Premio Racconti nella Rete 2016 “L’isola persa” di Carlo Nardi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016Si è persa ormai da molto la storia dell’isola di Edawa. Si è persa perché non si trova più nessuno che ne abbia sentito parlare. E nessuno ne ha sentito parlare perché non c’è più nessuno in vita che avendola ascoltata l’abbia potuta raccontare.
Edawa è una lontana isola rocciosa e quasi desertica. Un occhio esperto direbbe che il grande masso dovrebbe essere di recente formazione ed il risultato di una eruzione di uno di quei tanti vulcani che, prossimi alle faglie, eruttano dal fondo dei mari. Un occhio esperto non può però scendere più in profondità.
Nel terzo secolo dell’era Eda che risulta difficile datare non essendo più nota né l’era ad essa precedente né quella ad essa successiva, l’isola era un rigoglioso parco. Il culto della popolazione era per la natura ed ogni liturgia era espressa dalla cura del terreno, degli arbusti e delle piante. Natura ed artificio dialogavano nel grande giardino dell’isola. Il divino scorreva sorgeva dalla terra salendo verso l’alto con la linfa delle piante. Sole e aria per gli Edawi prestavano il loro servizio alla terra.
Nei secoli il popolo sentì l’ispirazione di un’attesa. Qualcosa che mostrasse loro il fondamento vitale capace di vincere la caducità nei cicli delle stagioni. Timorosi che all’inverno non seguisse più una primavera attendevano la venuta di quello che loro chiamavano il Grande Giardiniere. Nessuno ne parlò mai come di una rivelazione, l’idea sembrò insita nel più profondo degli Edawi, nella loro linfa rossa.
Dopo secoli di pacifica e disattesa attesa un piccolo gruppo di giovani particolarmente esperto nella cura delle piante iniziò con l’intelligenza, la pazienza ed un occhio attento ai grandi alberi dell’isola a tentare nuove vie nel culto, nella cura. Scoprirono che la natura poteva essere piegata ben oltre le apparenze. Arrivarono, spaventati, a capire che poteva essere annullato il prodigioso effetto della crescita. Capirono che ogni grande albero poteva essere bloccato nella sua crescita riducendo progressivamente la terra da cui prendere nutrimento attraverso dei vasi e manipolando ad arte con tagli netti, nel rispetto dei cicli stagionali, le radici.
Nel giro di qualche anno affinarono la loro tecnica ricreando in vaso delle miniature dei grandi alberi e gustando il grande potere di ridurre una parte del loro mondo a piccola creatura. Nel loro ritaglio di terra raccolsero decine di Aperi, Dondori, Malsi, Forvi, Adacee, Merene, Morle. I nomi non sono più significativi dato che non c’è più nessuno capace di dirci a quali delle nostre piante somigliassero queste specie dai nomi oscuri.
Capendo che il loro non era un sacrilegio ma solo un trucco di perizia ritennero di mostrare i loro prodigi agli altri Edawi a mo’ di gioco. Nottetempo dislocarono i loro vasi, ovvero delle rocce scavate ad incavo, presso abituali ritrovi del popolo. Al mattino, col clamore di uno strepito, si rincorsero le voci che il Grande Giardiniere era finalmente venuto. I segni che testimoniavano la venuta erano ovunque: i grandi alberi si erano fatti umili. Sospiri di stupore e risolini di gioia si rincorsero. Un fervore loquace aveva colto tutti. Gli anziani erano felici di aver vissuto così a lungo da poter assistere all’evento, i piccoli amplificavano l’entusiasmo che percepivano, gli uomini setacciavano l’isola alla ricerca di altri segni e le donne preparavano le case con maggior decoro. Poche erano le voci turbate ma aumentarono man mano che passava il tempo dato che nessuno vedeva il Grande Giardiniere. L’emozione gioiosa iniziò a virare al timore. Che fossero invece dei segni malauguranti? Si moltiplicarono capannelli preoccupati, veglie alla luce del fuoco ed eccessi di nervosismo isterico.
Visto, dopo neanche tre giorni, il clima che si era creato i giovani artefici della beffa vennero allo scoperto spiegando con calma e prove certe la loro tecnica. Mostrarono i loro vasi e le piante in corso di trattamento.
Il clima nell’isola di Edawa si rasserenò. Qualcuno si sconfortò. Molti iniziarono a pensare che il Grande Giardiniere non sarebbe mai venuto e che era data a loro la responsabilità della cura del Suo giardino.
