Premio Racconti nella Rete 2015 “Olio di motore” di Adil Bellafqih
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015È come galleggiare in un sogno.
I suoni, i rumori, sono battiti lontani. Li sento riverberare nell’aria piena di fumo; sono onde che mi investono, mi trapassano e scivolano giù.
I nervi si torcono sotto la pelle come un groviglio di vermi. Cercano una tana in cui distendersi, un rifugio buio e sicuro… Questo corpo non è più un luogo sicuro.
C’è qualcos’altro nell’aria. È una specie di profumo. È dolce. Sembra quasi miele… Sì, è denso come il miele. Ottura le narici. Anzi no, non le ottura, le riempie e spinge in fondo, s’infila nel setto nasale e risale fino al cervello come un uncino arroventato.
È l’odore di vita e morte amalgamate assieme. Viviamo sotto un cielo dove vita e morte si mischiano, respiriamo le esalazioni di milioni
(miliardi)
di morti ogni giorno, eppure non ce ne rendiamo conto. C’è una barriera nel nostro cervello, un sistema che scansiona il mondo, sceglie le cose più frivole e le immagazzina lasciando il resto a marcire.
È un sistema collaudato. Funziona da secoli, finché quel profumo non manda tutto in cortocircuito. Allora il cranio si scardina, la mente si apre e nuota in quello strano fluido colloso.
Sì, sento il cervello sciogliersi poco a poco. Sfrigola sotto una doccia di acido solforico, si diluisce col resto e mi scivola via dal naso trascinato da quell’uncino rovente.
Se chiudo gli occhi posso perfino vederla, la macchia grigia del mio cervello che si allarga, si allarga fino a impiastricciare la Terra, il cielo e la Luna.
Sento tutto.
Il battito della terra sotto i piedi.
Il fruscio di quel ciuffo d’erba.
Il tintinnio dei bossoli che rimbalzano e cercano di darsi alla fuga.
Poi c’è il mormorio del vento. Più su c’è una nuvola. Dentro di lei gorgoglia un temporale; è simile a un mal di stomaco. Più su ancora c’è un satellite col ronzio delle sue antenne puntate su di noi. Poi il vuoto. È leggero e impalpabile, eppure anch’esso si diluisce nella mia mente.
La vita è davvero una minestra riscaldata.
Il cuore del sole batte regolarmente. Provo a toccarlo e non mi scotto nemmeno.
Potrei continuare, ma la Via Lattea è bella grande e io, temo, ho poco tempo. Se solo avessi sniffato un po’ di questa roba prima quante cose avrei visto? In quanti secoli avrei potuto sbirciare? Solo un’occhiata e basta.
C’è puzza di merda.
Chi ha mollato? Mi viene da dire. Poi me ne accorgo: sono io che me la sono fatta sotto. Non me n’ero nemmeno reso conto, il mio corpo ha reagito da solo. Non avevo mai preso in considerazione l’eventualità di crepare coi pantaloni imbrattati dal mio piscio e dalla mia merda. Questo non sta scritto da nessuna parte, non ti addestrano per morire coi pantaloni sporchi.
Perso a scrutare il cuore del cosmo, non ricordo se mi sono fatto la barba. Non è una gran priorità, lo ammetto, ma il pensiero di morire senza essermi fatto la barba è come una puntina da disegno nella tempia.
Cerco di toccarmi la guancia. Forse la tocco, forse no, in ogni caso non sento nulla. La faccia e la mano non mi appartengono più.
C’è un piede davanti a me. Solo un piede, nient’altro. La scarpa è ancora allacciata e la suola non sembra troppo rovinata. È un bel piede. Se ne sta piantato a terra, fiero, senza più il peso di una gamba da sostenere. È libero.
La parte superiore della caviglia è una poltiglia rossa. Cerco tracce di ossa, ma non vedo nulla. A parte lo sporco, è davvero un bel piede. Chissà di chi era.
Quasi mi pento di aver riaperto gli occhi. Me ne sarei potuto rimanere steso per terra a godermi quelle lunghe gite interstellari, ma proprio non ce la faccio a scrollarmi di dosso. Devo sbarazzarmi di me stesso in qualche modo. L’idea di rimanere ancora qui dentro è disgustosa.
Allungo una mano verso il piede. Lo tocco una, due volte, così, per vedere se riesco a farlo cascare.
Niente, resta immobile.
