche poco, ma anche qui davo la colpa al caldo ed alle “nuove” crocchette che gli proponevo. Mi dicevo: “Magari sino a ieri ha mangiato pasta alla amatriciana ed involtini … come possono mai piacergli queste crocchette !?!?”. C’era qualcosa che non mi tornava ma davo la colpa al suo sentirsi smarrito ed alle nuove pietanze non troppo succulente. A quel punto decido di provare con qualcos’altro; apro il frigo per vedere cosa posso “rimediare” e noto che ci sono dei würstel di pollo. Ne prendo uno e glielo do … lui felice se lo mangia.
“Tutto bene” mi dico, e mi tranquillizzo un po’.
La mattina dopo appena sveglio, scendo e mi accorgo che c’era del vomito sul pavimento. Anche se questo mi preoccupa, penso che la colpa sia del würstel del giorno prima. Ok, andiamo dal veterinario! Sveglio i miei bambini, era sabato mattina e la scuola non c’era, e gli dico che dobbiamo andare dal dottore del cagnolone perché dobbiamo curare il suo male al pancino. Mai avrei immaginato quello che stava per accadere.
Ghigo è sempre più stanco e svogliato. Respira non troppo bene e non ha forze. Altri sintomi strani non ci sono e l’unica cosa anomala è stato il vomito, che però non si è più ripresentato.
Arriviamo dal veterinario, menomale siamo i primi. Entriamo e da subito la dottoressa mi dice che la situazione non la convince affatto. Metto il cane sul suo tavolo, lei alza il labbro superiore destro di Ghigo … e mi dice: “Ha le gengive bianco perlacee e ciò significa che non sono più vascolarizzate. Questo cane il sangue in giro non ce l’ha più. Sicuramente ha una grave emorragia interna!”.
Il mio di sangue a quel punto si gela, la guardo attonito, lei capisce la mia paura … mi tranquillizza un po’ e mi dice che c’era bisogno di fare subito una trasfusione.
Mi chiede se fosse successo qualcosa di strano ed io le racconto che non posso saperlo perché, quel cane ed io ci eravamo incontrati soltanto pochi giorni prima. Per me il suo passato era appena iniziato. Lei mi guarda e mi dice che probabilmente prima che ci incontrassimo, sicuramente spinto dalla fame, si era accontentato di mangiare qualche esca avvelenata per i topi, trovata chi sa dove. Questo tipo di veleno ha purtroppo un effetto silenzioso ed è studiato per uccidere con un’azione inesorabile ma poco evidente. Agisce sul sangue andando a modificarne la normale densità e nei cani il suo effetto può manifestarsi anche molti giorni dopo l’ingestione. Le conseguenze sono purtroppo delle emorragie interne molto gravi che se non curate per tempo, risultano essere quasi sempre mortali.
Mi faccio coraggio e cerco di capire bene le sue spiegazioni quando mi dice che per la trasfusione, avevamo pochissimo tempo e se non ci fossimo sbrigati, con molta probabilità, il cane sarebbe morto.
“OH MAMMA MIA! Che faccio?!?!”. Non dimenticatevi che mentre tutto questo accade, in sala d’attesa ci sono i miei due bambini di 12 e 5 anni che aspettano il loro nuovo cagnolone con il mal di pancia. Ok, stiamo calmi! La dottoressa mette una flebo a Ghigo e mi lascia andare ad accompagnare i ragazzi a casa. Li porto da mia madre alla quale spiego sommariamente la situazione ed incomincio ad andare in giro per tutti i luoghi frequentati dai cani, iniziando a chiedere aiuto per una trasfusione “canina”. Anche se spiego che è solo una donazione di sangue senza alcuna conseguenza per il donatore, proprio così come avviene per le donazioni “umane”, nessuno mi aiuta.
Solo due ragazze romene molto giovani mi dicono di si ma una volta tornati all’ambulatorio veterinario, la dottoressa scarta il cane perché pur essendo della taglia giusta è ancora troppo giovane. Porca miseria e adesso!?!?!? Il tempo stringe! Ho praticamente perso le speranze quando uscendo fuori dallo studio, alzo il mio sguardo e vedo una signora che passeggia con il suo bellissimo cagnolone simil-maremmano. Bello, grosso ed anche un po’ sovrappeso ;).
Mi avvicino, le spiego velocemente la situazione e lei molto educatamente e con naturalezza mi dice: “Certo che ti aiuto, tu avresti sicuramente fatto la stessa cosa per me ?!?!?!”.
Rientriamo di corsa nell’ambulatorio … il cagnolone sovrappeso sul tavolo … il suo sangue rosso e vivo inizia a riempire una sacca … adesso tocca al MIO Ghigo che, finalmente, inizia a riavere un po’ di vita nelle sue vene.
Anche se il peggio è passato, la veterinaria mi spiega che avevamo bisogno ancora di parecchi giorni di cure molto importanti. Specialmente i due immediatamente successivi alla trasfusione erano da considerarsi di prognosi riservata e per quarantotto ore almeno, Ghigo doveva fare una puntura di vitamina K ogni quattro ore.
Quei giorni sono stati duri ma Ghigo è stato forte, anzi molto forte. Un piccolo cane da caccia che ha saputo fidarsi di me e che mi ha dato la possibilità di aiutarlo a diventare il fantastico amico a quattro zampe che adesso anche voi conoscete.
Questa è la nostra storia che con molto piacere ho voluto raccontarvi. Ve l’ho regalata con la speranza di riuscire a strapparvi qualche sorriso e sono sicuro che da questo momento in poi, quando mi sentirete dire che è stato Ghigo a trovare me, riuscirete ad interpretare molto meglio questa mia strana affermazione … Ciao!
Gradevolissima la forma colloquiale con il lettore che hai scelto per raccontare questa splendida storia di amicizia. Bravo!
Grazie Maria! Sei molto gentile.