Premio Racconti nella Rete 2010 “Le scale” di Tullio Bugari
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010Il bambino teneva la mano di suo padre e saliva la lunga scala che dalla spiaggia lo riportava in alto, dove era parcheggiata la loro auto. E suo padre gli parlava. Si stava bene in quel luogo, quella sera, di fronte a quel mare e a quel sole, in quel tempo di vacanza. Sua madre camminava un poco più dietro, parlava con il fratello più piccolo, si udivano sullo sfondo le loro voci. Ascolta, gli disse suo padre, fingiamo che ogni scalino sia un anno di vita, qui nel primo incontriamo tuo fratello, il suo cammino è ancora breve. Due, tre, iniziò a contare il bambino, quattro, questo è lo scalino della cuginetta. Cinque, sei, questo è il tuo gli disse il padre. Allora più si sale e più si diventa grandi, vero babbo? Certo, guarda, qui al numero otto c’è tuo cugino. E il bambino continuò a contare, nove, dieci, ecco ora abbiamo raggiunto l’altra tua cugina: ma babbo, questa è una scala che va sempre in alto, non si può tornare indietro. No.
Il padre all’inizio aveva pensato a un gioco per esercitare il figlio a contare i numeri, e magari comprendere il senso del tempo, ma forse… chissà come si può comprendere davvero il senso del tempo? Del qui e del passato? Ma l’aria era dolce e gli odori della vegetazione del mare creavano un contrasto che rendeva più acuti i sensi e vivi i pensieri. E più quella scala si alzava dalla spiaggia, più i rumori delle onde che si infrangevano sulle poche rocce sparse tra la sabbia giungevano lenti. Come ciò che si ripete e non si può fermare o immaginare immobile, è il suo stesso movimento che si ripete immobile e sempre uguale, con la stessa cadenza di un sospiro.
Provava una strana malinconia il padre, anche questa lenta e sempre uguale nel suo movimento, a ripetersi avanti e indietro come una risacca nei pensieri, mentre si procede incerti verso un cammino che solo le illusioni ci fanno sembrare già conosciuto. In realtà non possiamo mai sapere dove stiamo andando, dove le nostre illusioni ci conducono davvero.
Quella scala sembrava un cammino certo, fatto di scalini che come metafore degli anni si sommano uno sull’altro e ci fanno crescere, diventare maturi. Ci rende altri. Qual è il tuo scalino babbo? Eccolo, ci siamo quasi, trentasei. Ne hai fatta di strada vero? Sì, abbastanza. Ora stanno per arrivare gli scalini degli zii. Eccoli. A questo punto sono rimasti solo gli scalini dei nonni, vero babbo? Sì, ecco, qui c’è la nonna più giovane e tre scalini più su il nonno e ora, conta insieme a me, altri sei scalini ed ecco la seconda nonna. Ma babbo, ci saranno scalini sufficienti per tutti? Certo, questa scala è molto lunga, guarda, siamo arrivati allo scalino del nonno più grande. Babbo, sono stanco, tutte queste scale: adesso capisco perché anche nonno è sempre stanco, con tutta la fatica che ha fatto. Riposiamoci un po’, siedi.
E il babbo e il bambino si siedono, osservano la mamma e il fratellino che sotto di loro hanno appena iniziato a salire, ammirano il paesaggio lontano e il sole oramai al tramonto, che da laggiù colora di rosso una lunga striscia di mare. Sembra una corda agganciata chissà a che cosa, che tra poco svanirà nel buio mentre le onde continueranno immobili il loro moto perpetuo, non ha importanza se nessuno potrà guardarle, solo il rumore, come una voce dal profondo di un mondo a cui non possiamo avere accesso, comunque ci parlerà.
Il panorama è ampio e vasto. Lassù da quello scalino ultimo padre e figlio sono come Dedalo ed Icaro sospesi nel vuoto, distaccati. Il mare oramai è solo una visione lontana, una metafora che vive. Possono coglierne tranquilli le suggestioni con un’emozione più calma di prima, quando del mare scorgevano solo il profilo e le onde erano solo veloci increspature, spruzzi salmastri che si staccavano verso l’aria e poi frantumati dal vento ricadevano in basso, effimeri. E oltre al mare ora ammirano la costa adagiata laggiù nei pressi dell’orizzonte. La forma arcuata e dolce dell’insenatura pareva quasi l’abbraccio al mare di quei monti strani e acerbi, con piccoli arbusti bassi a nascondere rocce e sporgenze. Babbo, il nonno sarà sempre stanco ma da quassù riesce a vedere più cose di tutti noi.
