Premio Racconti nella Rete 2015 “Ventotto gennaio” di Anna Nicolini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Sara viveva a Venezia, condivideva un appartamento con altre cinque ragazze e la casa era un porto di mare, la sera c’era sempre qualcuno a cena e poi festicciole improvvisate o lunghe chiacchierate con musica. Per Sara si avvicinava il momento della partenza per il suo stage in Cina, voleva a tutti i costi chiudere alcuni esami prima di partire, la mattina frequentava le lezioni, il pomeriggio lavorava qualche ora in un baretto in Campo S. Margherita e la sera doveva assolutamente studiare ma in casa era impossibile. La sala studio della facoltà di Architettura era aperta fino a mezzanotte ed era a pochi minuti a piedi da casa così lei la sera verso le otto si chiudeva lì dentro e cercava di studiare.
Sara aveva notato un ragazzo seduto sempre da solo nell’ ultima fila di banchi, lo guardava di sfuggita entrando, poi si sedeva nelle file più avanti e gli voltava le spalle, aveva come la sensazione che lui la osservasse da dietro ma non si girava mai, cercava di stare concentrata sui suoi libri. Dopo un paio d’ore lui regolarmente si alzava e usciva un attimo per una pausa, lei lo guardava camminare di spalle e aspettava che rientrasse spiando da sotto gli occhiali, rientrando lui incrociava il suo sguardo e abbozzava un sorriso, poi se ne tornava al suo posto.
Sera dopo sera, settimana dopo settimana, lui sempre seduto al solito posto, lei al suo, alcune sere mancava lei, altre – rare – non c’era lui. Sara usciva sempre tardi, un attimo prima della chiusura, si alzava e raccoglieva le sue cose, buttava uno sguardo veloce indietro e lui era sempre ancora lì a testa bassa. Sara aveva notato che spesso lui non studiava ma leggeva dei libri, romanzi, poesie, letture per diletto e lei si chiedeva perché mai questo ventenne stesse a leggere in una stanza così asettica invece che steso sul bordo di un canale nell’ atmosfera magica di quella città meravigliosa in cui avevano la fortuna di vivere, come faceva lei quando si prendeva mezz’ora per leggere la sua amata Szymborska.
Una sera come un’altra Sara esce assorta nei suoi pensieri, fa fresco e indossa un giubbotto caldo, nell’uscire dal portone l’aria umida del canale le punge la fronte, lei si tira su il cappuccio, abbassa il mento e si incammina verso casa. Accartocciata in quel suo rifugio sente una voce che dice qualcosa e una presenza che le si avvicina, si volta e vede lui che allunga la mano nella quale stringe un paio di occhiali.
“Li avevi dimenticati sul banco”
Sara ringrazia impacciata, scambiano due parole veloci e poi via sotto il cappuccio.
La sera successiva, alle otto puntuale Sara entra in aula e lo vedo seduto in seconda fila – al posto dove di solito siede lei – si avvicina e prende posto a fianco a lui, lui sorride e si ributta sui suoi libri. Dopo una mezz’ora lui appoggia una matita sul libro di Sara, lei lo guarda, lui le fa cenno di uscire, escono e chiacchierano un po’.
Da quella sera Sara e Marcello diventano inseparabili.
Per qualche mese si frequentano ogni giorno, sono amanti e amici sinceri, condividono tempi e spazi, vicende, giornate, nottate, amici e letture.
Un amore giovane e intenso tra uno studente di economia appassionato di finanza e di belle letture, ambizioso e intraprendente fuori, dolce e fragile dentro e una studentessa di lingue diligente e precisa fuori, timida e tormentata dentro.
Arriva il momento della partenza di Sara per il suo semestre in Cina, fuori è spavalda ed entusiasta, dentro di sé brulica di timori per quello che la aspetta e lui – che la legge dentro come pochi altri – l’ha capito bene. La loro ultima sera insieme camminano in una calle con degli amici, Sara se ne sta a testa bassa un po’ in disparte, lui si avvicina e le dice deciso che la vuole vedere alzare il mento e camminare a testa alta
“Non abbassare mai lo sguardo, vai, trova la tua verità e torna a raccontarmela”
Sara parte per la Cina pochi giorni dopo con un paio di libri di Marcello nello zaino. Uno è “Il Profumo” di Suskind, il libro perfetto per il posto dove deve andare, la Cina è una pervasione totale di profumi e di odori che ti entrano dentro e non ti mollano mai. Da giovane studentessa Sara vive la sua esperienza in Cina con grande fervore, è sempre attiva e molto felice, conosce persone, vive esperienze, impara cose, è fantastico. Ogni tanto prende la bici e pedala fino all’internet cafè a pochi isolati dall’università per scambiare qualche mail con i suoi genitori e qualche amico e amica.
