Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2015 “Punteggiatura di una frittata saporita” di Carla Ogrizek

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015

Premessa

Tutto è cominciato con una lavagnetta di ardesia, ben riposta in una custodia pluriball all’interno di un mobile per preservarla da polvere traumi ricordi. Una lavagnetta usata in cucina per appuntare con un gesso le cose, commestibili e non, che mancano in casa: farina latte lampadina a goccia limoni sedano carote concime.

Ogni volta l’elenco veniva cancellato con una spugnetta umida per lasciare il posto a un nuovo elenco e così di seguito. Sul retro si poteva leggere una serie di parole in caratteri cirillici, i giorni della settimana riportati in successione con una grafia attenta e tondeggiante, non a caso un po’ infantile. Ma sì, nonostante allora avessi più di vent’anni, era il mio goffo tentativo per attrarre l’attenzione di un padre a dir poco assente, una presenza (tra)vestita da uomo che frequentava poco assiduamente la nostra casa. Un ospite distante ed egoista, altro che incapace di comunicare, come spesso avevo sentivo dire. Ma era comunque mio padre, di cui adesso ricordavo un solo gesto d’affetto, lo scostare i miei capelli dalla fronte quando mia madre dimenticava di fermarli con una di quelle buffe e antiestetiche mollette che si usavano anni fa. L’ultima volta era successo durante una delle solite silenziose gite domenicali alle quali la mia famiglia si sottoponeva per recitare senza successo una commedia replicata settimanalmente. Eravamo tutti sdraiati su un prato, in un’atmosfera apparentemente serena e rilassata. Mio padre, un bell’uomo alto e robusto, mi teneva tra le braccia e io me ne stavo abbandonata in quello spazio rassicurante e pieno di promesse. Promesse? Quante delusioni, quante sofferenze, ma soprattutto quanto silenzio. Se ne sarebbe andato piano piano, senza una parola, una spiegazione, un saluto. E non l’avrei più visto.

Quel gesto lontano è l’unica fonte di attenzione e di calore paterno che mi sono portata dietro negli anni. Una riserva così piccola che, abbandonato in fretta il luogo dove abitano le emozioni, è sopravvissuta solo come ricordo muto.

 

Dubbio – Punto interrogativo

Era stato quel punto interrogativo a farmi rimettere in discussione il nostro rapporto mai iniziato, più corretto chiamarlo approccio. “Ma che faccio mollo tutto?” mi aveva scritto nel suo sms la sera di Capodanno. Aspettava solo che fossi io a chiedergli di mollare tutto, costringendomi a venire allo scoperto e a decidere anche per lui, o aveva semplicemente sbagliato a non usare un punto esclamativo? Perché in quel caso la frase avrebbe assunto un significato meno ambiguo, anzi decisamente inequivocabile. “Ma che faccio mollo tutto!” avrebbe infatti voluto dire che non poteva continuare a rispondere mentre sedeva a tavola con i suoi amici. E questa in effetti, a dispetto di quel punto interrogativo, era stata la sua spiegazione! L’ultimo messaggio ricevuto, nonostante fosse rimasta in sospeso una mia domanda. Comunque l’idea che aspettasse da me un invito e che il gioco fosse nelle mie mani mi coglieva di sorpresa. Per un attimo si erano ribaltati i ruoli e mi ero sentita scoperta e impreparata.

Esitazione – Puntini di sospensione

Un rapporto sbilanciato il nostro, all’inizio molto spontaneo da parte mia e pieno di freni e chiusure da parte sua. Ero precipitata in un coinvolgimento profondo, un’energia che aveva fatto diventare quella persona, fino a pochi giorni prima inesistente e insignificante, il centro delle mie emozioni. Per paura e per assuefazione alla solitudine avevo ormai rinunciato da tempo all’idea di una relazione affettiva, rassegnandomi a vivere in una sorta di stato anestetico, un torpore deludente ma rassicurante. Ora, all’improvviso, ritrovavo la forza dei miei sentimenti, arricchiti da una maturità e una consapevolezza che li buttavano fuori in modo spontaneo. Una riscoperta inattesa, che mi faceva sentire leggera e felice. Ma…

Ritualità – Virgola

Ci eravamo conosciuti tramite una comune amica, che andavamo a trovare ogni domenica per tenerle compagnia. Convalescente da diversi mesi a causa di una grave malattia che non le consentiva ancora una mobilità piena, la sua casa era una specie di approdo per naufraghi, dove ognuno cercava un po’ di sollievo alla propria condizione di solitudine. Chiunque poteva aggrapparsi a quella boa, c’era uno zoccolo duro di fedelissimi e alcuni ospiti saltuari. Ognuno di noi preparava qualcosa da mangiare e si ricreava quel clima festoso e conviviale di una volta, da pranzo della domenica in famiglia. Una riserva per tirare avanti fino alla settimana successiva. A distanza di molti anni da quella gita campestre un altro rituale nella mia vita si replicava settimanalmente.

