Premio Racconti nella Rete 2016 “Il labirinto” di Maria Carla Renzi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016Un lungo corridoio sfocia in una stanza davvero grande. Mentre lo percorro so già cosa mi aspetta, infatti ecco lì, al centro della stanza, il letto con sopra un lenzuolo di carta bianca.
Due giovani uomini prestanti e simpatici mi salutano e, mentre mi tolgo la gonna e abbasso le mutande, mi sorridono.
Lungo una parete sono appese varie forme di leggera resina che attraggono la mia attenzione: “Tante, eh?” chiedo ai due avvicinandomi al letto. “Eh, sì! “ mi risponde uno. L’altro intanto mi fa sdraiare con delicatezza, poi, insieme, mi acchiappano per le cosce e per i fianchi sistemandomi così come a loro pare giusto.
Mani sicure le loro: forti, calde, esperte.
Non avrei mai creduto che nella vita mi sarei trovata in una situazione del genere, anche se, a pensarci bene, non bisogna mai escludere niente, quindi perché non mi sarebbe potuta capitare un’esperienza simile ?
Io quasi nuda in una camera con due bei ragazzi giovani e forti. Ma senti te che vado a pensare in un momento per me così delicato! Avessi avuto trent’anni, chissà, forse… ma non è più cosa, adesso, neanche per un pensiero veloce. Certo che l’immaginario di una persona se ne va dove gli pare nei momenti che meno te lo aspetti.
In realtà, il percorso nel labirinto che mi ha portato all’inizio di quel corridoio è stato lungo quasi sei mesi e solo da lì, dove sono appena arrivata, potrei trovare la via dell’uscita. Le siepi sono alte, fittissime, intricate e spinose, e le sto affrontando senza cesoie né seghe ma a mani nude.
Il mio Bruno è rimasto fuori ad aspettarmi. Lui, con le cesoie, saprebbe cavarsela molto bene, ma stavolta me la devo vedere da me: non posso usare il suo amore , non ora.
Lui può solo farmi trovare una buona colazione insieme al giornale del giorno, per rifocillarmi dopo, nel corpo e nella mente. E’ sempre stato puntuale in questo.
Così, dopo una mezz’ora, ripercorrendo all’indietro quel corridoio, porto con me notizie scarse di ciò che ho fatto o di ciò che ho pensato lì dentro. Mica sarebbe carino da parte mia raccontare tutto tutto. Anche per non fargli immaginare chissacché.
E’ come quando nel sonno ti coglie inaspettato un sogno un po’ osè, mica lo puoi raccontare a tutti ! Meno che meno al tuo uomo.
Va bene, per ora ho scherzato abbastanza, devo essere seria. Domani dovrò tornare qui.
***
Per trenta giorni lavorativi ho frequento questo posto , oggi è l’ultimo.
Ho una certa emozione mentre saluto i miei due giovani compagni che mi sono stati vicini in questa mia avventura, anche se era il loro lavoro.
Ripercorro il corridoio fino alle scale. L’ascensore mi riporta su. Il grosso è fatto anche se non è finita. Bruno è in macchina pronto a partire non appena io mi sia seduta vicino a lui.
Contrariamente a quanto mi aspettavo, le cose sono state, fin qui, lisce e facili.
Molto è dipeso da chi ho incontrato fin da quando la sorte, estraendo il mio numeretto, mi ha spinto violentemente all’imboccatura del labirinto chiudendomi ermeticamente la porta alle spalle. Ho solo guardato se ci fosse la possibilità di riaprirla, ma non ho perso tempo a sbattere i pugni contro il piombo pesante di cui era fatta. Sarebbe stato del tutto inutile.
Quindi ho dovuto procedere in avanti e l’ho fatto con passi veloci, cercando di fregare il tempo col suo stesso ritmo. Tanto non si sarebbe fermato per favorirmi, per cui era meglio che non poltrissi e mi dessi da fare in fretta.
In questo Bruno è bravissimo, non perde tempo a parlare e subito ti offre il braccio per accompagnarti dove è necessario andare, senza neanche aspettare il suono della sveglia.
In realtà, senza bisogno di dirmelo, lui ha deciso che il labirinto lo avremmo esplorato in due, magari uno fuori e uno dentro, ma che insieme avremmo visto come sarebbe andata a finire. Un altro dei nostri tanti viaggi, anche se questo lo avremmo fatto senza Camper.