Erano trascorsi tanti anni. Ora quel bambino era cresciuto. Anno dopo anno era diventato un altro e la fatica si era accumulata nelle sue gambe. Dapprima, nell’entusiasmo degli anni giovanili, quell’allenamento gli aveva procurato un vigore in più nelle membra, la frenesia di salire senza neanche girarsi all’indietro perché poche ancora erano le differenze di prospettiva, e troppo debole la sua attenzione al contrasto degli odori. Non percepiva ancora le diverse componenti di quel miscuglio di acerba vegetazione, di sapori umidi e piccanti che l’aria salmastra del mare stenta sempre di più a prosciugare. Poi, il vigore acquisito lentamente aveva cercato uno scopo in più per esprimersi, anche se l’entusiasmo di tanto in tanto riprendeva il sopravvento e spingeva lo sguardo verso l’alto, a cercare nel cielo il bagliore delle prime stelle della notte che lentamente avanza. E’ quasi un’atmosfera sospesa sull’orizzonte che si abbassa, e ci consente di gettarvi sopra lo sguardo prima che il buio lo inghiotta, quando il cielo fino ad allora troppo intenso e teso per i nostri pensieri finalmente si scioglie, e se ne va.
“Babbo, il nonno sarà sempre stanco ma da quassù riesce a vedere più cose di tutti noi”, aveva detto tanti anni prima a suo padre e sempre da quel giorno si era sentito un po’ più saggio. Con quella saggezza aveva affrontato le scale della sua vita e ora era di nuovo lì, teneva per mano suo figlio e gli parlava degli anni e degli scalini, li contavano assieme, rievocavano tutte le persone che un passo alla volta incontravano. Lo scalino ultimo si avvicinava, era emozionato, cercava di immaginare i pensieri che si agitavano nella testa di suo figlio. Come sempre siamo invasi dall’illusione di sapere già le cose prima ancora di conoscerle. Le anticipiamo, prevediamo, ci sforziamo di non lasciare nulla al caso perché solo così ci sentiamo sicuri dei messaggi che ci crediamo in diritto di dover comunicare ai nostri posteri. Come se fossimo depositari di una verità rivelata, ci arroghiamo il diritto di essere gli educatori dei nostri simili. Come se i nostri racconti, che sono fatti solo di parole dette, concatenazioni di suoni artificiali emessi dalle corde vocali e propagate nell’aria da invisibili e inconsistenti onde sonore, potessero sostituire le nostre emozioni, il senso pungente degli aromi che ci riempiono i polmoni quando respiriamo liberi, e senza farci domande contempliamo ciò che si offre attorno al nostro cammino.
Era fiero ora di condurre il figlio sullo stesso antico sentiero fatto di scale, riviveva le antiche emozioni, senza rendersi conto che non erano affatto antiche ma nascevano in lui soltanto ora, erano la rielaborazione di ricordi, sensazioni rimestate avanti e indietro come una risacca nei suoi pensieri. Era la densità dell’attimo presente che insieme padre e figlio stavano vivendo.
Ecco l’ultimo scalino, fermiamoci a riposare un attimo, suggerì il padre, in attesa del seguito. Certo, confermò il figlio, sono proprio stanco con tutte queste scale. E in silenzio guardarono la coltre del mare che si stendeva dinanzi a loro, e quel nastro arancione del sole che come la corda di una tenda stava tirando via pian piano la luce del giorno. Aveva un che di profondo il silenzio dei loro sguardi, ammorbidito solo dal ripetersi lontano delle onde che battevano sulle poche rocce sparse qua e là nella sabbia. Odori di lavanda e di rosmarino pizzicavano i loro pensieri.
Silenzio.
Il figlio teneva per sé le sue considerazioni… oppure… chissà?
Il padre attese ancora un po’, poi propose di alzarsi e proseguire il cammino. In cielo brillava già la prima stella.
Babbo, chiese il figlio, ma se uno riesce a vivere così tanti anni che le scale non gli bastano, dopo che cosa fa, continua a camminare là, lungo la strada, senza fermarsi più?
Complimenti per la semplcità e la profondità del tuo racconto scritto in modo chiaro e scorrevole.
Lia Sacchini
E` la storia della scala del Tempo: ogni gradino corrisponde ad un`eta` della Vita. Due generazioni la percorrono e alla fine affiora la domanda eterna: e se poi tutti gli scalini rimasti non bastassero, la vita finirebbe o continuerebbe al di fuori della Scala, nel vuoto del Tempo?
Scrittura sapientemente sospesa, incanti narrativi, poesia visiva.
Ritmo geometrico, riflessioni filosofiche, prosa coinvolgente, soffice.