Dettaglio – Doppi apici

“In realtà la casa della nostra amica era la casa, fatiscente e trascurata, dei genitori e lei, dopo aver perso il compagno, vi si era trasferita poco prima che la madre morisse. La sensazione era quella di un ventre materno dove, in un liquido amniotico ormai torbido e stagnante, lei si era rifugiata in cerca di protezione. E noi con lei, ciascuno per combattere il proprio disagio esistenziale. Poi avrebbe comunque vinto la vita con tutte le sue contraddizioni e i suoi limiti e ognuno di noi avrebbe scoperto l’inadeguatezza di quella melma nostalgica, da cui presto ci saremmo staccati in modo definitivo per fare i conti con la vita reale. Una seconda nascita. Traumatica come ogni nascita ma questa volta consapevole del fuori cinico e indifferente che ci aspettava. Solo la nostra amica era costretta dal suo stato di salute a prolungare la permanenza in quella pancia domestica, in attesa di riprendersi rinnovati spazi di vita”.

Dialogo (virtuale) – Caporali

«Il nostro rapporto, ma forse sarebbe più corretto dire il “mio”, era nato per caso, inaspettatamente, quasi a sua insaputa, perché quella persona che mi era stata presentata non aveva sicuramente attirato da subito la mia attenzione. Poi c’erano state delle piccole coincidenze che ci avevano avvicinato: stesso veterinario, stesso negozio di animali, letture comuni, i violini di Cohen, scelte politiche condivise e, soprattutto, trovarci spesso sulla stessa lunghezza d’onda nelle discussioni con il resto del gruppo. In sintonia. Ma la persona che avevo davanti era così piena di difese che, ancora oggi, non so se il suo essere sfuggente fosse dovuto alla paura di un coinvolgimento o semplicemente al fatto di non provare nei miei confronti particolare interesse. Ed era stato proprio lui ad alimentare quel dubbio spostando il nostro rapporto domenicale sul piano virtuale degli sms e io, pur di mantenere l’unico scambio che potevo avere con lui, lo avevo assecondato in una gymkhana di messaggi snervanti che si ripetevano giorno dopo giorno fino alla domenica successiva. Era l’unico tipo di comunicazione che mi veniva concesso, perché lui detesta il telefono e non ha mai voluto creare un rapporto reale al di fuori dei nostri incontri domenicali. Per me erano previsti due “recinti”, la casa della nostra amica e lo schermo del cellulare».

Chiusura – Punto

Il mio entusiasmo si era così via via smorzato perché certamente quel tipo di contatto non consentiva una comunicazione vera, piena. Mancavano le interazioni, le pause, le modulazioni della voce, per non parlare degli sguardi e dei movimenti del corpo. Era impossibile interagire, difficile articolare i discorsi e così gli equivoci non venivano chiariti e molte domande rimanevano inevase. Io annaspavo sempre più mentre dall’altra parte la chiusura era quasi totale, tanto che ho cominciato ad incalzarlo per provocare una qualsiasi reazione che mi desse elementi per conoscerlo e capire le sue reali intenzioni. A quel punto il rapporto si è logorato, è diventato faticoso e cerebrale, alcuni miei sms hanno assunto un tono accusatorio, quasi inquisitorio, i suoi quello di chi sente che la propria libertà è minacciata. Poi la fuga da parte sua e i miei ultimi messaggi senza risposta.

Meraviglia – Punto esclamativo

Unica certezza di un suo qualche interesse nei miei confronti era stata una frittata saporita, preparata esclusivamente per me in quella domenica in cui per la prima volta mi ero sentita oggetto non solo virtuale delle sue attenzioni. Arrivata tardi per impegni di lavoro mi ero seduta a tavola da sola ed ero stata servita con molta premura da quella persona. Non avrei mai immaginato che una frittata potesse assumere un ruolo decisivo in quella storia mai nata, che uova e cipolle potessero marcare il confine tra l’indifferenza virtuale e la speranza di un rapporto vero!

Precisazione – Due punti

Quella che nelle mie intenzioni poteva essere una storia importante è diventata un peso doloroso che mi porto dentro, soprattutto perché ancora oggi quella persona con cui credevo di essere entrata in contatto mi è totalmente sconosciuta; anche se, per un’inspiegabile strana alchimia, ho comunque la sensazione di conoscerla profondamente da sempre. Ora trascino la mia vita come un cane al guinzaglio: nutrito, accudito ma totalmente privo di libertà e di gioia, l’unica condizione che ci rende capaci di amare veramente. Al mio “animale” posso garantire solo una confortevole sopravvivenza.

 

Sintesi finale

Penso di continuo a quella vecchia lavagnetta. Ma dove sarà finita?

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3 commenti »

  1. Interessante come un oggetto possa sancire l’inizio di molte cose…

  2. Originale modo di descrivere il rapporto tra due persone utilizzando i segni usuali della punteggiatura, l’effetto è efficace a dimostrazione della padronanza della materia.
    Certo è molto limitato un rapporto che utilizza un incontro domenicale e i messaggi sms. Il rapporto ha bisogno del suono della voce per esprimere tutto quello si prova quando non si è vicini e sopratutto per chiamare la persona per nome.

  3. Una prosa che definirei perfetta. Mi piace lo stile, preciso e puntuale, ironico e profondo. L’idea di narrare una storia attraverso la punteggiatura è portata a termine con coerenza e classe. La vicenda in sé, poi, mi sembra esemplare; non è raro un comportamento simile da parte di un uomo. Direi che è inspiegabile e in qualche modo masochistico. perché in fondo trattenersi e negarsi all’amore fa male soprattutto a se stessi. Una specie di catenaccio a oltranza, per usare un termine calcistico. Il paragrafo che ho preferito, se proprio devo sceglierne uno, forse è “Dettaglio-Doppi apici”, per la potenza delle immagini. Complimenti davvero!

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