Racconti nella Rete 2010 “Leaves Oil” di Marianna Corona
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010Fosco ancora una volta era lì a sussurrare la parola d’ordine al buttafuori. «Same time».
«Buonasera Fosco, tu non ci deludi mai». Un sorriso sornione e una pacca sulla spalla lo accompagnarono verso il bancone. Senza nessuna insegna, lo Speakeasy non era immediatamente riconoscibile. L’atrio esterno invadeva una cupola sovrastante il seminterrato dove spuntava una pesante e tozza porta in legno scuro.
Solo all’interno si poteva scorgere l’insegna luminosa del locale confusa tra i colori dei superalcolici. Fosco si sistemò a stento su quell’alta sedia senza schienale. Pensava a quei tre scalini scivolosi che quasi non gli lasciavano scampo. Appena in tempo si era appoggiato allo sgabello, dove lo attendevano Nik e il suo savoir faire.
L’atmosfera del locale voleva ricordare quella degli anni ’20 ma ci riusciva solamente nell’arredamento che contrastava con schermi ultrapiatti e impianti HiFi di ultima generazione. L’utilizzo del legno massiccio l’aveva reso caldo e accogliente, e uno strano aroma di spezie cercava di coprire l’odore di fumo che proveniva dalla stanza per fumatori, creando una fragranza pungente e inconfondibile.
«Serataccia Fosco?» chiese Nik da dietro il bancone, porgendogli una birra. «Non particolarmente… Come al solito… Sono passato a salutarti… Mi mancavi ..» ribatté Fosco con fare da sottile presa in giro. «Non ti manco di certo io, l’unica nostalgia che ti turba è quella per l’alcol». «L’unica cosa di cui sento la mancanza è l’ispirazione…» «Già proprio l’unica cosa che ti manca…» ripeté Nik, ridendo tra sé e sé, voltandosi di spalle per prendere un bicchiere.
Fosco aveva sempre suonato. I suoi genitori lo avevano circondato di melodie e canzoni fin da piccolo. Adolescente, era arrivato a odiare il pianoforte per appassionarsi a sound più generazionali, sfogandosi con chitarre elettriche e batterie. Ma poi era tornato ai vecchi amori musicali scrivendo canzoni deliziose che lo avevano portano a essere abbastanza conosciuto e apprezzato come musicista.
«Serata blues Nik!? Che succede i remix non ti soddisfano più?» Nik lo sentì appena perché si era allontanato per abbassare il volume dell’impianto stereo. «Non è stata una grande idea mettere a disposizione dei clienti quella specie di jukebox moderno…» «Beh magari invece ti fa bene… Gary Moore può esserti d’aiuto».
Vicino all’entrata si notava un mini-pc a uso dei clienti che, inserendo un lettore mp3 o una chiavetta usb, potevano ascoltare il loro brano preferito in diffusione nel locale.
«Still got the blues è un pezzo carico di passione. Inizia con un assolo che ti racconta una passione» continuava Fosco «non ti lascia scampo. Anche a un cazzone come te, che non capisce una parola di inglese, solo la melodia dovrebbe suggerire un attorcigliamento di corpi, un…» «Ah ecco cosa ti manca…»
«Ciao Fosco» lo salutò distrattamente Anna prima di appoggiarsi al bancone e allungarsi per dare un bacio a Nik. «Sono passata a salutarti … C’è un acquazzone fuori.. Fammi una birra. Una per me e una per Fosco». Fosco sorridendo alzò il bicchiere vuoto a cenno di saluto: «Allora Anna quando molli Nik?! Ormai mi hai corteggiato abbastanza offrendomi tutte queste birre ogni volta che mi vedi». «Beh Fosco hai iniziato tu! Se ci molliamo sarai il primo al quale penserò. Vado a salutare Jessica e le altre laggiù». Fosco la guardò allontanarsi e sedersi a un tavolo in fondo al locale con altre amiche. Anna aveva quasi venticinque anni e stava con Nik da qualche mese.
