Premio Racconti nella Rete 2015 “Nove e tredici” di Lorena Impronta
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015La signora bruna si sedeva sempre vicino al finestrino, nel senso contrario a quello di marcia. Era l’ultima ad arrivare, cosicchè tutti potessero ammirarla.
R scrisse l’orario, otto e ventuno minuti, poi mise il tappo alla stilografica e chiuse il taccuino. Rispetto al venerdì precedente tutti erano arrivati qualche minuto in ritardo, il lunedì è sempre stato un giorno faticoso.
Il sedile centrale a fianco a lui era rimasto vuoto, probabilmente le lezioni erano già finite e il ragazzo con lo zaino verde era rimasto a casa di qualche fidanzata a studiare. Immaginava che quel ragazzo avesse più di una fidanzata, era bello ma non troppo, lo sguardo maliardo e sfuggente, le donne lo guardavano, compresa la signora bruna che gli sorrideva sempre ammiccante nonstante i dieci anni di differenza.
Otto e trenta.
Il teno, mollemente, lasciava la stazione gracchiando sulle rotaie di quella vecchia linea costiera.
Appena finita la curva, il sole arrivava a illuminare lo scompartimento, sbattendo violento in faccia alla signora bruna, che chiudeva gli occhi e rovesciava il mento all’insù, mettendo in mostra le labbra arancioni. Le onde spesse dei capelli diventavano infuocate di rosso, a R piacevano particolarmente e si perdeva a studiarne i riflessi. La signora scavallava e riaccavallava le gambe, fasciate nel tubino blu sopra il ginocchio. Sembrava una donna molto matura, eppure quando apriva i grossi occhi verdi malinconici si capiva che non poteva avere più di trentacinque anni.
A fianco a lei il giovane prete leggeva il solito testo di filosofia, per nulla imbarazzato dai tacchi a spillo che si muovevano su e giù. Era un ragazzo esile, biondiccio, dal naso aquilino, veniva dal nord e sorrideva a tutti. Affiancava il vecchio parroco di uno dei quartieri malfamati della città, giocava con tutti quei bambini che di giorno non andavano neanche a scuola e cercava di insegnargli quello che non imparavano altrove.
-Cosa legge oggi padre?- chiese il signore seduto a fianco a lui, sulla poltrona a fianco alla porta.
-Ragion pura. Kant. – sorrise affabile il giovane prete.
-Andiamo sul difficile!- esclamò l’uomo. – Che vuole insegnare ai suoi bambini?-
-No, no, questo è per me, mi serve a tenere vivo il cervello. Ragionare è fondamentale-
-Così giovane e così saggio! -lo schernì il vicino gentilmente.
Era un signore sulla cinquantina, lavorava agli uffici comunali in città, aveva i capelli grigi come le scarpe e la cravatta, l’espressione stanca per le evidenti nottate trascorse a discutere con la moglie.
R. riaprì il taccuino, quella mattina l’uomo era arrivato alle otto e undici, in evidente anticipo rispetto al solito.
Otto e quarantadue.
Il treno si fermò alla prima stazione. Sulla banchina le solite tre anime assonnate, la ragazzina riccia con le cuffie alle orecchie, la ragazza di colore che urlava al telefono e il vecchietto con il bastone. Dal finestrino si vedeva in lontananza il mare sotto lo strapiombo che luccicava al sole, calmo e invitante.
La ragazzina entrò nello scompartimento, posò lo zaino per terra e si buttò pesantemente sul sedile vuoto a fianco alla porta, in faccia al dipendente del comune, accennando un buongiorno mozzicato a voce bassa. Era abbastanza trasandata, i pantaloni della tuta toccavano terra strappati, la maglietta rosa maculata si stringeva sulle pieghe della pancia molle. Si girò a guardare alla sua sinistra il posto vuoto dello studente universitario, delusa di non vederlo, poi riprese a masticare il suo cicles e alzò il volume della musica.
R. riaprì il taccuino e segnò otto e quarantatre.
Alle otto e quarantacinque il treno sbuffando riprese la sua danza ondulata sulla strada ferrata costiera, scendendo verso il mare e la città.
Il capotreno bussò alla porta.
-Biglietti, prego-
La ragazzina, masticando rumorosamente, mostrò il suo abbonamento.
-Buongiorno Padre- fece il ferroviere rivolto al giovane prete.
-Buongiorno a lei, come sta?- rispose il prete.
