Premio Racconti per Corti 2016 “Seratina piccante” di Francesco Cozza
Categoria: Premio Racconti per Corti 2016Non riuscivo a nascondere la mia impazienza, era pur sempre la prima volta che restavamo soli in casa.
L’avevamo fatto in macchina, sperduti nella notte fra viuzze aggrondate di alberi neri e cupi che il vento piegava sopra le nostre teste .
Lei era ancora più bella di quanto lo fosse stata al chiarore di luna nelle nostre notti d’imbosco, notti che il buio addolciva facendo risplendere la sua pelle di bagliori in fuga .
Le sue cosce lisce, il seno morbido e generoso, tratteggiato dai chiaroscuri che la luna effondeva tagliando con le sue lame di luce l’interno della macchina, permanevano sotto le mie palpebre nitidamente, impressionati nella camera oscura dall’estasi accecante di quei momenti.
I miei erano fuori da qualche parte e per qualche tempo, io il padrone del castello, lei la mia regina.
Aveva accettato l’invito a cena e i resti delle pizze nei cartoni , le bottiglie vuote delle birre, sei, adesso ingombravano il tavolo bianco della cucina.
Diedi un sorso alla sua terza birra; non l’avrebbe finita .
Poi mi alzai, mi piegai su di lei seduta, per un bacio ai peperoni sulle labbra rosa e lucide di rossetto, tentai d’aprirle la bocca usando le labbra, la strinsi a me, lei mi spinse via sorridendo.
-Stasera non voglio .
-Cosa non vuoi ? – chiesi io, avvertendo salire il tono della mia voce in cui riconobbi un’eco di risentimento e delusione.
-Lo sai cosa – Mi sorrise ancora, calma, tiepida, come il mare la notte.
Non volevo litigare, non avevamo mai litigato, non volevo darle una soddisfazione che mi mortificava.
-Non c’e’ nessun problema.
Mentii senza convinzione, mentre lei , che mi aveva preso la mano tenendola fra le sue, giocava con le mie dita e, con il capo piegato, studiava miei polpastrelli con la meticolosa attenzione di un
ricercatore rapito nel microcosmo che si schiude dentro al suo microscopio.
Alzò la testa e mi guardò facendo ondeggiare i capelli lunghi lisci e castani che le incorniciavano il viso guidandomi negli occhi suoi, allungati e sorridenti, profondamente neri.
Ricambiai il suo sguardo e lei arricciò le labbra e il naso facendomi una smorfia che doveva essere la mia imitazione, mi scappò una mezza risata, un sorriso di scherno le si dipinse sulla bocca.
La prima volta che la vidi m’innamorai subito di lei, delle sue labbra, della sua cinguettante risata entro cui nascondeva piccoli dentini dritti e bianchi bianchi.
Quando era concentrata le si serravano rimpicciolendosi in corti segmenti pallidi e stretti.
La rimiravo e cercavo in lei i segni del nostro stare insieme, si fece seria e con gli occhi m’inchiodò .
-Ti piaccio?
Non era un mistero, glielo avevo detto tante di quelle volte da annoiare me stesso .
Mi attirò a se restando seduta, le sue manine si misero a slacciare i bottoni dei jeans , non osavo dire una parola, se avessi rovinato l’incanto avrei potuto prendere in considerazione l’autodistruzione .
Le manine abilmente liberarono l’asola dell’ultimo bottone, poi, dopo aver indugiato con dei piccoli sfioramenti sul rigonfiamento dei boxer, in un colpo secco, li tirarono giù.
Cosi fui libero.
Stava per succedere, l’avevo sognato, immaginato, sperato milioni di volte.
Sinceramente mi ero augurato di sposarla in un indefinito e lontano giorno d’ottobre nella cornice fresca e ombrosa di una vecchia chiesetta di paese, di avere da lei due figli sani, grassocci e rosei e condividere per il resto delle nostre vite gioie e dolori, ma il desiderio era adesso, reale e inquantificabile, come il colorarsi di rosa di un futuro che comincia a prendere la forma sperata.
Quel viso a un centimetro da me era il momento più bello della vita.
Chiusi gli occhi quasi scaramanticamente per sentire senza vedere, per essere parte infinitesima e perfetta delle pieghe dell’universo.
Il mondo svaniva in barlumi trascinati vorticosamente via da me.
Non c’era altro.
Aprii gli occhi per condensare tutti i sensi nella perfezione di un riuscito istante, ma non feci in tempo a guardare,
percepii un lieve pizzicore che divenne repentinamente fuoco, tutto si trasformò in una fornace ardente che mi ustionava in ogni millimetro.
Mi trattenni resistendo non più di un istante poi esplosi in un urlo d’agonia non umano ritraendomi di scatto con mio evidente rischio .
Lei era terrorizzata io stavo rovesciandomi addosso un bicchiere d’acqua gelata, m’ero inzuppato per bene i pantaloni,ci guardammo stralunati e trafelati negli occhi.
Poi lei disse,
-Oddio, mi dispiace, scusami troppo peperoncino sulla pizza !
Io sarei andato di corsa a lavarmi col sapone! Però il racconto è davvero divertente. Complimenti.
Divertente, ottimo twist finale!!