Qualcuno nel locale aveva caricato l’atmosfera, lanciando dal jukebox un evergreen che mise a disagio Fosco, facendolo sentire ancora una volta sulla via del tramonto. A dire il vero si era spesso sentito così, anche quando era un giovane ossuto e scontroso. Final Countdown amplificava questa sensazione suscitando in lui un’avversione particolare per quella canzone. Degli Europe preferiva di gran lunga Rock the night o la dolcissima Carrie. Divagando nella sua mente approdò tra le note di un altro pezzo storico di un’altrettanta storica band: i Kiss con la loro I Wanna Rock N Roll All Night. L’aveva scoperta presto e, a suo tempo, ne aveva seguito i consigli alla lettera. D’un tratto un bisogno impellente lo distolse dai quei pensieri e l’unica via che voleva prendere era quella del bagno. Poi si sarebbe diretto a casa, che si trovava in fondo al viale, sull’angolo. Uscendo dal bagno si guardò allo specchio sopra il lavandino. Si accarezzò il mento e la barba incolta commentando quell’immagine a voce alta: «Sei un po’ triste Fosco… Un vecchio rocker cazzo… Un vecchio triste…» Voltandosi urtò qualcosa per terra. Guardò in basso e vicino ai suoi piedi, confuso nel tappeto di moquette nera, c’era un oggetto che sembrava una pila, di quelle rettangolari.
Si accorse che era un lettore mp3 dalle cuffie che si allungavano sul pavimento. «Avrà anche lui i suoi anni» pensò Fosco, raccogliendolo e notando che la marca era diventata illeggibile e che il colore assomigliava a un nero sgualcito. Lo mise in tasca, uscì dal bagno e salutò gli amici dello Speakeasy. La pioggia era cessata, lasciando spazio a una leggera brezza fresca. Fosco respirò quel vento, poi si coprì la bocca con la giacca prima di avviarsi verso casa.
Il monolocale affittato era accogliente, non ci volle molto perché si addormentasse sul divano. Non accese lo stereo al minimo, come faceva spesso, per tenere a bada gli incubi notturni. Indossò le cuffie e schiacciò play. Era curioso di ascoltare le canzoni di quel lettore mp3 che aveva messo in tasca di nascosto, senza dire niente a nessuno. Amava conservare dei segreti tutti suoi, come quando scopriva una canzone di una band sconosciuta. Se la teneva tutta per sé, diventandone gelosissimo, credendo che parlarne ne sminuisse il valore che percepiva. Schiacciò play, appoggiò la testa sistemando il cuscino e allungò le gambe. Cullato dalle note, raccolse il sonno distinguendo appena appena, nel dormiveglia, Born to run. Sognò. Sognò Gabri, Stith, Andrea e Francesco. La location era un fumoso street bar con arredamento essenziale e ampio palco per le band. Il concerto era in pieno clou. Andrea era alla batteria in preda a un’estasi sudata e fervida.
Le due chitarre ballavano insieme e rispondevano a un’alchimia perfetta nel delirio di assoli e distorsioni. Se li ricordava bene Fosco i duetti con Gabri. Le buone idee per le canzoni spesso erano il risultato di intere serate passate insieme in balìa dei loro strumenti. Francesco non era un animale da palco ma riusciva con straordinaria facilità a estrapolare da qualsiasi brano lo spartito per il suo basso elettrico, imparandoselo a memoria in tempo record. Era da molto che non venivano a trovarlo in sogno. Almeno non tutti assieme. Soprattutto Stith era un sacco che non lo vedeva nel suo emisfero inconscio. L’ultimo arrivato nel gruppo che gli aveva tolto un peso non indifferente. Fosco adorava la sua chitarra, suonare e concedere l’anima a quello strumento, ma accompagnare con la voce, fare, allo stesso tempo, il cantante del gruppo gli richiedeva uno sforzo notevole, anche se cominciava a prenderci gusto. Stith entrò nella band come voce solista. Lo scompiglio iniziale si trasformò, con il tempo, in nuova energia. La sua personalità dirompente e senza controllo scombinò quelli che erano stati i CartoonDay fino a quel momento. Era un personaggio fuori dal comune e spesso marcava volutamente questa sua particolarità. Sul palco il suo fare affabile, poetico, fragile e naif scompariva ed emergeva invece la sua parte più nervosa e ritmica. «Stith si accende con l’aiuto delle note amplificate dalla sua voce» osava ripetere a ogni apertura di concerto per poi sorridere al pensiero di rievocare il significato del suo soprannome che, nel dialetto d’origine, era appunto “brace”. Insomma sul palco si trasformava o meglio, esaltava una parte di sé che normalmente non mostrava: era molto teatrale e ammaliante, spesso irriverente, sfrontato ed egocentrico. E soprattutto ancora tutti ignoravano che sarebbe diventato l’artefice della gloria e della distruzione dei CartoonDay. Nel sogno di Fosco la sua band era all’apice del successo, con un sacco di fan al seguito. Stith si muoveva sinuoso aiutato dal suo corpo longilineo e dai capelli arruffati. Cantava una canzone che era nata dopo il suo arrivo, Leaves Oil, Olio di foglie.
