Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2015 “La voce dei colori” di Laura de Menech

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015

“Esiste un momento in cui le parole si consumano e il silenzio inizia a raccontare.”
(Kahlil Gibran )

Scese di corsa le scale, raggiunse il pesante portone, tirò con tutta la forza che aveva, e si ritrovò finalmente fuori, fuori da quel palazzo e da quell’incubo. Respiro’ l’aria fresca di marzo e rivolse il viso al sole, assaporando quella splendida giornata di primavera.
Ora Alice era libera, ma sola, indifesa, in un mondo che l’aveva fatta solo soffrire.

Dal giorno in cui sua madre l’aveva messa al mondo, aveva conosciuto solo violenza e soprusi, ma ora era giunto il momento di ribellarsi, di dimostrare di essere un vero guerriero, come i Samurai, che lei amava tanto.

Cammino’ lungo il viale parigino, stando attenta a non attirare l’attenzione : il suo pigiama poteva assomigliare ad una tuta, ma era pur sempre un pigiama.
Raggiunse il Giardino delle Tuileries e lì trovò riparo all’ombra dei grandi alberi , che l’avrebbero protetta, almeno loro, da sguardi indiscreti. Era pur sempre fuggita da un istituto psichiatrico, anche se sapeva di non essere pazza, perché così avevano voluto quei pochi parenti che le erano rimasti, mostri insensibili che avevano trovato il modo di sbarazzarsi di lei, considerata solo un peso e una vergogna.
Si, perché Alice era stata partorita da Sarah, pecora nera della famiglia, rimasta incinta a soli diciassette anni dopo un passato di droga.
Il suo patrigno aveva preteso che abortisse, ma lei era fuggita da casa per salvare quella povera creatura che portava in grembo e che non aveva alcuna colpa.
Aveva trovato rifugio in un convento parigino di suore dove però morì dando alla luce Alice.
La bimba fu messa subito in un Istituto in attesa che qualche anima pia l’adottasse e l’amasse.
Ma quel giorno non arrivò mai.
Così Alice cresceva sempre di più chiusa in se’ stessa, senza socializzare né con le suore che si occupavano distrattamente di lei, né con gli altri bimbi che condividevano la sua medesima sorte.

Passavano gli anni e Alice sognava sempre che qualcuno l’abbracciasse o che le regalasse un po’ di affetto, la baciasse o la tenesse anche solo per un attimo sulle ginocchia. Invece c’erano solo i rimproveri delle suore che talvolta la prendevano per i capelli perché, secondo loro, era una ribelle e non ubbidiva. Non potevano sapere, aride com’erano, che aveva un disperato bisogno d’amore.
Senza affetto il suo stato era degenerato in apatia, tanto che queste arpie la misero in un istituto psichiatrico perché erano convinte che il passato di droga della madre avesse influito negativamente sullo sviluppo mentale della bimba.

Il giorno in cui la portarono in clinica, un vecchio palazzo elegante nel centro di Parigi, fu per lei un evento insignificante : l’unico cambiamento consisteva nella presenza di medici al posto delle suore.
Alice riflette’ tra se’ è se’ che entrambe le categorie indossavano la stessa noiosa divisa bianca.
Niente colori, niente amore.
Quindi, quel repentino cambiamento, non la turbo’ affatto: continuò invece a rimanere chiusa nel suo mutismo, certa che anche questa volta nessuno avrebbe capito nulla di lei.

Pensava che il silenzio fosse l’unica risposta da dare a chi non capiva e a chi non meritava.

Perché nessuno si accorgeva del suo animo sensibile, del suo bisogno di amare es essere amata?
Non le era permesso uscire, ma lei nutriva una profonda passione per la natura e i suoi incredibili colori: lei amava i colori.
Aveva scoperto che ogni colore le regalava un’emozione diversa: c’era il giallo, luminoso come il sole, che le donava vita, e poi il blu che le faceva sognare spazi infiniti, e pure il verde, che la proteggeva, perché di quel colore erano le chiome degli alberi che davano rifugio agli uccellini e a tanti altri animaletti.