Una notte però l’aria sembrò essere troppo calda e un sibilo di vento strisciò tra le case in direzione dell’oriente. All’alba uno stormo di uccelli cominciò a girare in cerchio sopra l’isola. Poi, come una spirale si avvitò fino a sparire in alto.
Un giovane con una veste strana, diversa da quelle candide degli altri Edawi, iniziò a percorrere un sentiero che conduceva al centro del grande villaggio. Ai lati del sentiero erano fioriti di colori inusuali tutti gli arbusti. Il giovane, con gesti benedicenti e una voce soave, intonò un canto alla natura e richiamò l’attenzione dei curiosi. Chiamò tutti ad avere sentimenti di cura, rispetto e gratitudine. Parlava di ciò che era stato loro affidato, un Paradiso, così lo chiamò. Per quanto avesse una voce delicata sembrava raggiungere le orecchie di tutti, come un tuono, dicendo che chi aveva saputo vivere nell’attesa ora poteva gioire della pienezza del tempo.
Qualcuno iniziò a sogghignare: “Eccone un altro”. Altri voltarono le spalle annoiati da un nuovo scherzo ormai non più originale. I più non si distolsero dalle proprie occupazioni. Qualcuno si chiedeva chi fosse e se fosse stato mai visto da nessuno quello squilibrato. In un’eruzione di risa, nell’immediato, e di indifferenza seguente ognuno tornò alle proprie occupazioni.
Il giorno dopo la cosa si ripeté ma i piccoli segni che il giovane mostrava non colpivano più nessuno dato che era solo l’acquisizione di un po’ di maestria che governava quei piccoli giochi vegetali, ovviamente.
Ogni mattina con modi diversi il giovane tentava di trovare qualcuno disposto ad ascoltarlo finché una notte l’aria divenne improvvisamente molto fredda. Gli Edawi, al termine della notte, insonni, uscirono dalle case, interdetti. Guardarono ad est cercando i primi chiarori dell’alba. Apparve una luce rossastra tenue. Attendevano il sole. La luce aumentava però con troppa velocità. D’un tratto la terra tremò. Un forte boato scosse ognuno degli Edawi. Dal lembo orientale dell’isola s’innalzò una colonna di fumo.
Nel giro di poche ore una coltre di roccia fusa coprì ogni casa, pianta, fiore e arbusto dell’isola.
Tanto triste un racconto senza un commento..voglio essere io la prima.Ho pensato alla parabola del tuo raccontino…come gli ebrei in fuga nel deserto che aspettavano il ritorno di Mosè, salvo poi non capirne assolutamente il messaggio, una volta questi tornato. Ci aspettiamo sempre qualcosa , una guida , un grande Giardiniere..di questo strano racconto mi è piaciuta l’atmosfera da ‘Shangri lah ‘, da sogno antico e da punizione biblica.Spero che altri leggano e commentino, io son la prima , però! Ciao Carlo!
Ciao Carlo. Ti do del tu, non ci conosciamo, lo so, forse sono maleducato. Non so quanti anni hai, se sei più o meno grande di me.
Attento che hai davanti un mostro che distruggerà il tuo racconto e ti seppellirà di appunti di “vuota formalità”.
Sto scherzando, naturalmente, “io non sono cattivo, è che mi disegnano così”.
A parte gli scherzi, ora mi ci metto serio: la trama è meravigliosa, poetica, sognante, fiabesca. Mi sono innamorato dell’isola e dei suoi abitanti. Bravo!
Avrei voluto che mi tratteggiassi un po’ di più i personaggi: sono rimasto con la curiosità di sapere com’erano fatti, com’era strutturata la loro società, che cosa facevano, quali sentimenti provavano.
L’hai letto ad alta voce a qualcuno? O a te stesso? Se non lo hai fatto, fallo!
Ciao e buona scrittura.
Grazie per la premura, Laura. Quando ho inviato il racconto ero curioso di sentire qualche impressione poi, piano piano, non me ne sono più curato. Ho voluto scrivere un racconto fuori dal tempo. Sì, forse un sogno antico, come dici tu. Non aveva fretta di essere trovato. Detto questo, mi fa piacere che a qualcuno abbia comunicato un’atmosfera. Ciao Laura
Ciao Costantino, va benissimo il tu. Sono contento che ti sia piaciuto. Chissà che la tua curiosità non possa essere soddisfatta in altra forma… sono stato molto sintetico ma forse un domani l’isola potrà popolarsi; qualche viaggiatore la raggiungerà; potrà arrivarci un diario di spedizione; nel frattempo accolgo il tuo suggerimento: lo leggerò ad alta voce.