Una ballata distorta e malinconica che Stith, suo malgrado, aveva suggerito a Gabri e Fosco quando lo avevano per caso beccato a raccogliere e contare foglie secche sotto la pioggia. Le foglie bagnate gli avevano impiastricciato tutte le mani. Contare era una sua mania: quando lo vedevano particolarmente assente e gli chiedevano «Che hai Stith?» Spesso si sentivano rispondere: «Sto contando».
Nella serata del sogno Stith indossava i nuovi pantajazz pitonati color verde ramarro. E Fosco se la ricordava bene, quella serata, perché sarebbe stata l’ultima dei CartoonDay. Si svegliò d’improvviso durante l’assolo di chitarra, mentre Stith si era allontanato dal palco per preparare il suo consueto “effetto sorpresa”.
Era inquieto e sudato. L’orologio segnava le 4:25. Si passò la mano sulla fronte. Fu allora che cominciò a distinguere in sottofondo le note di Leaves Oil, un po’ attenuate perché un auricolare era scivolato fuori dall’orecchio. Se lo rimise a posto e ascoltò fino in fondo la canzone. Stentò a riprendere sonno. Era strano che in quella città qualcuno conoscesse le canzoni della sua band, dove non si erano mai esibiti e dove lui voleva passare inosservato, tentando di allontanare quel passato che aggrovigliava il suo cuore, come una pianta vincolata delle sue stesse radici, per quanto lontane comunque indispensabili.
Passò del tempo a riascoltare le canzoni dell’mp3 e a immaginare faccia, look e vita del creatore di quella playlist. Si svegliò in tarda mattinata, non lo faceva spesso anche se il suo lavoro di insegnante alla scuola di musica glielo avrebbe permesso perché lo impegnava a partire dal pomeriggio fino a sera. Si alzò ancora un po’ frastornato, aprì il frigo, prese una birra e si sedette sul tavolo in cucina. Fuori splendeva il sole. In altre condizioni sarebbe stata una giornata ideale per mettersi a scrivere melodie. Ma da qualche anno, alle soglie dei quaranta, si era adeguato a una vita sedentaria, abitudinaria, che aveva attenuato la sua voglia di sperimentazione in quel campo. Sgranocchiò un biscotto, un pezzo gli scivolò per terra, lo raccolse, soffiò e se lo ficcò in bocca. Ripensò al sogno. Non riusciva a spiegarsi come, e sopratutto chi avesse riesumato i CartoonDay. Dopo l’incidente si erano sciolti, ognuno aveva preso strade diverse. Fosco aveva cambiato anche città. E ora lì, dopo anni, ritornava ad aleggiare l’incubo CartoonDay, capitolo che lui aveva voluto chiudere e lasciarsi alle spalle. Uscì di casa pensieroso.
La sera si replicava allo Speakeasy. Fosco voleva trasgredire alle sue regole e parlare del lettore mp3 a Nik, sfogarsi e raccontare tutto. Ma Nik non era di buon umore. La sera prima Anna era stata intrattabile e così avevano litigato. Dopo la chiusura, si erano fatti un giro in macchina per appartarsi e stare assieme. Lei l’aveva tartassato con i suoi problemi da studentessa. Gli esami, il periodo di studio. «Sono un po’ nevrotica ultimamente» aveva ammesso abbracciandolo. Le effusioni si erano fatte più intense e piacevoli. Ma a un certo punto si era rabbuiata e aveva cominciato a cercare qualcosa in borsa. «Che c’è!?» aveva chiesto Nik, facendo finta di nulla. «Non lo trovo» «Non ti preoccupare, lì ho qui io nel cruscotto» «Vaffanculo! Non capisci niente, sei una testa di cazzo! Portami a casa». Se c’era qualcosa che Nik odiava di lei era proprio questo suo fare da ragazzina viziata. «Ah, ci sono… Beh ma non è uguale se accendo l’autoradio?! Ho una sfilza di cd. Guarda, addirittura questo: un’intera compilation anni ’80». «Non è la stessa cosa». «Ma che differenza fa!? Eddai… Quando ti ci metti sei veramente insopportabile». «Devo trovarlo. Dai aiutami a cercarlo. Magari l’ho perso nel prato qui fuori l’ultima volta…». Aprì la portiera dell’auto accendendo la luce del suo telefonino e si mise a cercare qualcosa nell’erba. Nik scosse la testa, prese una torcia dall’auto e pensò che non era la cosa più giusta assecondare quella follia. All’inizio non ci faceva caso, ma adesso era diventata un’ossessione. Anna faceva sempre sesso con il lettore mp3 acceso e le cuffie alle orecchie. E non c’era verso di farle cambiare quella stravagante abitudine. «Non c’è! Non c’è, Nik. Chissà dov’è finito…» Mentre stava urlando queste parole, Anna aveva la testa infilata tra i sedili e ispezionava in modo certosino l’auto.