Nella posta in arrivo non manca mai una mail da lui. Marcello le sta vicino da lontano in modo pacato e sincero, è un ragazzo sensibile e la vita lo sta mettendo un po’ alla prova ma ne esce con grinta.
Lei a lui: Qui come non mai m’innamoro di luoghi, di attimi, di persone. Mi succede da sempre ma solo recentemente è diventato qualcosa di cui non mi vergogno, qualcosa che mi sono imposta di sentire liberamente.Ci sono volte in cui non vorrei farlo. Non vorrei innamorarmi di quei colori, suoni, profumi o di quelle voci, degli occhi, che insieme all’ebbrezza coinvolgente e straniante portano quella sensazione bastarda che presto o poi finirà, che non ci sarà più. Quella malinconia preventiva che mi dice “Lo sai come ti sentirai dopo. Privata, orfana di tutto questo. Sei pronta ad affrontarlo? Ancora una volta, l’ennesima? fino a quando?”.Non è paura di gettare cuore e scarpe oltre l’ostacolo. O meglio di tuffarsi in quella pozza di emozione. E’ il timore che a furia di immergersi in questi torrenti, mi ritroverò in mare aperto. Quello che temo è il non aver più le forze di tornare a terra. E ricominciare. Perché tra il non avere e l’avere e il perdere, il conto non è pari, ma sempre, sempre in passivo. E ho paura che a furia di perdere unità, frammenti, arriverà il momento in cui i crampi mi prenderanno, la’ fuori, sola. E non potrò far altro che restare a galla col mio rigido giubbetto di amara consapevolezza, andando lentamente alla deriva.Per ora questa paura è sotto controllo. Per ora continuo a lasciarmi avvolgere, a perdermi, a volte a naufragare in quei momenti. E faccio foto. A volte con una macchina, più spesso con gli occhi e con la pancia. Foto di luoghi che attraverso. Foto di sconosciuti che incrocio. Foto di persone che mi attraversano e a volte restano, altre volte no. E così faccio anche foto di me che sono sempre più un collage di tutte queste istantanee, cercando di sostituire con nuove quelle che man mano vado perdendo. Per tenermi insieme e continuare a viaggiare per questo continente che mi è toccato in sorte.
Lui a lei: “Tu sì che stai bene al mondo…” mi dicono col sorriso sornione…Sì, io ci sto bene al mondo. Ma non per il motivo che pensi tu. Il mio star bene al mondo è una forma mentis. E ne ho fatte di battaglie nella mia testa per arrivare a questo armistizio. Il mondo non gira intorno a te, non gira intorno a me, non gira intorno a nessuno. Il mondo se ne sbatte così allegramente le balle dei tuoi piani. Ti si sfracellano progetti al suolo come pile di piatti. Un piatto. Due piatti. Tre piatti. Quattro…Cinque…E allora? Ho imparato che farsi su le maniche è un punto di partenza migliore che mettersi in un angolo a recriminare i propri diritti. La tranquillità con cui faccio spallucce oggi, me la sono stracciata via dalle vene. Sorrido al prossimo. Sorrido anche a chi quel sorriso ha provato a spegnerlo senza pensare a quanto sia doloroso spegnere il sorriso a qualcuno. Ho una bella vita, io. Ce l’ho tutta nel cuore la bellezza della mia vita. Mi travolge quando mi siedo accanto alle persone a cui voglio bene. Ma ti devi schiantare contro gli scogli per capirlo. Devi viverti, devi subirti, devi capirti. Devi perdonarti. E poi devi ricominciare. Mille volte. Come fosse la prima.
Quando Sara torna dalla Cina è estate e lui è già partito per un master di un anno in Inghilterra, continuano a scriversi via mail e si scambiamo anche qualche bella lettera scritta a mano ma con il tempo i rapporti si raffreddano.
Lei a lui: Vietato sbagliare. Vietato chiedere aiuto. Vietato fermarsi. Essere sempre al top, mai cedere, mai avere un momento di esitazione. Essere sempre in forma perfetta nel corpo e nella testa. Non aspettarsi niente. Non chiedere niente, neanche un abbraccio. Sono stanca.
Lui a lei: Le persone con la tua sensibilità o cambiano il mondo o impazziscono.
