Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2015 “L’ultimo viaggio” di Laura de Menech

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015

Decisi di tornare in quell’unico posto che mi aveva reso felice, per trovare forse quella pace interiore che avevo perduto da ormai troppo tempo.

Bellaria, cittadina di mare affacciata sull’Adriatico, custodiva la mia infanzia, i giorni felici trascorsi con la mia adorata mamma, quando lei era ancora una ragazzina ed io una vivace bimbetta.
A quel tempo, non mi rendevo di certo conto che stavo vivendo un sogno, avvolta com’ero da quell’innocenza infantile che rende intaccabili dalle bruttezze del mondo. Oppure era anche il mondo ad essere diverso, non so.

Ogni anno contavo i giorni che mi separavano dal viaggio estivo che mi portava lì, nella mia Bellaria: la partenza poco prima dell’alba, quand’era ancora buio, rendeva il tutto ancora più magico ed emozionante.
I campi di papaveri della pianura padana, le file simmetriche dei pioppi che si vedevano lungo la strada; la gioia era anche il viaggio stesso, ricco di colori e profumi dell’estate.

Poi si arrivava a destinazione, ed iniziava la mia vita di mare: giorni felici tra sabbia, giochi e bambini con cui stringevo amicizia.

Non immaginavo che quel periodo sarebbe stato l’unico sereno della mia vita. Ricordo la spensieratezza, il piacere di sentire il sole che mi scaldava la pelle, ma anche le altalene che mi facevano toccare il cielo, e i giochi con la sabbia con cui creavo castelli o gallerie profonde.
Tutto era magia. Tutto era scoperta. Ma io non lo sapevo.

L’avrei capito molti anni dopo, quando il male oscuro s’insinuo’ perfidamente dentro di me.
All’improvviso tutto si spense, i colori non erano più gli stessi, mi pareva addirittura che neppure gli alberi fossero gli stessi di prima, né i fiori e neanche il canto degli uccelli.
Tutto si era improvvisamente fermato nella mia testa, emozioni e pensieri.
Stavo conoscendo l’inferno.
Unico conforto, la presenza amorevole della mia cara mamma che non riusciva a comprendere il motivo del mio crollo. Mi salvò anche la presenza dei miei amati libri, che divennero la mia zattera in un mare in tempesta.

Ma ormai la vita aveva perso colore, non ero più la stessa di prima: “Un vaso rotto rimarrà sempre un vaso rotto”, aveva detto un tempo Van Gogh. Ed aveva ragione.
Una volta che ti sei affacciato sul baratro e hai contemplato l’abisso, l’inferno, nulla tornerà come prima.
E così fu.

Ora era giunto il momento di ritirarsi; una battaglia non può durare per sempre. Alla fine si decide di abbandonare le armi, per la pace della mente ma anche del corpo, e si ha voglia di contemplare l’Infinito.

Così Bellaria diventò il mio addio: era stata il mio inizio, ora sarebbe diventata la mia fine.

Scelsi un giorno d’inverno, dove l’unico suono era la forza del mare: strade deserte avevano preso il posto del brulichio estivo dei turisti, che la sera rendevano viva la città.

Vagavo in quel mondo diventato ormai un lontano ricordo e mi diressi al porto, dove un tempo ormeggiava la mia adorata barca di nome “Deborah”.
Lei mi aveva fatto conoscere gli spazi infiniti del mare aperto, la potenza delle onde durante le tempeste, e la danza dei gabbiani sopra le nostre teste quando rientravamo al porto con il pesce appena pescato.
A suo modo, anche Deborah mi aveva reso felice.

M’informai della sua assenza al porto da un marinaio intento ad accendersi una pipa: “L’hanno portata in Sardegna per essere demolita”, mi disse con estrema indifferenza. Anche lei aveva compiuto il suo ultimo viaggio.

Fu come sentire un pugno allo stomaco, e capii che un altro pezzo del mio cuore se ne era andato per sempre.

Andai al faro e guardai con dolore l’orizzonte.
Le lacrime mi velavano gli occhi e non riuscii a contemplare per l’ultima volta quel mare che era stato per tanti anni la mia vita e la mia felicità.
Udii solo il verso dei gabbiani, quasi un saluto, un addio.
Una mia lacrima venne catturata dal vento e consegnata al mare.
Poi mi addormentai, credo, e me ne andai , per sempre.

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9 commenti »

  1. Delicata poesia sul dolore e sulla morte, mescolando presente e passato. Due punti fermi che rendono il confronto aspro e dolce contemporaneamente: Bellaria e la mamma. Mi è piaciuto, brava Laura.