«Serataccia Nik!?» aveva chiesto Fosco dalla sua solita postazione al banco. «Già…» «Oh siamo di poche parole.. Decisamente serataccia…», sorseggiò un altro po’ di birra e continuò «Anche stasera Anna è qui che ti aspetta per la chiusura. Dove la trovi un’altra così? Solo contento dovresti essere». Sapeva di aver toccato un tasto dolente perché per tutta la sera Anna non aveva degnato Nik di uno sguardo e non aveva salutato nemmeno Fosco. Girò le spalle al bancone. Il locale era abbastanza pieno, gente di tutti i tipi. Guardandoli si mise a pensare se tra quelli ci fosse stato anche la persona dell’mp3. Pensò di nuovo che la cosa più semplice da fare sarebbe stata consegnare a Nik quel lettore digitale, appendere un annuncio del ritrovamento e aspettare che qualcuno si facesse avanti. Ma c’era Leaves Oil. Quella canzone l’aveva cercato. Non poteva tradirla così, trattarla da oggetto smarrito. Fu allora che gli venne un’idea. Si avvicinò al jukebox, infilò il lettore nella presa usb. Copiò la canzone e la incollò sul desktop del computer. Staccò l’mp3 e se lo rimise in tasca. Cliccò due volte sul file e, mentre la canzone iniziava, tornò al suo posto.
«Che hai messo su?» chiese Nik curioso, avendolo visto trafficare al jukebox. «Roba vecchia, sai che sono nostalgico» lo liquidò in fretta Fosco. Stay alone in the green planet with your soul and your shadow, stai da solo sul pianeta verde con la tua anima e la tua ombra. Così iniziava la canzone dei CartoonDay. Nik non sapeva tutti i retroscena della vita di Fosco. Sapeva che aveva fatto il musicista ma non conosceva i dettagli, né la storia del suo gruppo. Quella canzone non gli giungeva nuova, l’aveva già sentita e pensò ad Anna. Si arrabbiò con se stesso perché ancora una volta riaffiorava quel fastidio per l’amicizia che si era creata tra lei e Fosco. Non fece più di tanto caso alla canzone, spesso i due avevano gli stessi gusti musicali, per cui si limitò ad arrovellarsi sulla loro complicità, su come spesso ridevano, scherzavano, parlavano di musica e si rallegrò al pensiero che Anna non avesse salutato neanche lui. Invece lei non poté fare a meno di ascoltare, irrigidendosi sulla sedia. Con la coda dell’occhio aveva visto Fosco avvicinarsi al jukebox, curiosa di sapere che canzone avesse intenzione di mettere. Ma non si aspettava di sentire Leaves Oil. Fosco non aveva chiuso con quel passato? Non parlava mai dei CartoonDay. Quella canzone riapriva ferite lontane. Che Fosco fosse pronto a riaprirle? A parlarne? Anna aspettava da tanto questo momento, ma ora non sapeva se lei era pronta, ad ascoltare e a rispondere.
Fosco intanto si era girato di nuovo verso il bancone, la canzone stava per finire e nessuno si era fatto avanti. Pensò che avrebbe dovuto rimetterla anche il giorno dopo, e quello dopo ancora finché qualcuno non si fosse avvicinato a chiedere indietro il lettore digitale. Improvvisamente Anna si alzò. Attraversò tutto il locale, dirigendosi verso l’uscita. Nik e Fosco la guardarono convinti che si sarebbe girata per fare almeno un cenno. Ma non fu così, la videro scomparire dietro l’uscio.
