Premio Racconti nella Rete 2016 “Chi è Vera Radic” di Lidia Bianchini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016Non riuscivo a pensare ad altro, così, all’improvviso, mi alzai e accesi il computer. Tamburellando con le dita sul tavolo, visualizzai la scena di lui che faceva il cascamorto al cospetto delle sue tette e sospirai. Volevo sapere chi era quella scema. Lasciai che si aprissero in automatico tutti i miei profili social e iniziai la ricerca. Decine e decine di risultati, troppi per verificarli tutti ma nessuna idea alternativa. “Nome banale, tipa banale” – pensai mentre mi gonfiavo di me stessa – “ma grande perspicacia per la scollatura da urlo” dovette ammettere una parte di me mentre mi mordicchiavo le unghie. Il lavoro ce l’aveva lei, competente o meno che fosse. “E l’etica?”. “Di questi tempi chissenefrega”. Nella mia testa qualcuno faceva domande e qualcun altro dava risposte. Io ascoltavo. Dopotutto non avevo altro da fare se non starmene ad aspettare che la rete mi aiutasse a scoprire chi era quella dannata Vera Radic.
Avevo dato il meglio durante il colloquio sfoggiando il mio lodevole curriculum e usando tutta la rosa di battute spiritose studiate per l’occasione. Ero stata brillante finché non era arrivata lei. Anzi, meglio dire, finché non erano arrivate le sue tette, ben preparate per la selezione anche se poco pertinenti. Lui, dottor Zanetti, esperto in psicologia del lavoro, aveva smesso di guardarmi tutto d’un tratto e si era messo a sorridere fissando oltre le mie spalle. “Scusi, vengo da un altro colloquio dove mi hanno trattenuta, ma io volevo solo venire qui”. Mi ero girata all’eco dell’incredibile presentazione e l’avevo fulminata. L’incontro si era svolto nella hall di un hotel di periferia e tutti avevamo aspettato educatamente seduti su poltroncine moderne – dal colore un po’ troppo acceso – fingendo di non guardare e non origliare la conversazione del candidato di turno. Lei, invece, era arrivata in ritardo e sciorinava quella sequela di menzogne (regalandomi solo alla fine delle finte scuse per avermi interrotta) al selezionatore che beveva ogni parola a bocca spalancata. “Non si preoccupi, si accomodi pure e riprenda fiato. Mancava solo lei all’appello ma ora è qui”. Il dottor Zanetti pronunciò queste dolci e comprensive parole mentre io mal mi riprendevo dal torcicollo e sorridevo ricominciando a parlare senza alcuna verve.
Dopo essere stata congedata con una vigorosa stretta di mano – d’obbligo in quei casi – avrei pagato per rimanere ad ascoltare il colloquio dell’avvenente signorina ma la mia attesa sarebbe parsa strana. Il caso però aveva deciso di accontentarmi. Senza dare minimo peso al ritardo con cui si era presentata, dopo di me Zanetti chiamò la Radic continuando a seguire l’ordine alfabetico che l’aveva ispirato fin dall’inizio. La decisione indignò tutti i presenti accrescendo l’antipatia verso l’aspirante Store Manager, ma accontentò la mia curiosità e sicuramente quella di qualcun altro ancora. Durante l’intervista non riuscivo a capire una parola, ma vedevo che i due non facevano altro che ridacchiare e sorridersi a vicenda, quindi immaginai una grande simpatia della candidata. Passarono cinque minuti durante i quali si susseguirono grandi risate – con sgomento degli astanti – che si tramutarono in un abbraccio con tre baci di saluto alla fine.
Mentre il dottor Zanetti annotava qualcosa – temporeggiando oltre modo prima di chiamare il successivo – lei venne verso il nostro gruppo e ci sorpassò con nonchalance quasi fossimo invisibili. Un tipo con la bava alla bocca le disse svelto “Ciao, com’è andata?” – più per rimorchiarla che per sapere veramente l’andamento del colloquio – e lei gli si fermò davanti iniziando a chiacchierare. Ormai ero rimasta troppo così mi accinsi ad andarmene anche se guadagnai tempo riponendo con ordine maniacale il mio curriculum nella cartellina e ottenendo qualche istante in più per soddisfare la mia curiosità. Mi bastarono poche parole per sorridere. Effettivamente era spiritosa, cosa che mi fece imbestialire e che non fece che accrescere il desiderio – ormai non più tanto inconsapevole – di demolirla. Feci un sorriso di circostanza e me ne andai con la sensazione di aver perso un sacco di tempo.
