Racconti nella Rete 2010 “La resa dei conti” di Giuliana Ricci
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010
Alessio li odiava tutti, persino suo padre, ma mai quanto odiava se stesso per aver commesso un così grossolano errore. Non riusciva a trovare le parole, non trovava niente da dire a sua discolpa che non suonasse idiota. Non c’era modo di riscattarsi da quella situazione dolorosa e imbarazzante.
Rimpiangeva di non essere andato direttamente a casa. Se non fosse passato dall’ufficio di Arturo, non avrebbe trovato sua moglie tra le braccia del suo migliore amico.
Disgustato di se per l’incapacità di reagire, era rimasto lì impalato, in preda allo sconcerto.
All’improvviso aveva deciso di andarsene e in tutta fretta, neanche avesse percorso un pavimento pericolante che cadeva tragicamente a pezzi dopo ogni suo passo. Quando era arrivato in strada l’aria fredda dell’inverno lo aveva aiutato a respirare e adesso era ancora lì, a girare a caso lungo i marciapiedi della città.
Era solo una lunga passeggiata che non lo portava a niente, ma avrebbe continuato anche tutta la notte se ne avesse sentito la necessità. Del resto dove poteva andare? Nessuno era a casa ad aspettarlo. Aveva motivi fondati per crederlo.
Voleva solo stancarsi fino al punto di non desiderare altro che riposare, ma il centro della città non era un luogo per camminare con la testa nei pensieri. Essendo l’ora di cena di un sabato sera, una marea di gente si era riversata nelle strade e c’era una gran confusione di rumori, voci e luci. Tutto questo lo infastidiva e si allontanò verso la periferia più buia e silenziosa.
Stava vivendo una specie d’incubo che, pur non avendo niente di impressionante, si sviluppava inspiegabilmente in una progressiva perdita della realtà. Qualcosa non quadrava, ma cosa fosse gli sfuggiva.
Alzando gli occhi verso un lampione, s’accorse di essere nelle immediate vicinanze della sua ditta di articoli sportivi. Il suo ufficio poteva essere il rifugio che stava cercando: a quell’ora lo avrebbe trovato sicuramente deserto.
Non accese neanche le luci, la penombra dovuta ai lampioni della strada era più che sufficiente dal momento che conosceva l’ambiente a memoria. Si lasciò cadere nella poltrona. Non aveva un temperamento violento ma sentiva il prepotente desiderio di prendere tutto ciò che aveva davanti agli occhi, sulla scrivania, e di scaraventarlo contro il muro. Non riuscì a farlo. Fino a quel momento era stato l’artefice della sua vita ed ora era ridotto all’impotenza.
Aveva costruito un mondo di certezze tutte sue che, alla resa dei conti, non rispondevano a verità. E ciò che giudicava più grave, era arrivato a trentacinque anni prima di riuscire a trovare Vanessa, la donna della sua vita, e poi l’aveva persa tra le braccia del suo migliore amico.
A complicare le cose cominciava a rammentare alcune domande poste da suo padre. Non tardò a rendersi conto che lui sapeva o almeno sospettava. Spinto, però, dalla sua tendenza alla segretezza per fatti che sarebbero andati a finire sulla bocca di tutti e dalla paura per ogni equilibrio che rischiava di rompersi nella vita, aveva chiuso gli occhi. Era arrabbiato anche con lui … mondo infame.
Lui, invece, avrebbe controllato se quei dubbi corrispondevano alla realtà e se così fosse stato avrebbe rotto il suo matrimonio e cambiato il suo testamento.
Era vero? No. In fin dei conti, quando li aveva visti l’una nelle braccia dell’altro, che cosa aveva fatto? Era fuggito.
Di colpo si sentì come svuotato e quella stanza priva di colore, com’era tipico di qualsiasi ufficio, non faceva che alimentare una pena inconsolabile per tutto ciò che era andato perduto. Ancora li vedeva davanti ai suoi occhi, abbracciati e talmente confusi, da non essersi accorti della sua presenza. Eppure era entrato con una certa vivacità nell’ufficio del suo amico per salutarlo.
Ecco il particolare che stonava. Come era possibile che non l’avessero visto?
D’improvviso la consapevolezza, un pugno in pieno stomaco.
Rammentò di essere uscito prima dall’ufficio quella sera e di aver deciso di passare a trovare Arturo per invitarlo a cena.
Rammentò il momento in cui l’automobile aveva sbandato per lo scoppio di un pneumatico e, una volta fuori dal veicolo, le tracce di un’inutile frenata ben visibili sull’asfalto: portavano oltre il fossato, lungo il muro del parco.
Rammentò anche di aver visto l’auto completamente distrutta e di aver pensato all’impossibilità di uscire vivi da quei rottami.
Poi, il suo stato di confusione mentre decideva di raggiungere comunque l’ufficio dell’amico per chiedergli aiuto: non era ferito … non gli sembrava … ma qualcosa non andava … non era più lui.
Infatti, non ne era uscito vivo … ma quello che aveva visto in seguito, gli aveva fatto dimenticare tutto il resto.