«Ragazzo mio, qui ci vuole qualcosa di forte» sentenziò Fosco «Versami pure un Jack Daniel’s». Nik ne preparò due. Pensò che questa volta avesse ragione Fosco e brindarono battendo poi il bicchiere sul tavolo in onore degli amici scomparsi. Lo mandarono giù tutto d’un fiato.
Anna arrivò a casa. Appoggiò le chiavi sul tavolo e tolse le scarpe. Aprì il pc portatile e lo accese. Nel frattempo mise l’acqua sul gas. Sprofondò in poltrona, il desktop la mostrava sorridente e bruciacchiata al mare, abbracciata a suo fratello davanti all’obiettivo. Erano passati dieci anni e lei allora era poco più di una bambina.
Ricordò con nostalgia un concerto del CartoonDay che era bastato per farla sognare, come si può sognare a quattordici anni tra musica e inquietudine, sostenendo il fascino di stravaganti musicisti. La sua cover preferita allora era Don’t Cry dei Guns n’ Roses, testo e accordi si plasmavano dentro di lei, lasciandole la malinconia di uno straccio, ma in fondo quella sensazione le piaceva e si sentiva capita da quella canzone. Si distrasse quando l’acqua bollì e si sentì il rumore tremolante del pentolino. Con la tisana calda tra le mani si affacciò alla finestra. Tra la luce dei lampioni si scorgevano delle pallide stelle. Un colpo di vento portò via il fumo dalla tazza. Sorseggiò restando a fissare le ombre ferme e nascoste per strada.
La sera seguente allo Speakeasy Fosco stava di nuovo trafficando con il jukebox quando si accorse della cartella sul desktop. Sul momento rimase un po’ spiazzato e si guardò attorno. Aveva fatto più tardi del solito e non aveva potuto controllare i movimenti intorno al pc. Sbirciò di nuovo quella cartella con fare indifferente. Sì, aveva letto bene, c’era proprio scritto “per Fosco”. L’aprì, un po’ titubante. Conteneva il file di una canzone. Il titolo era stato cambiato e al suo posto era ripetuto di nuovo, per la seconda volta, il suo nome.
Fosco maledì la sua curiosità. Non era molto contento di lanciare una canzone in diffusione a scatola chiusa senza sapere di cosa si trattasse. Non poteva di certo passare per un fan di Gigi D’Alessio, Masini o Baglioni. Un’espressione buffa si disegnò sul suo volto a quel pensiero. Cliccò due volte sul file e scappò al banco. Non si era ancora seduto al suo posto che riconobbe John Denver e la sua inconfondibile Country Roads. Sollevato dal fatto che non fosse una di quelle canzoni imbarazzanti che temeva, colse comunque il messaggio nascosto tra le righe in sottofondo. Il Country Roads era il locale dove i CartoonDay avevano suonato quella fatidica sera, anni prima. Era una data fuori dal loro solito giro, nel quale erano conosciuti e seguiti. Arrivarono nel tardo pomeriggio per montare tutto. Andrea si era dimenticato le sue bacchette per le grandi occasioni e si doveva accontentare di quelle di routine. Si ritrovava spesso con la testa per aria. Fosco e Gabri avevano litigato perché la data era stata decisa da Gabri su due piedi senza interpellare l’altro. Fosco non aveva atri impegni ma si era inventato che aveva dovuto rinunciare a un incontro importante: era il principio che contava e non era stato rispettato. Atmosfera tesa dunque, tanto più che il gestore del locale continuava a fare pressione e a puntualizzare che se non avessero portato gente non li avrebbe pagati. «Spero che stavolta arrivi in tempo e non si faccia attendere troppo» disse Gabri mentre sistemava il mixer. «Te l’avevo detto di aspettarlo e di passarlo a prendere». «Parlavo con Fra e non con te, Fosco. Potevi fermarti tu a prenderlo». «Quello precisino sei tu, l’organizzatore impeccabile». Ma Stith quel giorno arrivò stranamente in anticipo. «Ragazzi, questa sera fuochi d’artificio» esordì arruffando i capelli a Fosco e saltando sul palco. «Non è serata Stith, cerchiamo di fare le cose per bene, lineari e speriamo che ci rimborsino almeno le spese». «Questo è il Fosco che conosco. Guidato da suoi princìpi ispiratori: pessimismo e fastidio! Ogni concerto ha bisogno di essere ricordato, come un’opera d’arte. La monotonia non porta nuovi sostenitori. Lasciate fare a me». «Stith…» aggiunse Gabri «stavolta niente gavettoni sul pubblico… Quelli sono tutti sostenitori persi… » «Ma va, con il caldo che faceva si sono solo rinfrescati!» aggiunse ghignando.