Ecco, lei parlava con i suoi colori, loro davano voce alle sue sensazioni, la rasserenavano ed erano gli unici amici che aveva. Quindi, perché continuare a rimanere in quella prigione, dove non era amata da nessuno e per di più era considerata pazza?
Un luogo squallido, bianco come il nulla, dove i colori poteva vederli solo dalla finestra, unico posto dove le era concesso sognare.

No, ora voleva iniziare a vivere, aveva ormai sedici anni, e i colori del mondo la stavano aspettando.
Fino ad allora era vissuta in ambienti asettici, dalle noiose pareti incolori, circondata da divise bianche di ogni specie, senza vita né emozioni.
Ormai aveva deciso. Quella stessa notte avrebbe pianificato tutto, avrebbe studiato ogni singola mossa per poter uscire di lì.
E così fu.

Il mattino dopo, aspettò che le infermiere finissero il loro giro di ricognizione e, approfittando di un momento di pausa di tutto il personale, fece un respiro profondo, girò la maniglia della porta che dava sulle scale, la richiuse con tutta la delicatezza possibile per non farsi sentire, scese di corsa le scale , aprì il portone e corse libera verso i suoi Amat colori.

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5 commenti »

  1. Bella l’idea di paragonare il bianco (e non il nero) all’assenza di amore e di felicità. Ma perché Parigi?

  2. Ciao Roby!!!
    Rispondo subito ai tuoi quesiti: primo, il colore bianco.
    Beh…. i medici hanno il camice bianco, le suore pure. Per una bimba che è cresciuta senza l’amore dei genitori e di una famiglia la divisa BIANCA è sinonimo di INDIFFERENZA, e, quindi, mancaza di amore. Infatti lei ha fatto esperienza solo di quele persone affettivamente lontane.
    Perchè Parigi? Non esiste un vero perchè la storia sia ambientata proprio lì. In realtà, io ho viaggiato per più di mezzo mondo ma il vero fascino l’ho trovato a Parigi.
    Parigi è magica. Parigi racchiude un passato artistico eccezionale. ed io, amo l’arte.
    Grazie per il tuo commento!

  3. Laura ciao! Ma quanto è particolare la vita, non credo nelle coincidenze ma nelle sintonie.
    Il tuo racconto è bellissimo dolce e fresco ricco di speranza malgrado il dolore profondo ma la tua protagonista a differenza delle mia prende in mano la sua vita giovanissima e questo forse fa la differenza.
    Mi piace che tu abbia accostato i nostri racconti anche io li trovo simili in tante cose e la sintonia c’e’ non fosse altro perchè anche io ho vissuto a Parigi ed adorato lo spazio immenso del cielo d estate che solo li ho visto 😉
    Un caro saluto
    Liliana

  4. Ciao Laura, ho letto il tuo racconto tutto d’un fiato; merito della tua prosa, sciolta e accattivante per la vicenda: la lotta per la libertà, Nel tuo racconto troviamo descritti i pregiudizi sociali, la mancanza d’amore negli istituti, collegi e ospedali psichiatrici, gli egoismi della gente e la voglia di vivere della giovane. I colori “parlano” alla giovane che si è chiusa nel mutismo per l’insensibilità delle persone al suo bisogno d’amore. I giovani hanno bisogno d’amore, quello rivolto alla loro persona come individui che, molte volte lo dico da genitore, non osano chiedere. Ti auguro d’essere tra i vincitori.
    Emanuele

  5. Dal tuo racconto emerge l’incredibile forza della vita, che continua a battere anche dopo anni di isolamento e dolore. Non importa quanto tempo deve passare, prima o poi irrefrenabile richiamo del mondo si farà sentire. Bello, mi è piaciuto

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