Non mi avevano mai detto che morire sarebbe stato così faticoso. Pensavo che il passato ti si decomprimesse davanti agli occhi, pensavo che sentissi le voci dei tuoi cari ronzarti dentro, invece non c’è niente. Ci sei solo tu, e una paura del diavolo.
Se arriva il momento in cui ti accorgi che tutto l’universo non basta, allora vuol dire che è davvero ora di uscire di scena. Spegnete le luci per favore, c’è gente che cerca di morire, qui.
Niente.
Quel grande e rotondo riflettore mi resta puntato contro, continua a cuocermi a fuoco lento come un mucchietto di carne in una pentola.
L’udito è la terza cosa che torna, dopo l’olfatto e la vista. Sono deboli, ma sento le loro urla. Urlano come se questo bastasse a fermare il tempo, come se a qualcuno importasse qualcosa… Io preferisco andarmene in silenzio. C’è fin troppo baccano qui senza che mi ci metta pure io.
Mi isso su un gomito per vedere se funziona ancora. Ci riesco. Striscio come un serpente sulla terra rovente con il bisbiglio della battaglia attorno a me e il silenzio della morte dentro di me.
Le armi cantano. Un coro di AK gorgheggia a oriente. Sebbene attutiti, sento i tlak e i clunch dei caricatori che entrano ed escono.
(Bang)
Più a destra credo ci sia un gruppetto di P90. Sin da bambino ho sempre amato il P90, ma a me era toccato un M4 d’ordinanza.
(Ratatatatata)
Striscio ancora verso la mia pistola, una Beretta con proiettili da nove millimetri. Doveva essermi volata via in qualche modo. Forse una mina o l’onda d’urto di una granata.
Vieni da papà, le dico. Lei non si muove e io comincio ad arrabbiarmi. Voglio solo morire, non chiedo molto.
Non fare la ritrosa, piccola troia, le dico accarezzandone il calcio sporco di terra, non negarmi un ultimo colpo.
La stringo così forte da sbiancarmi le nocche. Ce l’ho fatta. Dentro di me esulto, pregustando il sapore della canna della nove millimetri nella mia bocca. Di cosa saprà a proposito? Olio di motore?
Con un altro sforzo mi metto in ginocchio. Combatto contro la gravità per rimanere dritto e vinco – almeno questa battaglia è mia.
Il fumo si dirada. Si alza come il velo di una sposa. Guardo l’altare, poi la croce e mi domando che male ho fatto per innamorarmi del cadavere vestito di bianco che sta per mettermi l’anello al dito.
C’è un LAV rovesciato sulla schiena come una vecchia tartaruga. Le sue otto ruote rosicchiano l’aria invece del terreno.
Sotto il LAV c’è un mucchio di carne. Una matassa di intestini rosso-violacei condiscono il banchetto di sangue.
Ci sono armi dappertutto, M4, P90, perfino un UZI ancora attaccato alla mano del proprietario. Qualcuno passerà di lì, le raccatterà e forse le rivenderà. In ogni caso, continueranno a cantare con i loro BANG e i loro RATATATA. I loro concerti sono sempre un tutto esaurito.
Cerco qualcosa di vivo lì in mezzo, ma non trovo niente. Essere l’unica cosa viva in un mondo di morti è alienante… Come in quel film di Tim Burton; ma lì i morti ballavano e cantavano. Forse si stanno solo riposando. Hanno ballato e cantato fin troppo per oggi.
Be’, vorrei dire che è stato bello, penso immaginandomi come dovrebbe essere mangiare un granchio fritto con la Nutella. Non c’ho mai provato.
La voce del mio vecchio dentista mi torna in mente.
«Fai aaaaaaaaa», diceva puntandomi contro quella dannata luce, «fai aaaaaaaa.»
Faccio aaaaaaaa, mi infilo la canna della pistola in bocca e mi viene da sorridere. Sa davvero di olio di motore. Ma anche di fritto. E di Nutella. E di tante, tante altre cose. Peccato che l’unica uscita di sicurezza passi attraverso la canna di una nove millimetri.
Click.
