Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2016 “Stelle dell’isola” di Ottavio Mirra

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Quell’estate avevo preso in affitto un piccolo appartamento a Procida. Due stanze e un bagno a piano terra che affacciavano in un vicolo in fondo al quale si intravedeva il mare. Non avevo trovato di meglio, ma mi andava bene lo stesso. Mi trasferii nell’isola per l’intera stagione, con l’intenzione di trovare però una sistemazione migliore. Era questo il patto con il proprietario dell’appartamentino. Non avevo a quel tempo problemi lavorativi, nel senso che non lavoravo affatto, ma potevo contare su solide basi economiche. Insomma la grana non mi mancava. Tutto questo mi procurava una formidabile eccitazione, perché combaciava magnificamente con il mio carattere indolente e ozioso. Ero libero rispetto a tutti quelli che mi stavano intorno. Libero rispetto all’edicolante, che pur vivendo in un posto turistico era costretto a stare tutto il giorno in quella specie di grotta che gli dava da vivere. Con i quotidiani ammonticchiati in due angoli, suddivisi in pile, i giocattoli da mare, salvagente gonfi di tutte le forme, pinne e maschere scadenti. Libero rispetto al salumiere, che apriva quasi all’alba e chiudeva a notte fonda, con una carnagione così pallida che credo non abbia mai visto il sole. Libero rispetto al proprietario dell’appartamentino che occupavo, che pur di non perdere l’affare, aveva accettato la condizione che gli avevo imposto. L’elenco sarebbe lungo, quanto tutti gli abitanti dell’isola. Solo io in quei giorni potevo fare esclusivamente ciò che avevo voglia di fare e non altro. Nessun obbligo, nessun dovere, nessuna cortesia. Nessun bisogno di stringere rapporti umani. Avevo la grana e questo sarebbe bastato a risolvere qualunque problema fosse intervenuto. Non dovevo preoccuparmi di nulla, neppure della spesa quotidiana. C’erano persone, in numero imprecisato, che andavano e venivano da casa e provvedevano a tutto. Erano loro che cucinavano, mi rifacevano il letto e le stanze, provvedevano a lavare e stirare biancheria e vestiti. Chi fossero non l’ho mai capito, né ho mai saputo chi li pagasse. A dire il vero non avevo alcuna curiosità in proposito. Per me rappresentavano solo una sorta di optional in regalo, del quale approfittavo senza chiedere spiegazioni.