Così aveva potuto osservare quanto accadeva senza essere visto e scoprire quanto fosse innamorato di Vanessa. Desiderava ancora, nonostante tutto, starle vicino e, dal suo angolo invisibile, era pronto a proteggerla dalle sue debolezze e dai suoi errori.
Fu per questo motivo, per esserle vicino, che si ritrovò alla lettura del suo testamento. Ironia della sorte, il notaio che lo aveva consigliato nella divisione dei beni, cose per lui ormai senza alcun significato, era proprio Arturo. Ma anche questo ormai non aveva più alcuna importanza.
Li osservò tutti mentre attendevano seduti. Suo padre aveva delle profonde occhiaie bluastre e quei movimenti languidi e pesanti che rivelano una mente affaticata. La domestica che lo aveva accudito per anni piangeva copiosamente. Vanessa no, non piangeva ma avrebbe mosso a compassione chiunque: lui stesso si chiedeva come riuscisse a fingere un così intenso dolore, un sentimento che mai compariva nel suo aspetto, quando era in privato. Fu come se la vedesse per la prima volta, come una qualsiasi sconosciuta che recitava la sua parte, in attesa di un evento.
All’improvviso quella triste espressione mutò per lasciare il posto ad un insolito turbamento. Qualcosa di orribile e spaventoso, un abisso d’orrore, l’aveva colta. Non stava più recitando. Anche il dolore più intenso sarebbe stato espresso con un linguaggio diverso da quello che leggeva sui suoi lineamenti stravolti. Ebbe l’impressione che, per qualche incomprensibile ragione, fosse riuscita a vederlo e ciò avesse provocato quel terribile pallore.
Infatti, tutto questo era successo quando per caso s’era voltata verso di lui. Si era anche puntellata con le mani sui braccioli della sedia come se fosse sul punto di alzarsi per andarsene, ma poi aveva distolto lo sguardo, riacquistando la sua compostezza.
Quando anche sua sorella fu arrivata, Arturo iniziò la lettura del testamento e portò a termine tutta l’obbligatoria procedura. Alessio si estraniò: aveva valutato fino alla nausea le decisioni che riguardavano quel documento. Tornò tra i presenti solamente quando Arturo salutò gli ospiti dopo averli accompagnati alla porta.
Solo Vanessa era rimasta dentro la stanza. Arturo l’abbracciò e la baciò.
– Che bravo! Sapeva che non avrei avuto bisogno di tutto quel denaro ma che lo avrei desiderato. – constatò Vanessa.
– Doveva lasciare la sua fortuna a qualcuno. – tagliò corto Arturo – Ma come ha fatto ad uscire di strada? In quel punto il tratto è dritto e privo di ostacoli. Sembra quasi che abbia voluto uccidersi. – disse poi pensoso.
Lei lo scrutò con bonaria ironia:
– E’ scoppiato un pneumatico. Non è stato un suicidio. – affermò con tono persuasivo e quella frase rimase sospesa nell’aria come se ancora volesse dire qualcosa, ma valutasse le parole adatte per esprimerla – Sono sicura che, durante l’incidente, non avesse la minima idea di fare una cosa tanto altruista. – aggiunse poi tranquillamente.
– Sei una piccola belva. – la rimproverò Arturo – Giuro che a volte mi spaventi. Io, invece, non sono fiero di me e sto male … Ho bisogno di bere qualcosa di forte. Ne verso anche a te?
– No, grazie. C’è già il denaro a darmi alla testa. Pensa che per un attimo mi è sembrato di vederlo, proprio là, nell’estremo sforzo di dominarsi come quando si adirava fortemente.
– Non credo proprio. Penso si tratti più di coscienza sporca, ma a te passerà. – la rassicurò Arturo prima che lei aprisse la porta ed uscisse.
Mentre sostava nel pianerottolo per infilarsi i guanti, Alessio la osservò disilluso e decise che doveva starle accanto. Non per amore, non più.
Se davvero era riuscita a vederlo per un momento … se questo era stato realmente possibile … sarebbe potuto accadere di nuovo. Forse avrebbe potuto anche sentirlo. Stava solo a lui trovare il modo per riuscirci.
Avrebbe potuto spaventarla ogni volta che si azzardava a toccare i suoi soldi e, allo stesso modo, impedirle di prendersi gioco ancora degli altri.
– Sono qui! – le sussurrò, in un primo tentativo, vicino all’orecchio – Per sempre!
Lei alzò la testa, guardò nell’aria che la circondava con occhi interrogativi e penetranti. Per un brevissimo istante diede l’impressione che avrebbe gridato aiuto ma, poi, si trattenne. Il suo volto era diventato nuovamente pallido e, in preda alla paura più cieca, serrò le labbra così forte che divennero esangui. Si avvolse impulsivamente nel cappotto mentre, tremante come una foglia, cominciò a scendere le stesse scale lungo le quali, un’ora prima, era salita con grande baldanza.
…un bel giallo…imprevedibile fino alla fine…speriamo che Alessio la spaventi per benino!