-Tutto bene, grazie. Mia mamma la ringrazia moltissimo per le immaginette della Madonna che le ha mandato…è molto devota, sa, ma non se la sente più di affrontare il viaggio fino al paese- continuò il capotreno mentre vidimava il biglietto del dipendente comunale. Il prete fece per tirare fuori dalla tasca il suo titolo di esenzione, ma il capotreno lo fermò: -va bene così, padre, grazie- e riverì alzando il cappello con la mano e inchinando lievemente la testa.
Il giovane prete sorrise imbarazzato di quei modi ossequiosi di quel mondo a cui ancora non si era abituato.
Quando fu il turno della Signora bruna, il ferroviere fu obbligato a richiamarla con un leggero colpo di tosse, perchè la donna se ne stava assorta a guardare il mare in fondo allo strapiombo e sembrava non essersi accorta di nulla. Le gambe accavallate e piegate da un lato parevano scolpite in un blocco di marmo immobile.
-Lara…tutto bene?- le chiese il capotreno in evidente imbarazzo -il biglietto…-. Era tutto rosso, le mani sudate, la osservava preoccupato.
La donna a quel punto, come se niente fosse, si voltò e i suoi occhi, fino a un secondo prima colmi di un angosciante senso di vuoto, tornarono ad essere pieni di elegante malizia.
-Mi scusi, Giovanni, eccolo- disse sorridendo.
Il treno prese una curva bruscamente e il ferroviere perse l’equilibrio e si aggrappò alle barre portavaligie, poi bucò il biglietto, ringraziò e uscì dallo scompartimento alla velocità della luce senza guardare in faccia nessuno.
Lara. Si chiamava Lara. E il capotreno la conosceva indubbiamente.
Otto e cinquantadue.
R. aprì il taccuino e annotò minuziosamente vicino all’ora quello che era accaduto. C’era stata una novità e non era un buon elemento, era una coincidenza che proprio quel giorno accadesse qualcosa di nuovo.
La donna guardava di nuovo giù, il mare. Lara.
Forse quell’uomo allora era il suo amante. Sembrava così strano però. Il capotreno avrà avuto una cinquantina d’anni abbondante, portava la fede, era schivo e introverso, seppur gentile, a ben guardarlo in gioventù poteva essere stato un bell’uomo, ma non da giustificare che una donna giovane come quella Lara se ne interessasse.
Però era palese che i due si conoscessero bene. Era l’amante, sicuramente. R per un anno aveva creduto che fosse il giovane universitario a consumare fugaci momenti di passione con la signora bruna ogni volta che scendevano insieme dal treno alla stazione e si guardavano con malizia. Invece si era sbagliato.
Ripensò alla coincidenza, non gli piacevano, un elemento nuovo nell’ordine del suo taccuino poteva significare un disastro imminente.
Otto e cinquantasei.
Il treno si fermò in prossimità del cartello blu della stazione successiva, in attesa del segnale ferroviario.
R.aprì il finestrino per far entrare l’odore del mare, ormai avevano abbandonato la montagna e il mare era a pochi metri da loro, profumato di sole tiepido.
Quando si aprirono le porte, la ragazzina salutò con un cenno del capo e scese. Al suo posto salì il compagno di corso dello studente universitario, fece cenno di saluto allo scompartimento con la mano e continuò a parlare al telefonino mentre posava il suo zaino sul sedile dove prima c’era la ragazzina e prendeva posto nella poltrona centrale dove di solito si sedeva il compagno,
vicino a R.
-Oggi allora mi seggo al tuo posto finalmente, così non mi faccio pungere dalle molle rottte di quella maledetta poltrona che mi lasci di solito! A presto!- concluse il ragazzo al telefono.
-Il suo amico non sta bene?- gli chiese poi il giovane prete appena chiuse la conversazione.
-No, no, sta benissimo, ma la madre non vuole mai che prenda il treno in questa giornata. Vacanza forzata!- fece il ragazzo strizzando l’occhio.
-Superstizione!-si intromise il dipendente comunale che ben capì di cosa si stava parlando – e Dio non ama la superstizione, giusto padre?-
-Dio tollera tutti i comportamenti umani e ammette la paura – rispose il prete.
Il ragazzo alzò le spalle, lui non ne sapeva nulla, se non per sentito dire.
R. annotò sul taccuino
Otto e cinquantanove.
Un’altra novità, un’altra coincidenza. Lo studente universitario è assente non per caso. Tutti sanno.