La mail arrivò nel tardo pomeriggio comunicandomi, con il tono standard di tutte le altre, che il processo di selezione si era concluso ed era stato scelto un candidato con maggior seniority. Avevo aperto la chat del telefonino e mi ero scambiata qualche messaggio con una ragazza che avevo conosciuto la mattina. Magari lei sapeva il nome di questo candidato di grande esperienza. La risposta era arrivata talmente veloce che mi aveva dato da pensare che in quel momento stessimo tutti col cellulare in mano – e così era senza ombra di dubbio. “Vera Radic”. “Qual era?” “Quella con le tette fuori”. “Vabbè pazienza” – scrissi senza crederci veramente – “alla prossima”. Sbuffai. Quel lavoro mi serviva e avrei dovuto cercarne un altro con tutto il dispendio di energie che la cosa richiedeva. Avevo tutte le carte in regola tranne una, quella che mi mancava sempre e mi fregava in tutte le occasioni, la furbizia. Probabilmente a Vera Radic mancavano altre doti ma di furbizia ne aveva da vendere. La pensai talmente tanto che la cosa alla fine mi sembrò normale. Fantasticai su di lei e sul come doveva essere – ovviamente attribuendole pochi meriti – finché la curiosità non fu tale da farmi fare una ricerca vera e propria sulla sua vita. A che cosa mi sarebbe servito non lo sapevo ancora, ma nel frattempo mi riempiva il tempo.
La rete mi restituì pane in abbondanza per sfamare la mia brama di farmi i fatti suoi. Se non riuscii a trovarla tramite nome, la ricerca per immagini invece mi diede grandi soddisfazioni. Incredibilmente bella anche nelle foto in cui era stata colta visibilmente di sorpresa, Vera posava sempre in compagnia di gente altrettanto piacevole e allegra. La mia solitudine e il mio senso di sconfitta montarono a dismisura e, come se non fosse stato abbastanza, un link mi portò alla sua pagina personale dove – senza alcun filtro che ostacolasse la navigazione – mi ritrovai a conoscere la sua vita, dagli hobby agli studi fino agli amori e ai viaggi, il tutto sorprendentemente dorato. Possibile che avesse viaggiato così tanto e che così giovane si fosse pure laureata? Per non parlare del suo compagno, un uomo affascinante e ostentatamente benestante che la guardava come una divinità e che quasi sicuramente la ricopriva di regali e attenzioni. Classe 1984, laurea in Scienze della Comunicazione, nazionalità croata, multilingue e, come se non bastasse sebbene già detto, bellissima. La odiavo. Odiavo i suoi tacchi e le sue tette che non riuscivano a star nascoste. Il senso di inferiorità mi schiacciava e cominciava a dominare anche i miei pensieri sul futuro che si opacizzava all’ombra di un mondo che sempre più assomigliava a Vera Radic e sempre meno a quelli come me.
All’improvviso, però, una foto mi tese la mano. Vera, in una spiaggia tropicale, salutava dal suo lettino sotto un enorme ombrellone di paglia. E lì mi illuminai. Non potevo sbagliarmi, le tette erano finte. Istintivamente mi avvicinai allo schermo del pc e, anche se non sortii il risultato che il mio inconscio aveva sperato, mi fu chiaro che il suo bel balconcino era di silicone. Mentre tutto subiva la più democratica delle forze, il suo seno puntava al cielo. “E che cavolo” – pensai – “son capaci tutti di avere le tette così allora” – e la mia autostima iniziò percettibilmente a risollevarsi e il mio buonumore a rifarsi vivo. Mi guardai tutto l’album fotografico e più volte riscontrai l’artificio con infinita gratitudine. Nella vita non ci poteva essere una disparità così grande, impossibile che le fosse stato dato tutto privando altre anche del minimo indispensabile, quel dettaglio ristabiliva un po’ di uguaglianza tra le genti. Non me ne accorsi subito ma poco a poco Vera Radic cominciava a non starmi più tanto antipatica. Nel suo desiderio di cambiarsi, e nell’insita sensazione di non piacersi del tutto, la pensai sotto una nuova luce e mi disposi a lasciarle il posto di lavoro che le era stato assegnato abbandonando quei pensieri di rivalsa che fino a poco prima mi avevano animata. Un nuovo senso di solidarietà germogliò dentro di me includendola nella cerchia degli imperfetti che lottano per la sopravvivenza e, spegnendo il computer, pensai che, magari, potevamo essere amiche.
Momenti di ordinaria follia di un tempo in cui conta molto di più l’apparire. Ben scritto. Brava.
Grazie Maria e complimenti per la sensibilità raffinata del tuo racconto
Una piccola lezione sulla falsità dei pregiudizi. Bel racconto, scritto bene, tanto che il processo di identificazione con la protagonista è immediato e diretto, al punto da condividerne quasi acriticamente le scelte e gli errori di valutazione. Complimenti.
Ritrovo anche in questo tuo altro racconto un stile ricco e pieno, rinnovo i complimenti.
E sono lieta di ritrovare due “vecchi” amici di blog nei commenti… ben ritrovati Ottavio e Maria!
Molto grazioso e scrittura coinvolgente!