Premio Racconti nella Rete 2015 “Orata al forno” di Antonella Zanca
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Lo guardavo dal lungomare appoggiata a quella ringhiera, brutta, ma non abbastanza da distrarmi.
Tutte le mie emozioni, tutto il mio sentimento, tutta la mia gioia di vivere si concentrava su di lui.
Era uno di quei momenti perfetti in cui il calore del sole era sufficiente a darti energia ma non ad essere importuno. La brezza risvegliava la mia voglia di vivere.
Potevo dedicarmi a guardare. Guardare quel piccolo uomo che cercava in ogni modo di emulare un padre che non c’era più. O forse solo a ricordarlo e salutarlo a modo suo.
Fulvio se n’era andato un anno fa. Con la velocità che si ha solo a quarant’anni, nel fare le cose. Anche le più brutte.
Scoperta la malattia, è stato un attimo ritrovarsi fuori dalla chiesa ad occhi sbarrati a salutare tutta quella gente. E a stringere forte la mano di Federico, proprio nel giorno del suo ottavo compleanno. Perché ci sono cose che succedono, anche quando non vorremmo che fosse così. Ricordo un pensiero improvviso, quasi una promessa silenziosa: “No, Federico, i prossimi compleanni non li passeremo piangendo”.
Mentre lo guardavo dall’alto, pensavo a quella promessa, e al fatto di essere lì, al mare, nel giorno del suo compleanno, un anno dopo. La gita al mare era un regalo, richiesto e programmato:
“Mamma, per il mio compleanno voglio andare a Deiva, sugli scogli, a pescare tutto il giorno. E se riuscirò a prendere un’orata, come quella volta con papà, poi tu la cucinerai al forno con le patate, vero?”
Pianificammo tutto, tranne la caduta dalla bicicletta (maledetto tombino) ed il mio gesso al braccio. Destro, naturalmente.
Così reclutammo al volo mio fratello, quello che dalla nascita di Federico è diventato per tutti lo zio Francesco, votato anima e corpo a far felice, sempre, il suo unico nipote.
Li guardavo, laggiù, vicini ma non troppo, con la loro canna da pesca, lo zio Francesco improbabile surrogato di padre, ma non importava: con la sua presenza, con il suo affetto, era la spalla ideale alle emozioni di Federico, quel figlio che odiavo veder soffrire e che si sforzava in tutti i modi di non far soffrire me.
Per questo quel giorno non avevamo ancora nominato Fulvio, benchè fosse talmente presente da farmi quasi stare bene, e farmi comprere un panino in più, al momento del ristoro. Avevo contato anche lui.
Fulvio amava pescare. All’inizio la pesca era la mia rivale. Ma anch’io avevo passioni che lui non condivideva. Mentre noi riuscivamo a convivere con un buon equilibrio, tra passione, affetto, sogni, sentimenti.
E intanto Federico provava, concentratissimo, a pescare quell’orata, la sua orata. Lo zio Francesco non gli era molto d’aiuto, forse si schifava anche un po’ per l’odore di mare così intenso. Forse non sapeva nemmeno lui cosa fosse lì a fare. Dall’alto, vidi avvicinarsi un bel ragazzone con una muta nera, una piccola tavola e un palloncino rosso. Pescatore anche lui, ma subacqueo. Subito sembrò entrare in sintonia con Federico. Non sentivo le loro chiacchiere ma li vedevo agitarsi e percepivo tutta la voglia del mio bambino di spiegare, di far capire che il suo non era un gioco qualsiasi per passare qualche ora, ma il suo regalo, per un’occasione speciale. Il ragazzo ascolatava serio, poi ribatteva, infine si avvicinò alla canna e osservò l’amo. Li vidi fare qualche gesto, vidi lo zio Francesco annuire, poi tutti e tre immobili si rimisero di spalle, ad osservare il mare.