L’unico dovere cui sentivo in qualche modo di sottostare, era ricevere un tipo strano che quasi tutti i giorni veniva a trovarmi. Sia chiaro, obblighi non ne avevo, avrei potuto, volendo, metterlo alla porta in qualunque momento, ma provavo nei suoi confronti una sorta di umana pietà. Un tipo dall’età indefinibile, con gli occhiali e i capelli arruffati, dall’abbigliamento quanto meno inconsueto per un luogo di vacanza. Camice bianco sempre aperto, pantaloni azzurrini e t-shirt bianca, zoccoli chiusi alla punta anch’essi bianchi. Un macellaio, pensai sulle prime, ma non notai mai tracce di sangue sugli abiti che potessero darmi conferma di questa ipotesi. Allora cos’era, un medico? Se pure fosse, considerato che stavo benissimo, non capivo la ragione delle sue visite quotidiane. E poi parlava, parlava, parlava. Naturalmente non ascoltavo neppure una parola, non avevo tempo da perdere io, mi limitavo ad annuire di tanto in tanto, sempre in virtù dell’umana pietà di cui ho già detto. Ad un certo punto cominciai a prendere in seria considerazione l’ipotesi che potesse essere un pazzo. Non pericoloso, per carità, ma pur sempre un pazzo. Non sai mai cosa aspettarti da chi non gli funziona la testa. Me lo ritrovavo all’improvviso seduto alla sedia nel salottino d’ingresso senza che io ricordassi di avergli aperto la porta. Come riuscisse a penetrare in casa è rimasto un mistero. Probabilmente ne aveva le chiavi. Pensai potesse trattarsi di un parente svitato del proprietario, che so un fratello, un cugino, cui piaceva trattenersi in quella casa. Non ebbi occasione di parlarne con il locatore perché, nel corso di quell’estate, non lo incontrai mai più. Ad ogni modo non mi dava fastidio, perché non mi facevo di certo condizionare dalla sua presenza. Continuavo a fare quel che dovevo lanciandogli di tanto in tanto un’occhiata distratta. Neppure si può dire che la sua presenza mi impedisse di uscire, perché io non uscivo praticamente mai. Ero sempre in casa, sdraiato, seduto, a leggere un libro o ad ascoltare musica, spesso a pensare, ancora più spesso a dormire. Si, quell’estate ho dormito come non mai. Evidentemente avevo sonno arretrato, dovevo essermi molto stancato nel corso di quell’anno anche se, in fede mia, devo dire di non ricordarmene proprio. Nel senso che non ricordo cosa avessi fatto di così faticoso. Strano, non sono il tipo. Cioè non sono il tipo da fare cose faticose, o da dimenticare le cose faticose che ho fatto. Di quell’anno, però, non ricordo proprio nulla.
Quello che invece non dimentico, è quella vacanza con i miei zii e cugini in un’estate di molti anni prima a Procida. E’ per questo che ho voluto tornarci.
I miei zii avevano cinque figli, tre femmine e due maschi. Due erano gemelli, e gli altri erano nati un anno dopo l’altro. Io mi collocavo con l’età giusto in mezzo a due di loro. Eravamo tutti più o meno coetanei, cosicché in sei di noi si faceva una bella squadra. Quando si usciva ci mettevamo uno a fianco all’altro e, passando nei vicoli stretti, spostavamo l’aria. Gli altri figli di turisti ci venivano dietro perché noi, da soli, eravamo già tanti. Si sentivano protetti. I ragazzi dell’isola non sopportavano i figli dei turisti. C’era tra di loro chi ci guardava bieco, invidioso della nostra vita in città, chi con aria di sufficienza, perché al contrario dei primi si riteneva superiore, e chi ci derideva apertamente perché “i cittadini – dicevano – sono dei poveri coglioni”. Sta di fatto che pur avendo ognuno la propria originale motivazione, tutti erano uniti da quel sentimento collettivo di antipatia nei nostri confronti. Per evitare che qualcuno potesse farci del male, noi cittadini ricorrevamo alla tecnica usata da certi pesci o certi uccelli, che si raggruppano a migliaia per confondere e spaventare, con la massa, l’aggressore che li minaccia. Quando ci muovevamo, avanzavamo tutti insieme. Ecco perché quando passavamo noi sei si aggregavano anche altri, cosicché quell’estate conoscemmo tutti senza il minimo sforzo. Quando dico tutti mi riferisco anche a quelli dell’isola che, dopo un po’, caddero nella trappola della massa o, forse più semplicemente, erano ragazzi che avevano voglia e curiosità di conoscerne altri. Sta di fatto che io mi sentivo un dio. Eravamo stelle, le stelle dell’isola. Per la fine dell’estate ero diventato così nero che mi si poteva scambiare tranquillamente per uno di colore, i piedi mi si erano induriti perché, a imitazione degli isolani, camminavo sempre scalzo, e a nuoto riuscivo a farmi dal porto traghetti fino a quello della Corricella e ritorno. Non male per un cittadino, e neanche per un isolano. Quella forza benefica mi durò tutto l’inverno, nel corso del quale potetti vantarmi delle mie prodezze marinaresche. Questo mi conferì un’aura eroica che mi permise di vincere le elezioni da capoclasse solo che, quando con il gesso dividevo la lavagna nelle due odiate sezioni di buoni e cattivi, mi pareva che mi avessero affidato un compito particolarmente gravoso. Non mi andava di segnalare i cattivi, e neppure i buoni, sicché quando rientrava la maestra trovava la lavagna pulita. Nessun elenco a riempire le liste. In definitiva, non mi andava di fare la spia. Non ci volle molto perché d’autorità perdessi quella funzione assegnatami democraticamente dal popolo scolastico. Fu una specie di liberazione.
A ben ricordare, i miei zii abitavano in una casa piccola a piano terra, forse due stanze e cucina. Noi ragazzi dormivamo per terra, a coppie su un solo materasso. Chi a testa e chi a piedi, dicevamo, e si faceva la conta per la scelta del posto. Al mattino la zia appoggiava i materassi al muro in posizione verticale per fare spazio nelle stanze, ma tanto noi non ci stavamo mai. Mi ricordo che la casa si affacciava su un vicolo stretto in fondo al quale si intravedeva il mare, e c’era pure il giornalaio con le pile dei quotidiani e il salumiere con la pelle candida. Era proprio come quella che avrei poi affittato nell’estate in cui non lavoravo e avevo la grana. E’ strano, anche il proprietario era lo stesso. Sarà per questo che non mi cercai un’altra sistemazione. In fondo era comoda per me che già non ero più tanto giovane.
Ora che quell’estate è finita e non so quante altre ne siano passate, ora che è inverno, io sono ancora qui, e mi piacerebbe che ci fosse lo zio perché mi è venuta voglia di dirgli quanto è bella la sua casa di Procida. Come ci sia arrivato, però, non lo ricordo. Non mi ricordo del viaggio in traghetto né del mare, e neppure da quanto tempo io occupi queste stanze. Qualche volta viene un signore a farmi visita, non quello strano con il camice bianco, ma un altro che pure ha gli occhiali e i capelli brizzolati. Mi chiede come sto, mi porta i saluti di persone a me sconosciute. Mi dice i bambini, ti ricordi i bambini? Una volta mi ha fatto vedere delle fotografie. Io gli ho detto che quelli erano i miei figli, ma lui mi ha detto di no, che erano i suoi. Un’altra volta mi ha chiesto come mi trovassi in quel posto e io gli ho risposto che Procida mi è sempre piaciuta, però non ricordavo come ci fossi arrivato. Lui si è messo a ridere. A me è sembrato che mi stesse prendendo in giro, così ho deciso di non parlargli più. Non ho nessun obbligo, io. Ho la grana e faccio quello che voglio. Poi quel signore si apparta con quello che ha il camice bianco. Parlano tra loro e mi guardano. A me non importa, saranno fatti loro, basta che a me non danno fastidio.
Sai zio, ho deciso di parlare con te perché sei l’unico di cui mi possa fidare. Mi ricordo che sentivo lontano le sirene dei traghetti, due, massimo tre al giorno. Poi il silenzio. Ora sento solo rumori, le sirene sembrano clacson di automobili e ho perso il conto, non sono più tre. Ti ricordi le sere d’estate quante stelle c’erano a Procida? Non le vedo da allora, ma stasera ho deciso, stasera salirò lungo le scale e mi arrampicherò sui tetti come facevo quando stavo da te. Stasera è così che farò. Mi sento da dio. Andrò a godermi le stelle dell’isola