Si re-incontriamo a fine estate dell’anno successivo, lei sta dando gli ultimi esami, le manca solo la tesi e non vive più nell’appartamento a Venezia, fa la pendolare un paio di giornate a settimana e si appoggia una notte ogni tanto da qualche amica se serve. Lui fa la stessa cosa. Si riavvicinano abbastanza anche se non sono più le stesse persone, sono passati quasi due anni, sono cresciuti in fretta, le esperienze all’estero li hanno cambiati ma si vogliono sempre un gran bene e riprendono a frequentarsi.
Una sera di Dicembre si fermano entrambi da un amico che dà una festa nel suo appartamento, una bella serata, passano lì la notte insieme e la mattina scendono in campo a fare colazione al solito baretto. Qui si scatena una discussione, lei permalosa impulsiva e zuccona, lui una bella gatta da pelare, si scontrano con forza. Lei si alza e se ne va, sale in casa a prendere la sua roba e lo lascia lì seduto, quando scende lui non c’è.
Era il 1999, nessuno dei due aveva ancora il cellulare al tempo e l’unico modo per comunicare a distanza erano le e-mail. Lei aspetta per tutte le vacanze di Natale che sia lui a scrivere ma non riceve niente. Sara non è in contatto con nessuno dei suoi amici, ha il numero di casa dei suoi genitori a Ferrara ma non chiama, troppo orgogliosa. Lui aveva il numero di casa di lei e avrebbe potuto chiamare lui se avesse voluto.
A Febbraio decide di scrivergli
Lei a lui: Credo nella legge dell’attrazione, quando emani un certo tipo di energia attrai l’energia corrispondente e credo che questo sia quello che succede quando due si innamorano. Quando ti limiti a voler essere amato pensi che quella è la felicità poi ti rendi conto che non sei felice perché l’unica cosa che rende felici davvero non è essere amato ma amare, donare senza chiedere. Ho capito che l’amore si offre come il the, non si chiede come l’acqua, e che la vera forza dell’universo – come dici tu – è l’amore che si dona non quello che si riceve. Quando finalmente riesci a liberare l’amore da dentro di te allora trovi la serenità interiore, finché stai nell’atteggiamento per cui ti aspetti e magari invochi l’amore e la presenza degli altri ti condanni ad un’infelicità perenne. L’ho imparato grazie a te, grazie a te la mia vita è migliore, è dono puro a te e agli altri. Chiamami, ho voglia di vederti.
Non ci sono nuovi messaggi
Non ci sono nuovi messaggi
Non ci sono nuovi messaggi
Gli anni passano e la vita continua, Sara non l’ha mai più rivisto, né sentito, né letto ma lo tiene nel suo cuore e a volte pensa a lui. Nell’era di Facebook scrive qualche volta il suo nome e cognome, trova alcuni omonimi ma mai lui. Si dice che per come lo ricorda effettivamente non era il tipo da social network, riservato e poco incline alla condivisione dei fatti suoi, asciutto e concreto non passerebbe mai del tempo su “faccia libro”.
Un giorno rientrando da un viaggio di lavoro in aereo Sara ha la netta impressione di vederlo, intravede un ragazzo sul transfer dalla pista all’aeroporto, sembra proprio lui, prova ad avvicinarsi ma lui si disperde tra la folla.
Sono passati molti anni da quel giorno, anni in cui Sara ha vissuto intensamente la propria vita senza più pensare a lui.
Fino a stasera
E’ il ventotto Gennaio ed è stata una lunga giornata, Sara è stanca, fuori c’è la neve, la sua amata neve che tutto copre e tutto calma ha iniziato a scendere leggera nel tardo pomeriggio mentre rientrava in auto dall’ospedale. Una biopsia midollare, un cavatappino nella schiena e via, nei prossimi giorni si vedrà cosa la vita le riserverà per i prossimi mesi, potrà continuare ad essere la donna mamma moglie amante amica iperattiva multitasking ansiosa ma positiva energica-salvo-crolli di sempre o dovrà iniziare a rivedere i ritmi i tempi e i modi della sua vita e battersi a duello con quella simpatica piccola massa che se ne sta lì tra L6 e L7?
Ora non è il momento per pensarci. La stanchezza si fa sentire – e non è solo nel fisico – ma lei sa che è il momento di aggrapparsi alle piccole cose, piccoli gesti, spostare gli oggetti nello spazio per fare spazio al cuore. Riordina un po’ casa prima di andare a letto: raccoglie le scarpe dei bambini che spuntano da sotto il divano, accartoccia il sacchetto marrone dell’umido e lo mette fuori sul terrazzino imbiancato, si lascia rinfrescare il viso dall’aria fresca. Ora cammina lenta verso la camera da letto. Sul muro nero lucido del corridoio si staglia la sua amata libreria, Sara si ferma e prende un libro a caso, le viene in mano “Il Profumo” di Suskind, lo porta a letto con sé, legge un paio di pagine e poi crolla.