Aprì la sua valigetta di pelle marrone consunta, tirò fuori una scatola di pastiglie Leone e ne estrasse una pillola contro l’ansia, che ingoiò velocemente.
Era un anno e mezzo che saliva su quel treno tutte le mattine, alla stessa ora, si sedeva allo stesso posto e maniacalmente annotava tutto ciò che accadeva nello scompartimento. Un anno e mezzo che le stesse persone occupavano gli stessi sedili, sgarrando solo eventualmente di qualche minuto sugli orari. Cercava di esorcizzare così la paura dei minuti precedenti, di dimenticare il rumore.
Bum bum.
Quella mattina, invece, il rumore tornò nella sua mente, due strane coincidenze avevano sconvolto l’ordine.
Tutte quelle persone sapevano e stavano lì per cercare di proteggersi, come lui.
La pastiglia lo calmò.
Pochi minuti ancora e il treno sarebbe arrivato.
R. riprese a osservare Lara più insistentemente. Il sole illuminò ancora una volta le onde dei suoi capelli rendendole rosso fuoco.
Fu allora che R. Iniziò a ricordare.
Gli occhi verdi fissi, i boccoli ramati, la bambina strappata via dalla mano della madre che colava sangue dalla testa, lungo il collo e le braccia. Giovanni, corri, gridava qualcuno in dialetto.
Ancora due spari. Bum, bum.
Le urla nello scompartimento, il giovane ferroviere terrorizzato che scappava lontano con la bambina stretta al petto, quegli occhi verdi silenziosi che guardavano il corpo della sua bellissima mamma cadere a terra insieme a quello del marito.
Lara.
Lara era viva e stava bene.
R. sentì i muscoli tremare in tutto il corpo e poi rilassarsi.
La voce metallica annunciò la stazione di Locri.
-Sono le nove e quattordici, ha dimenticato di scrivere sul suo taccuino- fece Lara rivolta ad R.
R.sussultò. Aveva dimenticato le nove e tredici. E non era successo niente, nessuno sparo.
-Lei dov’era esattamente? Ricordo tutte le persone che c’erano nello scompartimento, ma non riesco a collocare lei.- Lara stava parlando con lui. Nessuno gli aveva mai rivolto la parola nello scompartimento.
-Io ho aperto le porte quando hanno fermato il treno.- rispose con voce roca, da sessantenne fumatore.
Lara si alzò, raccolse i suoi effetti personali, il tubino blu la fasciava e la rendeva ancora più attraente.
-Lei era l’ostaggio!- sorrise, tranquilla.
Nel frattempo Giovanni passò davanti allo scompartimento, aprì la porta, si assicurò che Lara stesse bene.
Poi tutti i passeggeri scesero dal treno, che ripartì.
-Ma lei vive ancora qui?- chiese R. a Lara.
-Certo, dove dovrei andare?-
-Certo…-
R.si accomiatò.
Quando fu fuori dalla stazione, dopo aver percorso a passo veloce il viale che portava al mare, prese il taccuino dalla valigetta, lo guardò ancora una volta, poi lo richiuse e lo lanciò in mezzo alla strada.
La meticolosità quasi ossessiva dei gesti per esorcizzare la paura e dimenticare un trauma mai superato.
Questo è R.
Ma a volte la stessa paura è vissuta in maniera diversa da chi ci sta accanto…
Bel racconto, Lorena. Mi piace perché hai scritto della “quotidianità” che è la vita e che deve essere oggetto dello scrittore/scrittrice. Sento di ripetermi con altri miei commenti, hai creato l’ambiente dello scompartimento del treno in cui ho sentito di trovarmi. C’è la narrazione dei comportamenti delle persone, dei dettagli dei vestiti, dei capelli, delle borse e di tutto quanto i viaggiatori possono vedere. Giovanni è meticoloso, scrive di tutto e sopratutto, sul taccuino, riporta gli orari dei fatti. Questa mania trova origine nel bisogno di avere tutto sotto controllo; poi sente due rumori, dum dum, che gli ricordano due colpi d’arma da fuoco, Questo lo porterà a un cambiamento. Lara, una viaggiatrice, parla con Giovanni e ci permette di conoscere una vicenda che li ha visti protagonisti. Giovanni ostaggio, Lara bambina e i suoi genitori uccisi. Forse una rapina, forse un episodio della guerra. Il ricordo ha portato energia nella mente di Giovanni allontanando la paura e restituendogli la voglia di vivere. Auguri per essere tra i venticinque racconti vincitori.
