Premio Racconti nella Rete 2015 “Gherardo l’ippopotamo” di Paolo Bartalini (sezione racconti per bambini)
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015un racconto/prosimetro in otto atti
1 – IL MARE
Dovrebbe essere acqua
la mia voce:
un mare molto calmo
appena sentito
dalla sabbia lunare.
E rimane basito Gherardo, che il mare è ancora solo un vago odore salmastro, futuro semplice che si tufferà nei suoi occhi prima ancora di foderargli la pancia di freddo intenso dopo una corsa disperata tra cactus ed alberi di giuggiole, sterpaglie e silenzio rotto solo dall’esserci, proprio in quel momento.
Mare sconosciuto eppure preso a paragone.
Mare a lungo atteso in una giornata senza vento.
Trema l’orizzonte contro l’immagine mai vissuta di un’immensità insondabile, sconfinata distesa d’acqua vibrante percorsa da bagliori effimeri, lampi di vita affacciati sul firmamento.
2 – L’OCA
Un’oca galleggia.
Un’enorme oca lontana
(eppure così grande)
passa tutta la scia di luna.
Un’oca bianca
scompare in silenzio.
Un’oca muta
saluta.
E nessuno vede.
E la notte torna nella notte.
3 – L’AQUILONE
Gherardo è come un aquilone viola
con gli occhi immersi nel mondo affondato.
Segue un maldestro pallone che vola:
primo piano di scacchi bianchi e neri
che subito svanisce risucchiato
da una miriade di sguardi severi.
Gherardo è il limite delle nuvole di schiuma
nell’ora in cui non si arriva,
quella in cui non si riparte,
e tutto resta immobile come un sorriso.
4 – IL PRESENTE
Gherardo si sveglia,
risponde mentalmente all’appello: <<presente!>>”
Poi annusa l’aria,
vibrano le narici e tremola l’orizzonte
dietro lo sfiato caldo.
Gherardo resta sospeso in pause rarefatte,
prive di materia
ed è già l’ora di coricarsi.
Il tempo
è niente.
5 – I FUOCHI D’ARTIFICIO
vampe,?vampe, vampe,?vampe, vampe,
vampe ovunque,
cielo che vomita fuoco
e abbaglia le stelle.
Resta negli occhi il lampo,
inutili le palpebre
e non serve fuggire via
perché tutto è vampe, vampe, vampe.
Gherardo serra le labbra
ma il tuono è già dentro
scorre nelle viscere
e gela le ossa
Piangono le foglie
scosse e ardenti
e Gherardo è soltanto
una nuvola grigia;
Non è che fumo e sudore
precipitati a terra.
Pioggia d’oro che resta
sulle pietre accese
Gherardo divorava l’aria
come se dovesse finire a momenti.
Acre saliva ancora il tuono
nella gola in frantumi,
tra fumi densi aderenti alla lingua,
appiccicati ai denti.
Le mosche bianche vedeva spegnersi,
stanche,
disfatte,
risucchiate in spirali evanescenti.
6 – IL NODO INVISIBILE
Il naso gelato, raccoglie le forze Gherardo mentre ricerca la misura del passo, l’attenzione, l’espressione convinta di chi ha il controllo della situazione. Così passeggia teso, compreso nel proprio ruolo, protetto dall’armatura grigia che a poco a poco si fa invisibile nelle ombre lunghissime del tramonto.
In lontananza si accende una prima fila di lampioni, gli risponde la fila antistante, mentre i fari di ghiaccio del retro del supermercato rimangono ostinatamente spenti. Meglio così.
<<Stai qui, non ti muovere>>, gli è stato detto. Oppure l’ha immaginato, ha pensato che fosse un motivo perfetto quello dell’attesa di nonsisaccheccosa, aprire la bocca al vento, seguire il disegno del piastrellato, accarezzare la memoria del percorso preciso che lo porta a fondersi coi fili d’erba.
Gherardo è una chiatta silenziosa,
lumaca scura che scorre lentissima
sul prato, affrontando sicura l’onta
dei cartoni vuoti e dei cuori di panna
dispersi, una domenica pomeriggio.
Attraversa il nulla con calma surreale
Per poi dal nulla ricominciare.
La pancia come un timone innervato
sonda il guanto melmoso del fondale.
Alito gentile, figura diversa e uguale
che a tratti fa stridere l’anima legnosa
e solo chi non la conoscesse
potrebbe pensare ad un lamento.
