Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2015 “Giochi pericolosi” di Ermanno Lombardo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015

Quando le era capitato di pensare alla morte, doveva averla immaginata come uno scheletro che indossava un mantello nero e impugnava una falce. Come in quella carta dei tarocchi che mi mostrava da bambino. Sorrideva, allora, Mariella di fronte al mio spavento, mentre tornava a mischiare le carte: “Sono solo carte. Non devi avere paura”, diceva. Poi allargando il sorriso aggiungeva: “È solo un gioco”.

La morte invece, quando la raggiunse, aveva le guance piene, gli occhi chiari e i capelli intrisi di gel di un ragazzo di circa venticinque anni un po’ in sovrappeso. Così avevano riferito i pochi testimoni. Le si era rivolto chiedendo un’informazione e lei aveva persino sorriso. Sembrava che si conoscessero, azzardò qualcuno. Questo però accadde prima che gli occhi del ragazzo si facessero scuri e ostili: “dammi la borsa, vecchia!”. Resistere fu certamente un atto istintivo, non meditato. Eppure, quella opposizione si rivelò fatale nel momento in cui il bruto tirò a sé con forza la borsa che lei trattenne lasciandosi trascinare per terra, dove il marciapiede incontrò la sua testa e lei il buio.

 

Lo squillo del telefono mi aggredì quando il sonno era ancora profondo. Provai a resistere e a trattenere un sogno ancora incompiuto. Correvo, nel sogno, questo mi ricordo, correvo verso un riparo, allontanandomi da qualcosa che non facevo in tempo a vedere. L’orologio sul comodino segnava le sette e mezza. Cercai le ciabatte senza trovarle e corsi verso il telefono: “Pronto?” troppo tardi. “È stato un incidente” mi disse mia madre quando richiamai. “Un balordo voleva portarle via la borsa, ma poi si sa, con le persone anziane va sempre a finire così”.

Eppure ne avevamo parlato tante volte con Mariella, nei lunghi pomeriggi trascorsi insieme ad aspettare l’ora di cena, dopo avere fatto i compiti. “Non ne vale la pena. I soldi non valgono la vita”, diceva la nostra tata a me e a Francesca, mia sorella, quando le nostre orecchie captavano qualche notizia di cronaca nera dalla tv sempre accesa in cucina.

Mariella era rimasta con noi fino a che l’inizio dei nostri studi universitari non ci aveva portato lontano dalla nostra città, poi era andata a vivere poco lontano. Ora che ci penso, non saprei neanche indicare bene dove. Negli anni a seguire, mia madre aveva continuato a telefonarle, di tanto in tanto, e per Natale, quando anche io e mia sorella tornavamo a casa per le festività, ci si incontrava per scambiarci gli auguri. Un rituale che si ripeteva sempre uguale. Solo l’ultima volta, ormai quasi un anno fa, mia sorella, dopo che Mariella si era chiusa la porta dietro le spalle, ci disse che la trovava un po’ più stanca, forse un po’ sofferente. Ma Francesca era fatta così, sempre in cerca di qualcuno da aiutare, e pertanto non le prestai ascolto.

“Si invecchia”, le rispose mia madre, con gli occhi bassi, come se parlasse tra sé e sé, “anche per lei passano gli anni. Ogni giorno un nuovo malanno, e ieri era sempre meglio di oggi”.

 

Quando arrivai a casa dei miei, il giorno dopo la telefonata di mia madre, ero in preda ad uno stato d’ansia. Da qualche profondità remota erano riemersi ricordi di cui avevo perduto memoria.

Ripensai a quella volta, tanto tempo fa. Mariella si era ammalata, non so bene cosa avesse, ma aveva bisogno di soldi per le medicine. Io me ne ero accorto perché aveva smesso di comprare le sue riviste sulle quali inseguiva infinite storie d’amore che poi ci raccontava. “Diciamolo a mamma e papà”, le avevo proposto, ma lei mi fece promettere che non avrei detto nulla a nessuno.

“Posso aiutarti io, allora?”.

“No, non puoi, sei solo un bambino”, mi disse passandomi la mano sui capelli.

“E quando sarò grande?”

“Va bene, quando sarai grande potrai aiutarmi.”

 

“Giovanni, che piacere vederti!”, mi accolse il portinaio. “Che ci voleva un funerale per vederti lontano dalle feste comandate?” poi si fece serio: “Mi dispiace per la signora Mariella, mi dispiace tantissimo. So quanto le eravate affezionati, tutti quanti. Anche io le volevo bene. Era una cara persona. Così educata.

“Grazie signor Nino”, risposi, restando assorto nei miei ricordi.

“Nessuno poteva aspettarselo”, continuò il portinaio, “che poi, che ci poteva avere nella borsa la signora Mariella? Soldi sempre pochi ne ha avuti. Proprio adesso poi, non ne parliamo. Pare che non pagasse più neanche la spesa. A credito andava!”

Povera Mariella, pensai tra me e me, infilandomi nell’ascensore. Perché a credito? Una persona come lei avrebbe digiunato, piuttosto.