Questo labirinto è immenso, ingarbugliatissimo, e a malapena riesci a seguire uno sbiadito tracciato dove poggiare i piedi. Non ha niente a che fare con i bellissimi e potatissimi labirinti della corte di Versailles, dove chiunque può giocare a perdersi ma, per non perdersi davvero, le siepi sono abbassate a piacimento. Piuttosto ricorda gli incubi che ti svegliavano in piena notte, da bambino, quando potevi giurare di aver incontrato l’Orco.
Il mio labirinto è un misto tra quello sotterraneo dell’etrusco Porsenna, ricco di stretti ed oscuri cunicoli, dove procedi al buio più totale, brancolando di qua e di là, senza il minimo senso dell’orientamento, e quello che, a Cnosso, imprigionò gli stessi costruttori , tanto che dovettero applicarsi con la cera delle ali posticce per poterne uscire volando; ma ad Icaro andò male, come tutti sappiamo.
Questo tipo di labirinti non sono per niente divertenti. Se non sei saldo rischi perfino di uscirne pazzo, sempre che uno, che là dentro è diventato fuori di testa, riesca a trovare il modo di uscirne. Certo, può perfino essere un pazzo fortunato. Perché no ?
Io non credo di essere pazza, ma sicuramente sono fortunata visto che in quest’orrido labirinto senza forma che s’insinua dovunque, sia nel sottosuolo che nell’oceano o negli uragani tempestosi, trovo segnali benigni, scritte, parole, disegni, musiche che mi dicono che non sono sola. Non lo sono mai stata.
Le forme di resina appese alle pareti della sala del Sincrotrone mi dicevano infatti che tutti quelli che passano di lì, non sono soli; molti di loro usano quelle forme personalizzate, a seconda della necessità. Ebbene, da qualche parte c’è chi le ha ideate, chi le ha disegnate e chi ne ha fatto il calco prima di colare nello stampo la resina per l’oggetto al positivo.
E questo solo per parlare di una piccola cosa nel mondo chiuso di questo labirinto.
Ma anche quell’apparecchio che ricorda un Mammuth che domina il centro dell’ambiente e che si allunga protettivo sopra il lettino con il lenzuolo di carta, anche lui è stato ideato, studiato, costruito, provato, installato per essere usato. Dalla prima analisi sospetta ti accorgi che migliaia di persone adesso, prima e pure in seguito, ti stanno al fianco, lasciando ognuno nel tuo labirinto un sacco di cose utili.
Mentre avanzo, più nel tempo che nello spazio, mi accorgo di appoggiarmi a quelle intelligenze e non ai muri o alle piante che mi ostacolano.
E’ tanto che cammino qui dentro, ma, se guardo bene stringendo gli occhi da miope, là dove si aprono degli squarci nelle volte altissime,mi pare di intravedere degli spazi di un cielo che inizia a perdere la sua nera profondità, lasciandosi colorare con delicatezza continua da un chiarore appena intuibile. Forse l’uscita non è troppo lontana.
Ad Icaro si sono staccate le ali e sicuramente ha sofferto nel precipitare, ma mentre bisogna riconoscere che la sua vita è stata breve, tuttavia bisogna dire che, con il suo coraggio ed il suo ingegno, ha potuto provare perfino a raggiungere il Sole.
Mi piace questo racconto. Intenso e emozionante. Mi piace com’è scritto, il ritmo narrativo e la protagonista che, forse, non è (solo) la paziente, ma la speranza. Complimenti e auguri
Magistrale , intrigante, spiritoso, l’inizio inganna il lettore ma poi indica
Lo spirito giusto per affrontare la vita estraendone positività anche nelle situazioni avverse.
Maria Carla, questo racconto mi ha lasciata in una situazione di passaggio, come sospesa tra il sogno e la cruda realtà, tra la speranza di vita e la fine di quel filo a cui siamo appesi, la vita appunto. Scrittura che, nelle emozioni che descrive, sembra a volte di una bambina, a volte di una persona anziana, a volte di una persona adulta. All’inizio stavo quasi per abbandonare la lettura, non so perché, ma lo dico con onestà. Poi, piano piano, con nauralezza e spensieratezza, con durezza e sorriso, mi sono abbandonata ai tuoi pensieri. Eventi ed emozioni reali, che parlano di un vissuto..Racconto profondo nella sua semplicità. L’attaccamento alla vita non è ossessivo, ma naturale e quasi sognante, perchè trova una spiegazione ad ogni cosa. Maria Carla, i tuoi occhi e il tuo cuore sono interessanti..
Complimenti! Nel mondo non si trovano facilmente i Bruno come lui. Un racconto toccante. In bocca al lupo!