Guardai anch’io e venni presa di nuovo da un attacco di nostalgia, misto alla malinconia buona, quella che ti fa sì salire le lacrime agli occhi, ma che ti lascia lucido abbastanza per capire di essere ricco, ricco di ricordi, di bei momenti trascorsi, lontani ma certo vissuti. Mi risvegliai da tutto questo sentendo le urla eccitate di Federico:
“Mamma mamma mamma! Guarda guarda guarda!”
Arrivò correndo e saltellando tra uno scoglio e l’altro, riempiendo di gioia la mia vita, ma anche di un sottofondo d’ansia. Dio ti prego non farlo cadere, Gesù per favore lascialo libero di essere felice.
“Mamma guarda, un’orata, proprio come quella volta con papà.”
Orgoglioso, felice, emozionato, mi indicò il ragazzo al suo fianco: “E’ stato lui, a dirmi come fare, sai?”
Lo sconosciuto fece un cenno col capo, riuscivo a veder poco dei suoi lineamenti, era controsole, poi scompigliò i capelli di Federico, salutò con la mano e se ne andò, lungo la spiaggia.
Intanto era arrivato anche lo zio Francesco e ci avviammo verso casa, verso l’interno del paese.
Con l’orata che dondolava al fianco di Federico. Lucente. Simbolo di una vittoria.
A casa, Federico non la finiva più di raccontare.
“Sai, avevo messo sull’amo un verme vivo, quelli cicciosi e un po’ piccoli, si muoveva, non era facile infilarlo, ma non abboccava niente. Poi è arrivato quel ragazzo, mi ha detto che ci volevano i vermi di mare, quelli lunghi lunghi. Sai, papà una volta me li aveva fatti infilare, non devi pensare che basti bucarlo, un verme, e poi lasciarlo lì, penzoloni. No, no, devi infilarlo per la lunga, praticamente in tutto il corpo. Ma sì, non fa mica schifo.
E ora, per pulire la mia orata, ce la fai o ti devo aiutare? Ti ricordi papà com’era bravo? Lui la puliva sempre là, vicino al mare. Lo sai vero che le devi tagliare la pancia dal buchino in fondo, quello dove esce la cacca? E come fai col gesso? Meno male che hai le dita libere.
Mamma, non ridere, è una cosa seria!
E poi ci metti dentro tutte le erbe, vero? Anche quelle per il pesce che abbiamo comprato in Corsica, quelle col mirto, che ha un profumo che mi piace tanto.
Mamma? Poi come si fa? Sai, in cucina non sono tanto bravo. Dai, io ti ho portato il pesce, ora tocca a te.”
“Va bene, va bene, se vuoi guardare, magari la prossima volta ti ricordi. Erbe, olio, un pizzico di sale, tutto dentro la pancia. Poi prendo una patate bella grossa, e la sbuccio.”
“Mamma, quel coltellino mi fa impressione, sembra pericolosissimo.”
“Non so, so solo che uso sempre questo per le patate, vola via leggero, non toglie tanta pelle, non faccio fatica. Anzi, mi sa che potresti aiutarmi tu, visto che con queste dita che spuntano fuori dal gesso, non è così facile. Dai, prova, è come quando sbucci la mela.”
“Mamma, è bellissimo, hai ragione, va velocissimo. Ma sono bravo, eh?”
“Bravissimo, grazie, ora se vuoi vai pure a giocare, lo zio Francesco ha finito la doccia, poi dovresti farla anche tu.”
“Dopo, mamma, quando l’orata sarà nel forno. Così potrò pensare a papà. E magari, se piango un po’, si confonde tutto, no?”
Non so come, ma riuscii a non piangere io, in quel momento. A volte i figli sono fantastici, sono vicini a te, al tuo mondo, senza che tu abbia fatto niente per farti capire.
Per fortuna la spiegazione della ricetta mi distoglieva da pensieri e affanni.