7 – IL LUNA PARK
Dietro colonne di cemento,
ciminiere come archi tesi
da corde di fumo che si annodano in cielo,
Gherardo vede le luci delle giostre all’orizzonte
e acceso di lacrime
va incontro alla grande ruota
punteggiato di colori tenui,
ad ogni passo un poco più vivi.
Arretra e si rigira
l’enorme granchio luccicante
solleva navi spaziali
con le zampe di ferro
gremite di canne e stantuffi
e cenci intrisi d’olio
volano bimbe zanzara
sulle oche bianche
Gherardo si mescola
al brusio vibrante
avanza come ombra nuda
rivestita di rampicante
riflesso dai petali d’argento
si specchia nella sera.
Giaciglio d’asfalto trafitto dall’erba,
cielo ferito, altare rovesciato,
ringhiere e cocci e barattoli di vero
crepitio di tutti i fuochi capovolti,
anima della montagna,
milioni di nodi sciolti,
tutti insieme, in un unico respiro,
ignorati dalle infinite stelle
che guardano solo il passato.
8 – IL SEGRETO DELLA SOSPENSIONE
Prenotata un’intera file di tre, Gherardo si appropinqua al guichet, i documenti in tasca, ma chissà poi dove ha le tasche Gherardo, nessuno ci fa caso, forse perché l’ovvia inconsistenza talvolta passa inosservata.
Gherardo è di buon umore.
Lo accoglie un giorno
Dello stesso colore:
Grigio com’è grigio un budino
dopo che è stato in forno
Per tre ore
Gherardo muove il codino
E si nasconde dietro a un fiore
Gherardo ama le rime semplici, ma vuol far da narratore. Gli cedo l’onere e l’onore, d’altra parte mi sento sempre più distaccato, quasi etereo, una bellissima Giapponese mi chiede spiegazioni. Fila tredici, mia cara, adesso passano quelli dalla uno alla…
(un istante infinito, e comunque non posso farci niente).
Era il primo maggio, credo, o forse ce n’erano stati altri prima, non ricordo con precisione. L’odore dolcissimo di mele fritte, la mensa dei poveri, da dietro la rete guardavo l’enormità’ del mondo. Le formiche disegnavano cruciverba. Uno verticale, un’ombra gigantesca mi taglia a metà, grigio scuro e grigio chiaro.
Il mio padrone si atteggia a gran maestro, muove le mani nell’aria, mi accecano i ritorni di sole.
La missione consiste nel recuperare la memoria, ritrovare l’inizio della storia, ogni indizio, il comizio, passa un tizio, oddio mi perdo ancora, navigo alla deriva, mi s’impasta la saliva, dove eravamo rimasti? I ricordi erano guasti? Spumante e mele fritte, ad Asti.
L’immobilità è percepire tutto questo, e arrivare al concetto che restano solo bottiglie vuote, tovagliolini e resti di cibo sul pavimento, c’è sempre qualcuno che rovescia i sott’oli…. L’odore trascorso, ormai dolciastro, rimane attaccato alla pelle. Così sarebbe stato per molto tempo, anche dopo quel primo maggio, a parte Samanta, le altre formiche non sarebbero più tornate, avendo ormai partorito il loro disegno generale: un interruttore che accende e spegne il mondo degli uomini, ogni ventiquattro ore, concetto semplice per noi ippopotami…
In quella seconda vita noi restiamo svegli o comunque neanche più assopiti del solito, non tanto per egoismo, quanto per recuperare il tempo, che manca sempre. Scrivo questa storia sulla sabbia. La maniacale precisione e la leggerezza di Samanta mi aiutano a lasciare una traccia leggibile. Negli anni settanta Samanta lavorava come tavolinetto (un tavolino di formica, molto molto piccolo, ma pur sempre anni settanta), ora si è riscattata, mi da’ retta, ma si fida di me fino a un certo punto, preferisce muoversi nella fossetta, che io talvolta mi trascino dimentico di me stesso, e del peso relativo, che per una formica deve corrispondere all’infinito (Samanta mi adora per questo).
Un ippopotamo potrebbe diventare immediatamente dieci milioni di formiche da un decimo di grammo, ma tutte assolutamente stupide. La mia ricchezza, questo pallido presentimento del passato, deriva soprattutto dalla quantità, e forse un po’ anche dall’odore di mele fritte, dal trucco dell’invisibilità, insegnatomi a suo tempo dal mio padrone (un pericoloso sbruffone, ma gli voglio bene lo stesso), sparire mi riesce assai bene, e nei giorni intermedi (noi ci riferiamo al venticinque Gennaio e mezzo, tanto per fare un esempio) non si deve temere neanche troppo affollamento sull’aereo. Ma chi pilota? Non ci sono regole, non ci sono eccezioni, tutto esiste in ragione di un enorme sforzo di volontà.