Quando iniziarono a suonare si erano tutti rilassati vedendo che il Country Roads si riempiva di gente. A metà di ogni show, Stith aveva preso l’abitudine di inventarsi qualche trovata per impressionare il pubblico e per non annoiarsi troppo durante gli intermezzi strumentali. All’inizio erano pensate semplici e innocue: il cambio d’abito, l’apertura di una bottiglia di vino con annessa bevuta, lo striptease improvvisato. L’ultima volta però il lancio dei gavettoni era stato esagerato. L’avevano rimproverato e pensavano che fosse finita lì. Nessuno immaginava che sarebbe andato tanto oltre. Quella sera Stith ricomparve sul palco completamente fradicio. L’assolo di Leaves Oil scorreva sulle corde della chitarra di Fosco che lo udì pronunciare il suo slogan leggermente modificato: «Stith stasera si accende non solo con le note amplificate dalla sua voce … Ma anche con l’aiuto di un fiammifero». Fu un attimo, e una torcia umana si dimenava sul palco. Gabri, che era quello più vicino, gli saltò addosso nell’estremo tentativo di spegnerlo. Al Country Roads fu il caos. Gente che urlava e che correva da tutte le parti. Fosco tentò di strappare il telo con inciso il nome del gruppo appeso alla parete dietro al palco per avvolgere Stith, ma capì che non sarebbe riuscito a staccarlo in fretta così lasciò perdere. Intanto era già stato coperto con alcune giacche che avevano spento le fiamme. Arrivarono i soccorsi. In fretta e furia Stith fu portato via. Fosco si ritrovò seduto per terra, a guardare il nulla, impietrito mentre ascoltava l’urlo dell’ambulanza che si allontanava di corsa. Quel suono si incise come un solco nella sua mente e avrebbe continuato a sentirlo, insistente, per lungo tempo.
Stith morì così, a ventisette anni. Alcuni dissero che si era suicidato. Era ossessionato dai grandi artisti rock del passato e voleva fare parte della maledizione dei ventisette che aveva portato via Jim Morrison, Jimi Hendrix e Janis Joplin. Per altri era impossibile che avesse voluto ammazzarsi. Era esagerato in tutto, forse quest’ennesima bravata gli era sfuggita di mano e costata cara. La tragedia non consolidò i legami. Fosco, Gabri, Andrea e Francesco con il passare del tempo si allontanarono e così svanì un sogno intitolato CartoonDay. Qualche anno dopo Fosco si era trasferito, aveva cambiato lavoro, cercando un po’ di quiete altrove.
Tutti questi ricordi si accartocciavano l’uno dietro l’altro mentre ascoltava Country Roads. Erano nitidi e chiari come la sua malinconia, sostenuta da quella circostanza inconsueta. Questo percorso terapeutico attraverso le canzoni cominciava a prendere una piega amara, disturbante ma eccitante allo stesso tempo. Chi aveva lasciato quella canzone per lui conosceva la sua storia, conosceva il suo gruppo e tutto quello che era successo. Pensò che si trattasse della stessa persona che aveva perso l’mp3, spiegando così la presenza di Leaves Oil su quel lettore. A quel punto Fosco sapeva di dover replicare e rispondere con un nuovo messaggio racchiuso in un’altra canzone. Non ci pensò subito. Anna intanto lo guardava di nascosto. Sapeva che Fosco avrebbe intuito il significato di Country Roads e voleva leggere lo stato d’animo che sarebbe trapelato dalle espressioni del viso. Sembrava assorto, più che pensieroso, e lei lo interpretò come un buon segno. Fosco finì la sua birra e poi si avviò verso casa. Quella sera, dopo tanto, si mise a comporre. Strimpellò melodie per ore, agganciando versi poetici ed essenziali uno dietro l’altro. Finché non fu esausto e soddisfatto non alzò la testa dalla sua Ibanez elettroacustica. Albeggiava quando un sonno pesante lo attirò sul divano. Chiuse gli occhi senza pensare.