Sono le scene di una battaglia; ovunque distruzione e corpi martoriati, viste e analizzate da un combattente.Nonostante le ferite mortali, si guarda attorno, ora lucido ora preso dal panico. La sofferenza lo porta a raggiungere un’arma e a darsi la morte. E’ il suicidio dell’umanità.E’ un racconto crudo, realistico che è la condanna della guerra quanto mai attuale. Non pensiamo solo alla Libia ed alla Siria,ma anche alle moltissime regioni dell’Africa e dell’Asia, ci sono guerre o guerriglie in atto. Che dire di quella ai confini della civile Europa? Solo i fanatismi, gli interessi economici sono le molle di queste tragedie e coloro che reggono le sorti dei popoli dovrebbero pensare alla sofferenza degli uomini uscendo dalle loro stanze sicure e recandosi sui luoghi di battaglia.
Bravo Adil per questo racconto.
Caro Emanuele, ti ringrazio di cuore per le splendide parole!
Molto intenso. Non è facile descrivere situazioni del genere senza rischiare di cadere in qulcosa di banale. Ma tu ci sei riuscito molto bene. Complimenti.
Straordibario. Non riesco a trovare altre parole. Sei riuscito a portarmi dentro la testa del tuo soldato, mi ci hai spinto a forza, sono riuscito a sentire il puzzo di urina e di sangue e a vedere i corpi crivellati di proiettili… Il colpo di pistola è stato liberatorio, come svegliarsi da un brutto incubo… Aggiungo che mi sono piaciuti molto i riferimenti a Tim Burton (la sposa cadavere giusto?) e alla nutella che hanno cobferito al tuo personaggio un senso straziante di familiarità… Vederlo morire è stato come veder morire un amico. Ti faccio i miei complimenti. Sarei curioso di sapere che ne pensi del mio “La Torretta di Guardia”
Cari Iuri e Luigi, che posso dire se non: grazie!
E sì, il riferimento era alla sposa cadavere 😉
Adil, ho riletto il tuo racconto, lo trovo stupendo nella prosa, nelle immagini e nei sentimenti. E’ il canto alla pace e alla vita, perché fa nascere spontanea la condanna della guerra.
Sei grande Adil. Ci vediamo a Lucca il 10 e l’11 ottobre.
Ciao.
Bellissimo, intenso. Le parole sono chiare, forti e capaci di evocare immagini che coinvolgono, turbano il lettore. Complimenti.
Ciao Adil, mi spiace non aver letto prima il tuo racconto per poter tifare anche io per la tua vittoria, ma l’ho letto adesso e sono davvero felice di poterti fare i miei complimenti a posteriori. Concordo con Emanuele, una descrizione così realistica, quasi cinematografica della guerra è, e dovrebbe essere, un invito ad abolirla, ad allontanarla dalle nostre menti, dai nostri territori, dalla nostra vita quotidiana. Grazie per avermi portata su quel campo di battaglia, adesso ancor più di prima so che la guerra non può e non deve essere la soluzione. Sarebbe bello se, anche grazie ad opere come la tua, sempre più gente se ne rendesse conto. Complimenti di nuovo!
Sono grato alla giuria per avermi segnalato il tuo straordinario racconto, che mi era sfuggito. Complimenti.
Mi sento sempre impacciato nel rispondere a commenti belli come i vostri. Un semplice “grazie” non è sufficiente, ma ora è tutto ciò che mi viene in mente, quindi: grazie di cuore!
Un racconto denso, crudo ed etereo nello stesso tempo. Immagini concrete e metafore interstellari convivono negli ultimi istanti della vita di un uomo. In fondo la vita è fatta di aspetti corporali e aspetti spirituali. Bello, complimenti
Uno stile asciutto, diretto, che non lascia spazio ad inutili parole. Scrivi bene, davvero molto bene! Sei presente in ogni riga, in ogni passaggio… per questo arrivi dritto al cuore di chi legge. i miei più sinceri complimenti. Ci vediamo a Lucca.
Ciao Adil complimenti per la vittoria. Credo che tu sia un abile scrittore. Accurato e attento. Ho trovato il tuo racconto però troppo ruvido. Voglio.dire che anche i temi forti possono essere trattati con una certa delicatezza seppur veritieri o addirittura crudi. Questa è ovviamente il mio gusto personale in quanto lettrice.
Complimenti per la vittoria e non solo per questo racconto intenso quanto cupo, ma anche per la tua abile scrittura!
Sarà un piacere conoscerti a Lucca.
Emozione pura. Un grosso COMPLIMENTI dall’ultima della lista 🙂 Bravo! C’è potenza e sentimento. Non è da tutti.