Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti per Corti 2010 “L’ultima corsa” di Alessandra Ponticelli Conti

Categoria: Premio Racconti per Corti 2010

Bevve velocemente una tazza di caffè, si alzò dalla sedia e dalla parete sopra il frigorifero tirò giù la lavagnetta di ardesia nella quale di solito annotava le cose da comprare. Nestore viveva da solo. Cinquant’anni suonati, un impiego alle poste, Il Nes era un tipo solitario. Nè bello nè brutto, si considerava un mediocre. Detestava se stesso, il mondo intero e odiava il suo nome. Specie da quando era uscita quella bufala di film di quel ” coatto” di Alberto Sordi, intitolata Nestore, l’ultima corsa.  Spesso, durante la giornata, ci ripensava e a voce alta gridava: ” Il nome di un cavallo, magnifico! Ecco cosa hanno saputo lasciarmi quei due stronzi dei miei genitori!”. Per lui niente relazioni sociali, nessuna amicizia; solo quel cavolo di lavoro che gli aveva trovato sua madre, quella deficiente, andandosi a raccomandare a destra e a manca. La vecchia, per fortuna, non ce l’aveva più tra i piedi, e questo era comunque un bel vantaggio.

Con un gessetto bianco scrisse: ” 10 agosto. Bertani, oggi è il tuo giorno”. Il Bertani era quel rompipalle del suo vicino. Non lo aveva mai potuto soffrire. Gli era rimasto indigesto dal primo giorno che era arrivato. In otto anni: ” Buongiorno” e ” Buonasera” erano le uniche parole che si erano scambiati. Sul pianerottolo, ogni volta che lo incrociava, volentieri gli avrebbe allungato un cazzotto su quel faccione ridente. E invece no. Mai che gli fosse riuscito. Gli rifilava il solito sorrisetto, e poi, quando quello aveva sceso le scale, si ritrovava a biascicare a mezza bocca un: ” Vaffanculo Bertani…Di cuore. Vaffanculo”.

Ora aveva deciso. Lo avrebbe fatto fuori. Una volta per tutte si sarebbe liberato di quell’essere viscido, insopportabile, del quale non sapeva nulla, che non gli aveva fatto un accidente, ma che lui non reggeva. Lo avrebbe invitato a cena. L’idiota, sicuramente, avrebbe accettato e, cretino com’era, avrebbe anche detto:”Che pensiero gentile! Era ora che facessimo amicizia!”.

L’afa di agosto si faceva sentire. Nestore si asciugò il sudore dalla fronte con il fazzoletto che teneva in tasca. Si diresse in bagno. Dall’armadietto delle medicine estrasse un flaconcino pieno di digitale. Quella che sua madre usava per il cuore. La rovesciò dentro una bottiglia di whisky e telefonò al Bertani.

Alle nove di sera il nemico suonò alla porta. Si presentò con una polo a righe color amaranto e con in mano un vassoietto di pastarelle. ” Si accomodi”, disse Nestore, ” anzi, accomodati”, aggiunse, ” possiamo darci del tu, non è vero?”. La tavola era già apparecchiata. I due scambiarono qualche parola sul caldo atroce che levava il respiro e poi si sedettero. Il Bertani, tra un boccone e l’altro, cominciò a raccontare un po’ di cose della sua vita. Del lavoro in banca, della sua mania per le donne, mentre Nestore lo ascoltava, fingendo di ridere di tutte le idiozie che ogni tanto quell’imbecille metteva in fila. ” Parla, parla ora!”, diceva tra sé soddisfatto, ” perché tra poco non ne avrai più il tempo”.

Finito di mangiare, i due andarono in soggiorno. Il Bertani, un po’ aggravato dalla cena, si stravaccò sul divano e, allegro come sempre, chiese: ” Perché mi chiami ancora per cognome?…Mi chiamo Roberto. E dacci un taglio con questo Bertani! A proposito, tu come ti chiami?”  ” Nestore”, rispose l’altro, mentre sentiva il sangue salirgli al cervello. Il Bertani cominciò a sganasciarsi dalle risate e a urlare nitrendo: ” Hhiiii! Hhiii! Nestore!”. Come impazzito, anche il povero Nestore si mise a ripetere all’infinito lo stesso verso, e, soprappensiero, ingurgitò un bicchiere intero di whisky, senza aver capito che l’altro era astemio.

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