Emanuele.
Grazie per il commento Ratti Emanuele, sono felice di aver trasmesso le immagini che avevo intenzione arrivassero al lettore!
Il treno è spesso il protagonista di molte storie. Forse perché con i suoi vagoni, l’incidere continuo viene spesso equiparato al tempo e alla vita. A tale proposito esiste una bella poesia di Ferlinghetti, un poeta americano della beat generation, intitolata La lunga strada. Angosciante ma anche profondamente vera. Il tuo racconto mi è piaciuto tantissimo. Il protagonista è la paura. E Lara e l’esorcista che aiuta R. a liberarsi del demonio del ricordo. E poi l’amore per la propria terra che, nonostante tutto, rimane il solo posto in cui vivere. Che dire? Brava.
Sono commossa se si può dire. La paura e l’esorcizzazione della stessa sono il fulcro del mio racconto. Il panico, i tic nervosi, le piccole o grandi manie dell’essere umano non vengono mai dal nulla, ma hanno una radice forte che va scoperta e demonizzata. Giovanni ne è l’emblema. E poi l’amore per la propria terra…esatto, duccio, amo il legame con le origini e con la terra nel senso letterale e metaforico del termine.
ti ringrazio davvero molto.
Accidenti che bel racconto. Concordo pienamente con i commenti che precedono il mio. La paura è la protagonista del racconto, il ricordo è uno sfregio che resta inciso nella carne. Scrivi benissimo, ero dentro quella carrozza a guardare in faccia uno per uno i viaggiatori. Hai uno stile davvero accattivante. Non ti vorrei sembrare esagerato, ma mi hai ricordato Alice Munro. Brava davvero
Proprio bello, mi hai fatto passare una decina di minuti di vero interessse per quello che leggevo. Carte abilmente scoperte poco a poco. Complimenti!
Ansiogeno; da un momento all’altro ci si aspetta che succeda qualcosa di terribile e imprevisto.
Brava!
Sperando di farti un complimento gradito Lorena, il tuo racconto mi ricorda molto il periodo d’oro di Agatha Christie, specie per le atmosfere create e il parallelismo con “Assassinio sull’Oriente Express” ovviamente in ambientazioni diverse.
Impossibile non leggerti con gusto fino alla fine per scoprire questi protagonisti tormentati dal dolore e assimilare la paura che si percepisce quasi in ogni riga.
Descrizioni mirate, reali e bellissime, un applauso per avermi saputo far viaggiare in quel vagone. Brava!
Grazie Ottavio, mi piacerebbe scrivere come la Munro! E grazie anche a Sergio.
Siamo in un paese della Calabria, il ricordo di Giovanni è legato a un qualche regolamento di conti negli anni più bui del terrorismo. Oltre alla paura emerge anche la complicità silenziosa di tutti gli altri viaggiatori, che sanno per aver vissuto o sentito dire.
Grazie ancora, non mi aspettavo di essere riuscita a pieno nel mio intento!
Ciao Lorena,
mi è piaciuto moltissimo il tuo racconto e devo dirti che all’inizio seguendo i movimenti del treno mi sono sentita proprio su un treno calabrese! Da calabrese conosco la costa e le tue descrizioni mi hanno proprio fatto sentire “a casa” e fino alla fine mi sono scoperta anche io a contare i minuti che passavano. Ero lì sul treno anche io a rivivere quel giorno terribile. Brava!
Il racconto scivola via fluido, con un’aria di mistero sullo sfondo. Tanti personaggi, ben delineati nonostante la brevità del testo. Mi hai fatto sentire dentro quel treno. E mi è dispiaciuto, alla fine, dover scendere. Complimenti, hai centrato l’obiettivo.
Ciao Lorena,
hai scritto un racconto carico di tensione e notazioni psicologine.Si sta sul filo fino in fondo e la modalità con cui fai in modo che l’uomo esorcizzi la paura è molto efficace. Vorrei un tuo parere, se vuoi, su “L’evasione”. Grazie
Ringrazio chi mi ha letto per i commenti entusiasmanti che mi hanno dato la carica per continuare a scrivere e provare e riprovare! Non mi trovo daccordo su alcuni dei racconti finalisti, ma il bello della scrittura è saper emozionare e colpire animi diversi in momenti diversi!
Complimenti ai vincitori e in bocca al lupo a tutti gli altri!