“Vedi, ora taglio le patate a fette, poi i pomodorini a metà, questi a grappolino, dolci dolci e maturi, tutto a coprire il fondo della teglia.”
“Mamma, ti sei dimenticata la carta da forno!!!”
“Hai ragione, ecco, tolgo tutto, poi metto la carta da forno così non si attacca niente, un filo d’olio, quello del nonno, poi le patate, i pomodorini, sale, pepe e un pizzico di timo, appoggiamo l’orata proprio in mezzo e ancora un po’ d’olio.”
“Mamma, non è mica difficile, però.”
“Il difficile è pescarlo, un pesce così, ma tu ci sei riuscito!”
“Sai, credo mi abbia aiutato papà”
“Sai, credo che papà ti aiuterà sempre.”
“Mamma, non piangiamo, vero?”
“Beh, se vuoi, mentre io copro la teglia con l’alluminio e metto tutto in forno, puoi anche piangere un po’ “.
“Dai, mamma, se me lo dici così, non piango più. Vado a fare la doccia. Quanto tempo ho? “
“Almeno 20 minuti, ma non passarli tutti sotto l’acqua, dobbiamo preparare la tavola e far trovare tutto pronto a zio Francesco, che finalmente si può riposare un po’ e leggere il giornale.”
Passammo una serata bellissima, forse con qualche brivido quando lo zio Francesco rischiò di sputare un boccone, tanto fu il suo digusto per il racconto del verme sull’amo. Federico raccontava e raccontava, a ripetizione, e continuava a parlare del suo nuovo amico subacqueo.
“Mamma, non gli ho neppure detto il mio nome, e nemmeno lui il suo.”
“Vedrai, lo rivedremo, tornerà a pescare.”
Fu difficile farlo dormire.
Fu difficile anche per me, addormentarmi. Fulvio era davvero lì con me, ma purtroppo solo nel pensiero.
Ed ora rivivo la serata, mentre me ne sto con gli occhi chiusi, né seduta né sdraiaita, sulla panchina di legno sul lungomare. Il sole è lì, tutto mio, a ricaricarmi. E i pensieri non mi fanno sentire sola. Un’ombra improvvisa mi toglie la luce. Apro gli occhi e vedo la sagoma di un uomo che non conosco.
“Ciao, sono Paolo. Ieri ero con tuo figlio, mentre pescava la sua orata. Non mi sono fermato per le presentazioni, ero bagnato e dovevo cambiarmi. Posso sedermi?”
“Sì, direi di sì. Almeno, vicino, riuscirò a vederti in faccia.”
“Sai, hai un figlio fantastico. E poi, volevo dirti, conoscevo anche Fulvio, tuo marito. Era un portento con la canna, dagli scogli.”
Le informazioni volano veloci, nei piccoli paesi. Parla, e lo guardo intensamente. Sembrava più giovane, e invece potrebbe avere la mia età.
Ha una voce dolcissima. E racconta cose che mi piacciono.
Lo invito a pranzo.
Ciao Antonella ho cominciato a leggere il tuo racconto e a un certo punto ho trovato la frase “e tutti e tre si misero a osservare il mare”. Ho trovato una notevole sintonia con il racconto che ho scritto io per il concorso.. Con l’età io sono diventato un montanaro, in Italia al mare c’è troppo chiasso soprattutto d’estate, ma la distesa d’acqua mi affascina ancora. Tu hai raccontato una storia molto delicata e anche sofferta. Non so se è biografica ma non importa. Secondo me c’è dentro tanto amore e dolcezza anche se io avrei messo un finale meno scontato. Magari una seconda giornata di pesca e un’altra orata, l’incontro tra i due poteva avvenire in quell’occasione, giusto per ribadire che sono il pesce e l’ombra di Fulvio i veri motori della storia… Ma questo è un mio pensiero e basta. L’importante è trovare ancora persone che pensano al mare, e alla montagna, come qualcosa di straordinario ,che riesce, nonostante tutto, ancora a sorprenderci.