Intanto contemplo il mio padrone, fissato nella vanitosissima posa della spiegazione, questi momenti di sospensione umana sono un segreto mai rivelato, condiviso tra tutti gli animali del quinto quartiere e mezzo. Il sentore della terra percorsa da Samanta lo chiamo latte di formica, sale un odore acuto di tradimento, che si mescola alle mele. Mai condividere segreti con un ippopotamo narratore. E comunque non potete farci niente.
Gherardo l’ippopotamo è di una tenerezza disarmante. Complimenti!
Ciao,
sei sicuro che sia un racconto per bambini? Il tuo linguaggio è ricercato, molto ‘adulto’, i bambini forse farebbero molta fatica. L’avrei inserito in un’altra categoria. In ogni caso, mi è piaciuto.
Ciao Deepa, ciao Arianna, sono felice che abbiate apprezzato Gherardo, grazie infinite dei vostri commenti.
Ad Arianna rispondo che a mio avviso i bambini hanno bisogno di stimoli e di buone risposte, non di semplificazioni.
In “Alice nel paese delle meraviglie”, senz’altro un classico della letteratura per l’infanzia, il vocabolario è vasto, il linguaggio si può sicuramente definire ricercato e ci si può legittimamente chiedere se la lettura non sia adeguata anche per gli adulti. In effetti poter disporre di più piani di lettura è un vantaggio: i misteri possono avere soluzioni diverse a seconda del lettore e le domande irrisolte spesso costituiscono i più potenti stimoli motivazionali, producono una tensione che aiutano la stessa sopravvivenza della storia, che magari verrà ripercorsa successivamente.
Nella mia vita ho avuto modo di occuparmi di scienza e di divulgazione scientifica e devo dire che anche in quell’ambito il successo della comunicazione non si misura in termini di comprensione immediata (risultato che spesso induce ad una pericolosa quanto inutile banalizzazione dei concetti) bensì di fascinazione, di sfida ad approfondire un mondo fatalmente accattivante e complesso.
Difficilmente un bambino deciderà di fare del pianoforte una ragione di vita dopo aver ascoltato la perfetta esecuzione di una scala ma, pur non potendone cogliere subito il funzionamento, potrebbe percepire chiaramente la bellezza dell’esecuzione di un brano di Schumann (faccio giusto un esempio) e quindi decidere di darsi da fare per arrivare un giorno a riprodurre e anzi a superare quella meravigliosa/insondabile esperienza.
Fatte le dovute proporzioni e con estrema umiltà, quando parlo a un bambino cerco di non risparmiargli alcun passaggio “difficile”, appunto per non privilegiare un obiettivo immediato (la sua comprensione) sacrificando inesorabilmente quello a lungo termine (l’interezza del concetto, la fascinazione).
Ciao Paolo, anch’io come Arianna, trovo il testo difficile per i ragazzi; posso capire che la chiave di lettura segue le epoche ed ero ragazzo più di mezzo secolo fa. Forse può essere fatto un libricino con illustrazioni.Trovo il testo poetico.
Emanuele
Ciao Emanuele, grazie della lettura e dell’apprezzamento. In effetti la bravissima Anna Giordano a suo tempo (5 anni or sono) aveva già prodotto le illustrazioni per questa storia. Nel frattempo Anna è diventata un’illustratrice professionista per cui sono un po’ preoccupato dell’eventuale cachet… Per il resto vale la risposta data ad Arianna: non credo nelle semplificazioni; credo piuttosto nel tempo, nella bellezza di ricercar la parola giusta, che può essere apprezzata a maggior ragione da chi non la conosce ancora… credo nella fascinazione, nell’educazione alla pazienza, negli innamoramenti. La maggior forma di rispetto che si può avere nei confronti dei bambini è non accorgersi che sono bambini, parlare loro come se avessero già tutti gli strumenti per capire, perché in effetti questi strumenti li hanno! Spesso e volentieri più efficaci di quelli disponibili agli adulti; in effetti i bambini beneficiano in modo privilegiato dello strumento in assoluto più potente: quello di porsi e di porre delle domande su qualsiasi cosa.
Posso solo dirti che le filastrocche più difficili della mia infanzia son quelle che oggi ricordo con più facilità. Chissà che anche il tuo stile non sortisca questo effetto.