Riders on the storm, into this house were born, into this world were thrown, like a dog without a bone, cavalieri nella tempesta, siamo nati in questa casa, precipitati nel mondo, come un cane senza un osso. Una volta mentre andava con Stith in un negozio di musica, dovette sorbirsi questa canzone durante tutto il tragitto, sia all’andata che al ritorno. Se avesse avuto il dono della parola, perfino l’autoradio si sarebbe lamentata. Stith continuava a ripetere che esistevano poche canzoni così belle e concrete e che non poteva fare a meno dei Doors. Fosco per un po’ gli aveva dato corda, ma all’ennesimo ascolto pensò che stesse dicendo un mucchio di cazzate, ormai irritato e infastidito dal ritornello pressante.
Così per un momento gli venne in mente che fosse una bella idea controbattere con Riders on the storm: voleva scegliere un brano che ricordasse in qualche modo Stith, pensando, a ragione, che fosse lui il filo conduttore di quel match musicale.
Con uno dei suoi allievi stava studiando però un brano che gli portò alla mente un altro aneddoto. Fosco e Stith adoravano Jeff Buckley. A Stith piaceva non solo per le canzoni ma anche perché aveva finito la sua vita avvolto in uno dei quattro elementi naturali, annegando in un fiume. «La natura ci porta in vita, pensa che soddisfazione morire tra le sue braccia» aveva detto un giorno a Fosco. «Sì beh, con acqua e fuoco è facile Stith… ma come la mettiamo con terra e aria?!?» «Ah Fosco devo insegnarti tutto? Per l’aria ti lanci con il paracadute e non lo apri oppure puoi farti seppellire vivo. Cosa scegli!?» Fosco non rispose, ma pensò che sicuramente avrebbe preferito il paracadute.
E la scelta fu una canzone di Buckley che piaceva molto a entrambi: Last Goodbye. Era un antidoto contro le delusioni d’amore. Un ascolto, qualche lacrima e passava tutto. Lo chiamavano il miracolo di Jeff. This is our last goodbye, i hate to feel the love between us die, but it’s over, just hear this and then i’ll go, you gave me more to live for, more than you’ll ever know, questo è il nostro ultimo addio, odio sentire che l’amore tra noi due muoia, ma è finito, ascolta solo queste parole e poi me ne andrò, mi hai dato qualcosa in più per cui vivere, molto più di quanto tu possa immaginare. E Stith un giorno aveva confessato a Fosco: «Sai, il miracolo di Jeff funziona anche con mia sorella». Non sapeva, Fosco, che scegliendo quel pezzo per lo Speakeasy, avrebbe camminato tra uno dei ricordi più preziosi di Anna.
Le note soffici e penetranti di Buckley inondarono il locale. Anna era arrivata quasi assieme a Fosco. Aveva pregato Nik di avvisarla appena lui fosse entrato allo Speakeasy. Non voleva perdersi la canzone. Aveva anche intuito che Fosco aveva il suo lettore mp3, ma di certo non poteva semplicemente andare da lui per farselo ridare. Non sapeva cosa dirgli e le riusciva meglio quella comunicazione attraverso le canzoni. Last Goodbye le arrivò come un pugno allo stomaco. Quella stessa canzone che l’aveva consolata dalle ferite amorose, si trasformava adesso in un veicolo di tristezza. L’aveva scoperta parecchi anni prima, grazie a suo fratello che, vedendola particolarmente giù di morale una sera le aveva presentato Jeff e il suo miracolo, facendosi promettere che se un ragazzo l’avesse fatta soffrire l’avrebbe ascoltata.