Grazie Duccio per il tuo commento. Il finale per me è legato alla speranza della vita che continua, comunque. E dei ricordi che ci fanno quello che siamo. E poi c’è dell’altro: spesso la vita ci sorprende con la semplicità del banale, a volte addirittura dell’ovvio. E spesso non siamo abbastanza attenti per cogliere la risposta più semplice, che racchiude quel pizzico di felicità che ci permette di andare avanti. Ma ognuno ha la sua filosofia, e i racconti sono solo alchimie per arrivare ad assaporare emozioni. Grazie ancora.
Il finale forse è un po’ rapido. Ma il racconto è davvero molto potente. Davvero brava.
Ciao Antonella, la presenza di Fulvio, quando non evocata, è palpabile come sofferenza e lutto. La donna ci apre il cuore e la mente; è consapevole che la vita deve continuare e trova le ragioni per proseguire ed essere il riferimento del figlio. Sotto l’aspetto narrativo, come sostengono Duccio e Iuri, avrei preferito un finale meno scontato. Bel racconto.
Auguri.
Emanuele
“se vuoi puoi anche piangere un po’” perché le lacrime scorrono e si portano via la malinconia, sotto la doccia ancora di più.
intenso e vero. bello!
Ciao Antonella, bel racconto ..anzi bellissimo. Ci vediamo a Lucca.
Emanuele
Effettivamente il tuo racconto cara Antonella è bellissimo.
Ti dico perchè mi è piaciuto, i bambini sono la Natura, la Vita, la Speranza ed hanno sempre la capacità di indicarci la strada giusta.
Complimenti per la vittoria ci vediamo a Lucca 🙂
Molto intenso. Mi ha profondamente toccato. Complimenti per la meritatissima vittoria. Ci vediamo a Lucca!
Bello il to racconto, così al femminile e così vero.
Molto delicato e commovente, bravissima davvero! Ci vediamo a Lucca!
Non avevo ancora letto il tuo racconto. Ti dico in tutta onestà, non mi piaceva il titolo. Ora che finalmente l’ho letto, credo che il titolo sia proprio azzeccato. E’ un racconto malinconico e lieve che coltiva passo passo una speranza, che ha fiducia nel futuro. Lo si intuisce sin dalle prime righe : ” No Federico, i prossimi compleanni non li passeremo piangendo”. L’aiuto provvidenziale del sub, la pesca dell’orata, tutto contribuisce a rendere positiva e quasi ottimistica l’atmosfera. Il finale non fa altro che confermare questa sensazione di speranza che cresce man mano, riga dopo riga. Complimenti sinceri e auguri
Mi hai emozionato, mi hai commosso, mi hai coinvolto con una storia intensa e appassionante, raccontata con garbo e con semplicità.
Complimenti. Mi farà piacere incontrarti a Lucca.
Scusate, partecipo poco a commenti e discussioni, sono i tempi ristretti della mia vita che non mi lasciano molto agio, ma leggere i vostri commenti mi emoziona. Amo sapere che mi si legge, amo scrivere per essere letta, e questa è proprio una bella palestra. Davvero grazie a tutti.
Un grazie particolare a Ottavio Mirra. Sinceramente, nella scelta del titolo, non avevo pensato alle leggi della comunicazione. In un mondo ricco di cibo, in cui il cibo pare sia il traino un po’ a tutto, il mio titolo potrebbe infastidire. Non ci avevo pensato. Grazie. Perchè se voglio farmi leggere, il titolo deve attirare, non respingere.
Se il titolo può sembrare banale, come una ricetta… appena si legge non c’è nulla di banale nel tuo racconto, titolo azzeccato e simbolico, racconto emozionante, intenso, quasi passionale oserei dire. Mi piace tutto di questo racconto… complimenti per la vittoria!
Sarò lieta di conoscerti a Lucca!