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30 commenti »

  1. Ottimo racconto, tra i miei preferiti finora. Surreale e delirante, lascia le briciole in terra e ti costringe ad andare avanti. Complimenti.

  2. Grazie Silvano per aver letto il mio racconto, e per le tue parole di apprezzamento

  3. Mi è piaciuto, Ottavio, il tuo racconto. Un filo doppio che tiene viva l’attenzione e la curiosità fino all’ultima riga.

  4. Una mente che vaga ma che non si è ancora persa del tutto; mi è piaciuto questo equilibrio come anche la semplicitá della narrazione. Un bel racconto di cui conservo l’immagine di una gioventù indelebile a dispetto di qualunque accadimento.

  5. Grazie Lidia per aver letto e commentato il mio racconto. Circa la narrazione effettivamente tendo, soprattutto quando è in prima persona, a renderla il più semplice possibile. Ti faccio di nuovo gli auguri per i tuoi bei racconti

  6. Spillando sapientemente gli indizi, hai consentito alla follia e alla congruenza di danzare in un equilibrio surreale, al ritmo intrigante di scanzonate elucubrazioni.
    Con un sapore diverso, rispetto a “Un giorno sotto al porticato”, anche questo tuo racconto ha incatenato la mia curiosità fino all’epilogo.
    Complimenti.
    Roberto

  7. Caro Roberto, che piacere ritrovarti. Ti ringrazio molto per il generoso commento

  8. Mi è piaciuto il tuo racconto. Sembra una storia di fantasmi che si incontrano in luoghi che hanno amato in vita, Quanto c’è di esperienza vissuta dentro?

  9. Grazie Francesco per aver letto e commentato il mio racconto. Quando l’ho scritto più che ad un fantasma ho pensato ad una persona non perfettamente sana di mente, affetta da demenza, per esempio un anziano colpito dall’alzheimer che confonde ricordi e realtà. Sotto questo aspetto se vogliamo è come dici, il fantasma dell’uomo che è stato che torna sui luoghi che ha amato. C’è poco di esperienza vissuta in questo racconto, se non il fatto che sono appassionato di mare e di isole, e Procida è una delle mie preferite. Grazie di nuovo

  10. Ecco, mi hai fatto venire voglia di andare a Procida e questo, credimi, è un complimento! Bel racconto.

  11. Racconto metafisico e commovente .Le Stelle come pianeti sognati , Campi Elisi dove il Male e la sofferenza appartiene solo ai terreni Camici bianchi.Tutto si sovverte, tutto è relativo..Procida , un simbolo, forse quello della Libertà.Amo questo racconto.

  12. Per abitudine, sbagliata o giusta che sia, quando leggo qualcosa vado a cercare la morale, la ” lezione di vita”.. Quello che mi e’ arrivato di questo tuo racconto preciso nell’esposizione e interessante anche per la descrizione del luogo, è che un giorno quando saremo vecchi ognuno di noi avra’ la sua Procida. In bocca al lupo!