Voleva correre. Correre fuori oppure correre per abbracciare Fosco, raccontargli tutto e restare per ore a parlare di Stith. Non le riuscì nulla di tutto questo. Il suo carattere trattenuto la lasciò lì seduta, senza far trapelare nulla, con lo sgomento che scuoteva il suo animo avvilito. «Bah, Fosco sei fissato con Buckley…» commentò distrattamente Nik mentre preparava un drink. «Ascolta attentamente, ti farà stare meglio». «Le tue allusioni mi hanno stufato Fosco. Anna sta passando un periodaccio, ma questo non ti autorizza a continuare a prendermi per il culo». «Hey Nik, come sei diventato permaloso. Tu non ci sai fare con le ragazze». «Tu invece sì, vero!? Sarà per quello che continua a chiedermi di te. Hai visto Fosco? E’ passato Fosco? Avvisami quando arriva Fosco». «Che vorresti insinuare? Io non c’entro con i vostri problemi. Non cercare di passare le colpe a me!» «Al diavolo tu e le tue canzoni!» Fosco ci rimase male, con Nik aveva sempre scherzato, ma il tono alterato di quest’ultima frase sembrava fatto apposta per ferire. Riuscì solo ad aggiungere: «Brutta aria qua, tolgo il disturbo». Nik si rese conto di aver esagerato e si pentì subito, ma se ne restò zitto continuando a lavorare. Fosco scese dal suo sgabello un po’ più brillo del solito e se ne andò. Anna non lo vide allontanarsi e la morsa strinse ancora più forte quando, alzando la testa, scorse il posto vuoto.
A casa arrivò un Fosco tormentato. Accese il portatile, attaccò la chitarra e registrò la nuova canzone cui stava lavorando. Ascoltò l’inizio, poco convinto di quella prima bozza. Nel quartiere tornerai, cercando la tua identità, il viaggio tornerà sereno. Apro la mia mente al bambino che ero, ricordi ricostruiscono il mosaico dell’esistenza. Sorrido e mi vedo giocare, le bolle di sapone mi circondano, hey tu, farfalla raggiungimi, colora i miei sogni. «Mmm, strano che mi sia uscita in italiano» farfugliava mentre copiava e incollava la canzone in quel lettore mp3 smarrito. Nominò il file “Cornice Vitale” e aggiunse: “per la persona che mi ha suggerito questa ispirazione – Fosco”. Aveva deciso di portare il lettore allo Speakeasy, lasciarlo a Nik, dirgli che l’aveva trovato in bagno e che era giusto lasciarlo a lui al locale, semmai qualcuno l’avesse reclamato. Con queste convinzioni in testa, lo stereo al minimo e l’aria che filtrava dalla finestra sprofondò sul divano chiudendo gli occhi.
La sera successiva, ancora una volta si ritrovò davanti al bancone dello Speakeasy, ascoltando passare i pezzi del jukebox e aspettando indizi. Nik era molto indaffarato a causa della confusione e del via vai di gente. Nessuno fece caso ad Anna quando si avvicinò al jukebox e inserì la sua canzone. La notte l’aveva torturata non lasciandola dormire. In qualche modo doveva svelarsi. La scelta del brano, nel quale si riconosceva parecchio, era inequivocabile, Fosco avrebbe sicuramente capito. La voce inconfondibile di Enrico Ruggeri solleticò Fosco che riconobbe quella canzone all’istante. Anna e il freddo che ha. Ricordava con chiarezza anche il video con Andrea Mirò, che gli era piaciuto particolarmente. Un pezzo che gli restò in mente a suo tempo perché conteneva la parola “ferro da stiro”. Solo uno che ci sapeva fare poteva inserire “ferro da stiro” in un testo senza banalizzarlo. Se c’e’ molto rumore di sera, non si sente il respiro, come un ferro da stiro nasconde le pieghe che il vento ti fa, a guardare la stessa frontiera, mentre cambiano luci, sovrapponi le voci di chi vuole troppo ma niente ti da’, Anna e il freddo che ha. I due si guardarono. Fosco scosse la testa sorridendo imbarazzato, mentre Anna si defilò tra i tavoli. Una cartolina gli si aprì nella mente: ricordò una ragazzina bionda tra il pubblico di un concerto dei CartoonDay. Non aveva potuto riconoscerla prima, erano passati troppi anni, lei era cresciuta e cambiata. Estrasse dalla tasca l’mp3, lo porse a Nik sul tavolo. «Puoi darlo a Anna? Penso l’abbia perso in bagno». Nik sbiancò. Fosco invece continuò ignaro a sorseggiare la birra tra i suoi pensieri.
oh, mi piace. si si si.
grazie mille elena! 🙂
un omaggio alla musica
Si c’è tanta musica, in parte la stessa che ha accompagnato la mia adolescenza, anche se io già allora avevo gusti leggermente più estremi….poi nel crescere mi sono mitigato!!!!!
Ma c’è anche un racconto e la capacità di svilupparlo