  2. Cara Laura, credo che il male oscuro sia la depressione.Non so se è autobiografico oppure no, non è così importante. Non è facile raccontare queste cose. Ho apprezzato la brevità. Il rischio scrivendo di queste cose è di cadere nel troppo articolato, nelle lungaggini, nelle spiegazioni inutili. Pochi tocchi, come Van Gogh, appunto. ma efficaci. E poi c’è il mare, la barca demolita. Non c’è possibilità di riscatto e di guarigione. E poi il finale. Metaforico o reale? Insomma, la partita è stata persa oppure no?

  3. Ciao Laura,
    complimenti! Molto bello il tuo racconto, hai descritto molto bene la malinconia senza via di scampo di questa protagonista senza nome. Bello il ruolo della cittadina e del mare che gioca sempre un ruolo importantissimo nelle vite di coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo.
    Arrivando alla fine mi sono chiesta, per mera curiosità narrativa, cosa abbia spinto la protagonista a questo gesto così disperato – qualunque esso sia, visto che non è chiaro (ho apprezzato molto questo finale sfocato che non tutto fa comprendere ma che non permette di capire cosa è successo davvero).
    se ti va fai un salto a leggere i miei due racconti “Il treno” e “Natale rosso bianco e blu”, mi farebbe piacere avere un tuo parere.
    In bocca al lupo per il concorso.

  4. Carissimi! Vi ringrazio tutti!
    In realtà, si, è un’autobiografia: conosco benissimo Bellaria e la barca “Deborah” è esistita davvero. Proprio Deborah mi ha fatto vivere momenti magici della mia vita, così come li ho descritti, anzi… di più! La notizia della sua demolizione mi ha fatto stare male per anni. anche al giorno d’oggi, vorrei rivederla, rivivere la magia di un tempo.
    Il finale … qui è un po’ complicato spiegare …. trattandosi di una storia vera …. il finale prevede la morte della protagonista che non accetta di aver perso tutto ciò che l’ha resa felice da bambina. Per lei si tratta proprio del suo ultimo viaggio, dell’ultimo saluto dato a chi lo meritava veramente. un addormentarsi dolcemente proprio al faro, davanti a quel mare che l’ha resa felice per tanti anni. Un ultimo sguardo ai suoi amori: il mare e Deborah. E quella lacrima che viene rubata dal vento per consegnala al mare: solo il mare può custodirla, perchè solo esso ha dato vita e felicità. Un ritorno al grembo materno. Tu mi hai fatto nascere, ora riprendimi.
    Solo chi ha conosciuto veramente il dolore, vedi la frase di Van Gogh, può capire questo.
    La protagonista preferisce abbandonarsi al suo amato mondo piuttosto che vivero in uno che non le appartiene e che non riconosce.

  5. Cara Laura bellissimo anche questo e contiuo a trovare sintonia nei nostri sentimenti.
    La voglia di vivere anche nella sofferenza traspare, il desiderio di far esplodere una grande energia che abbiamo dentro e che nella sensibile osservazione della sofferenza umana esprime desideri di amore e rinascita.
    Mi piace come scrivi e mi è sembrato di parlarti di persona.
    Grazie

  6. Ciao Laura, io colgo in questo tuo bel racconto il bisogno della persona di guardare al proprio passato per rivivere belle vicende e sopratutto rigettare i brutti ricordi che comunque prevalgono Sopratutto quando ci sono la sofferenza fisica e la solitudine, si cercano nell’esistenza momenti di serenità per coprire le ferite della vita. E’ un testo che in alcuni passaggi è poesia.
    Emanuele

  7. L’ultimo viaggio del male oscuro che racchiuso nella lacrima viene consegnato al mare per permettere di addormentarsi sereni e andarsene per sempre verso un primo nuovo avvincente viaggio. Dolce e vero, bello!

  8. Ciao Emanuele!
    Grazie per il commento: purtroppo è un racconto autobiografico e la sofferenza ti suggerisce le migliori frasi! Hai centrato il bersaglio e devo ammettere che sei un ottimo commentatore in grado di comprendere gli stati d’animo. In bocca al lupo. Ora vado a leggere i tuoi racconti… baci.

  9. Un racconto pieno e nostalgico. La necessità di adeguarsi a un mondo diverso da quello immaginato da bambini non basta a farci andare avanti. Mi piace il tuo stile di scrittura, lo trovo elegante e profondo, come una barca che attraversa il mare sotto le stelle. Complimenti

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