E sogna Marcello
Il giorno dopo Sara apre google e scrive lì il suo nome e cognome, non l’aveva mai fatto prima, chissà perché. Si aprono una serie di record, per lo più necrologi e un paio di articoli di giornali. In alcuni c’è anche la sua fotografia. E’ lui ed è morto in un incidente d’auto il 28/1/2000
Sara è sconvolta, per anni l’ha immaginato in carriera e con una bella famiglia, qualche filo bianco tra i suoi riccioli scuri, gli occhi piccoli e spesso lucidi. Sperava per lui che avesse la fortuna di avere vicino una donna innamorata e un paio di marmocchi che lo guardavano a naso in su attaccati alle sue ginocchia e questo le bastava e invece lui era morto nemmeno due mesi dopo la loro ultima e unica discussione. Per quanto si sforzi Sara non riesce a ricordare il motivo della discussione, è assurdo, ricorda un sacco di dettagli, ricorda il suo viso, la sua voce, il suo profumo, ricorda addirittura come erano vestiti ma non riesce a ricordare di cosa parlavano.
Sara ha sognato Marcello una sola volta nella vita, proprio in un giorno così critico della sua vita e proprio nel giorno dell’anniversario della sua morte. Sara si convince che per anni lui l’abbia guardata da lassù e che quella notte sia venuto da lei per dirle che non è ancora il momento di raggiungerlo.
Lei a lui: Galleggi con facilità nel mare salato della vita, hai imparato a nuotare da bambino e ormai è un insieme di automatismi. A volte galleggi abbandonandoti dolcemente al mare calmo, a volte ci sono onde alte e devi faticare di più per stare a galla, a volte la corrente è a tuo favore e ti sposti nel mare nuotando velocemente e con poca fatica, a volte la corrente ti si muove contro e devi nuotare spingendo più forte, a volte piove e ti bagni sopra e sotto, a volte il sole è tiepido e ti scalda il viso fuori dall’acqua. Ma il mare è imprevedibile, a volte all’improvviso, senza che tu te lo aspetti, senza che tu sia preparato, arriva una tempesta con pioggia battente e schizzi ovunque che ti offuscano la vista, onde molto alte che ti travolgono e forti correnti che ti trascinano, tu combatti – e combatti con tutte le tue forze – ma non hai abbastanza energia, inizi a lasciarti andare giù, il mare ti inghiotte poco per volta, poi sempre di più. Gli altri individui galleggianti attorno a te ti vedono ma non possono fare molto, ti incitano, ti spronano a non lasciarti andare ma non possono darti la mano, il mare è in burrasca anche per loro, anche loro devono cercare di stare a galla e se ti dessero la mano verrebbero tirati sotto insieme a te. Vai giù, sempre più giù, nessuno ti vede più, fino a che i piedi toccano il fondo ed è proprio nel toccare il fondo che trovano un appoggio per darti una spinta e tornare a galla. Torni su, tossisci, sputi l acqua che hai bevuto, ti scaldi il viso al sole che è tornato, ci sono ancora onde intorno ma sono gestibili, riesci a galleggiare. Ti senti forte ed entusiasta di respirare di nuovo aria, sei stanco, non riesci ancora a nuotare veloce, però riesci a galleggiare. Ti guardi intorno e ti rendi conto che qualcuno è ancora lì intorno e ti saluta, vede che sei un po’ scosso ma ti sorride, qualcuno non c’è più’, è scappato per paura di essere tirato a fondo da te, qualcuno si è solo allontanato impaurito dalla tempesta ma tornerà, oppure tu, appena avrai riacquistato l energia necessaria per nuotare, lo andrai a riprendere.
Quanto vorrei poterti venire a riprendere.
Anna, bravissima.
C’è poesia nei testi in corsivo che sono tanti nel tuo racconto, Sono i sentimenti dei protagonisti, Sara e Marcello, è la loro visione della vita. Deve far riflettere il pensiero conclusivo, formulato come il discorso di “Lei a Lui: Galleggi …”
Complimenti
Commovente. E’ incredibile come a volte il tempo si trasformi in destino, e come una parola non detta resti silenzio per sempre, per sempre. Bella l’idea delle mail. Complimenti
Grazie per i commenti! In bocca al lupo a voi per il concorso