 

Sulla porta di casa mi accolse mia madre, ancora in vestaglia.

“Allora? Come è successo? Sappiamo qualcosa di più?” chiesi, togliendomi il soprabito.

“È stata una disgrazia, questo solo sappiamo”, replicò mia madre strofinandosi un fazzoletto sugli occhi arrossati.

“Ma le avevi parlato, di recente. Ti sembrava che avesse bisogno di qualcosa?”.

“Non la sentivo da un po’. Ma se avesse avuto bisogno me lo avrebbe detto, ne sono certa”.

“Speriamo che non si sia messa in qualche guaio”, insinuò mio padre, prima di raggiungere il soggiorno e abbandonarsi sulla sua poltrona: “Quando siete pronti chiamatemi”.

“Che dici? Quale guaio? Povera Mariella” gli gridò dietro mia madre.

“Te la ricordi la tedesca, la signora del palazzo di fronte?” sussurrò mio padre, quando mi andai a sedere vicino a lui. Sono stato al bar, stamattina presto, e si parlava di Mariella. C’è chi giura di averle viste litigare più volte ultimamente”.

I debiti per la spesa, e poi il litigio per strada. Cosa aveva a che vedere questa Mariella con la mia tata? Non poteva essere stata uccisa per soldi. “Non ne vale la pena”. Era stata lei a dirmelo.

“Vi aspetto giù. Non voglio arrivare in ritardo al funerale” dissi ai miei, minacciandoli di incamminarmi da solo se non mi avessero raggiunto entro dieci minuti. La tedesca. Certo che me la ricordavo. Superstiziosa e sempre in ansia sul futuro. Mi ricordavo anche di suo figlio, biondo come lei, che qualche volta veniva a casa nostra per giocare, da bambini. Un ciccione buono a nulla, che crescendo non ha combinato niente di buono. Biondo come quello dello scippo. Questa associazione mi fece orrore. Rifiutai questo pensiero prima ancora di completarlo.

 

Tornammo dal funerale che era già ora di pranzo. Mi fermai a comprare qualcosa nel piccolo supermercato di fronte a casa dei miei genitori.

“Che brava persona, la povera signora Mariella” mi disse mentre preparava i panini. “Come tutti, ha avuto i suoi momenti difficili. Le ho anche dovuto fare credito per un po’, e ad un certo punto ho anche pensato che non mi avrebbe più pagato. Poi invece, proprio l’altro giorno, è venuta e mi ha saldato tutto il suo debito. Così, tutto in un colpo. Che hai vinto al superenalotto? Le ho detto”.

 

Dunque Mariella aveva trovato i soldi per pagare il suo debito. Ma lei non avrebbe chiesto soldi a nessuno, di questo ero sicuro. Potevo essere ancora sicuro di qualcosa a proposito di Mariella? Da lontano vidi mia sorella sul portone di casa. Le feci segno di aspettarmi. “Ho parlato con il parrucchiere, stamattina”, mi spifferò appena ci infilammo nell’ascensore, “sembrava che aspettasse solo me per parlare di Mariella. Pare che la nostra cara tata si fosse messa a leggere le carte in cambio di soldi. Faceva la cartomante con qualche vicina più disperata di lei. Ma te l’immagini? Conosce alcune clienti, il parrucchiere. E tra le clienti, chiamiamole così, mi ha detto che c’era pure la tedesca. Ma, dico io, che vuoi che c’avesse nella borsa una così. Che volevano rubarle le carte?”

Le carte, i tarocchi, la tedesca, suo figlio. Sentii di avere tutti gli elementi per ricostruire questa storia. Ma qualcosa dentro di me si rifiutava di mettere in fila tutti i tasselli.

 

Mangiai il mio panino in silenzio, frettolosamente e senza appetito. Appena finimmo, comunicai ai miei che sarei ripartito la sera stessa. Non c’erano urgenze ad attendermi, ma sentivo il pressante bisogno di allontanarmi da lì. Ripensai al sogno del giorno prima, a quella corsa alla ricerca di un riparo. Per tutto il viaggio cercai di comporre gli eventi più recenti con quel tempo ormai così lontano, quando ero ancora un bambino. Quando Mariella era la mia tata e i tarocchi erano solo un gioco per riempire qualche pomeriggio. Quando, accarezzandomi la testa, Mariella mi diceva che allora no. Allora ero ancora troppo piccolo per poterla aiutare.

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3 commenti »

  1. Ciao Ermanno, hai saputo mettere insieme una vicenda con la logica e il taglio dell’investigatore. Ho riflettuto poi sulla mia delusione per il finale senza colpevole ma il racconto non poteva che chiudersi così perché non è un racconto poliziesco. Bravo.

  2. Potrebbe sembrare un giallo, ma non lo è. Anzi, è un racconto di grande malinconia, di vecchiaia, di morte, di sogni svaniti. Mi era passato tante volte davanti ma solo adesso ho potuto apprezzarlo. Ciao Duccio Magneli

  3. Arguto, intelligente… e sorprendente!
    Sei stato abile e magistrale a mixare vari stili narrativi!

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