  13. Grazie mille Maurizio.

  14. Laura, grazie di cuore. Il tuo commento è di gran lunga più bello del racconto.

  15. Si Carla, ognuno di noi avrebbe diritto alla propria ” Procida”. Grazie mille per il commento generoso.

  16. Mi sono immedesimata nel protagonista. C’ero io in quell’appartamento e la persona dall’età indefinita che mi veniva a trovare ero io, dal passato o dal futuro.
    Sicuramente ha stuzzicato la mia immaginazione. Complimenti!

  17. Grazie mille Barbara e auguri di nuovo per i tuoi racconti

  18. Struggente e realistico nel suo voler essere surreale, molto ben scritto, scorrevole e denso di emozioni per chi legge. Molto bello.

  19. Tu sei un genio Ottavio!Di una straordinaria bellezza anche questo racconto,nuovo tema, nuovi personaggi,stessa scrittura travolgente,hai il dono di incollare il lettore alle tue pagine,sei capace di affrontare ogni argomento ” emozionandolo” col tuo meraviglioso modo di narrare.Ho letto anche il racconto in gara lo scorso anno..Stupendo! In bocca al lupo!

  20. Grazie mille Maricapp per aver letto e commentato entrambi i miei racconti. Ciò è fonte di notevole soddisfazione perché, se letto il primo ti è venuta la curiosità di leggere anche l’altro vuol dire che, in qualche modo, ho stimolato il tuo interesse. E cosa può volere di più uno che prova a scrivere? Grazie

  21. Accidenti Noemi, mi hai commosso, dico sul serio. Sono felicissimo. Grazie

  22. Ottavio! (nota il mio punto esclamativo) Ho letto il tuo racconto tutto d’un fiato per curiosità dopo aver letto il tuo commento in bacheca! Complimenti sinceri! Uno dei racconti più belli che ho letto fino ad ora! Mi piacerebbe lasciarti un commento più dettagliato e spiegarti perche il tuo racconto mi ha emozionato tanto, ma altre parole non servono! Ti faccio un enorme in bocca al lupo e se per caso hai un sito dove posso continuare a leggerti, al di là della competizione, ti prego di scrivermelo. Se ti va passa a leggere il mio racconto!

  23. Azzardo una mia interpretazione che forse altri hanno già colto e perciò farò la figura del fesso: è un anziano malato di Alzheimer? Se così il racconto è geniale. Sembra un racconto surreale, a volte onirico e invece è una storia di vita vissuta. Io amo le descrizioni e quando le scrivo ci metto dettagli su dettagli, poi faccio leggere tutto a più di una persona e il suggerimento è quasi sempre: “taglia”. Quindi io lavoro poi per sottrazione. Le tue descrizioni non sono ridondanti e sono funzionali alla storia. Se proprio devo trovare il classico pelo nell’uovo, io avrei dato meno “spiegazioni” e meno informazioni, soprattutto nella prima parte del racconto, per lasciare un po’ più di spazio al lettore e rendere “l’ingresso” al mondo del protagonista più diretto e voloce. Si tratta comunque di un dettaglio e di una mia personale opinione. Bravo.

  24. Beh Costantino, come farebbe dire Camilleri a Montalbano ” ci hai insertato”. Si, il protagonista è proprio un malato di Alzheimer, almeno quello avevo in mente mentre lo scrivevo. Grazie per i consigli. A dire il vero anch’io procedo per sottrazione e questo racconto, in origine, era un tantino più lungo. Sono contento che ti sia piaciuto. In bocca al lupo per il tuo scritto

  25. Stefania, che dire. Sono davvero commosso per i tuoi commenti così generosi. No, mi spiace, non ho un sito, ma vedo che tu invece si. Sarò io, allora, a venirti a trovare, così potrò continuare a leggerti. Grazie di nuovo

  26. Molto avvincente il tuo racconto, Ottavio; mi piace soprattutto il fatto che il mistero non si sciolga alla fine, in modo che ognuno possa interpretarlo come preferisce.

  27. Grazie di cuore Fiorella. In bocca al lupo per i tuoi bei racconti

  28. Bello. Trainspotting al punto giusto . E lascia spazio nella testa di chi legge, stimola.

  29. Caro Ottavio,questo è il racconto, dei tuoi, che avrei voluto vedere sul palco! sai com’è..la metafisica..ma la SIMO va bene lo stesso!! spero di conoscerti, se passi per la Costiera!
    Well done!

  30. Grazie Laura e grazie Fiorella, sono contento che il racconto ambientato a Procida vi sia piaciuto più dell’altro. Vuol dire che, indipendentemente dall’essere selezionato, ha una sua validità come, d’altronde, la maggior parte dei racconti presenti. A proposito, il vostro commento l’ho letto in mattinata mentre ero,manco a dirlo,…a Procida. Se vi va contattiamoci su facebook

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