Premio Racconti nella Rete 2015 “L’appartamento” di Valdimara Duri
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Il giovane spagnolo che da un paio di mesi abitava nell’appartamento sotto al nostro, aveva preso la gradita abitudine di capitare spesso da noi all’ora di cena. Era un tipo allegro e raccontava un sacco di storie interessanti. Il suo modo di fare accattivante e i piatti che ci preparava ci avevano del tutto conquistato, ecco perchè l’avevamo accolto con slancio nelle nostre vite riservandogli un posto attorno al nostro tavolo. Eppure non lo conoscevamo affatto e, ripensandoci ora alla luce di quanto accadde, non è per nulla facile capire perchè fummo a tal punto sprovvedute nei suoi confronti.
Da alcuni anni abitavo in un grande appartamento di un antico palazzo del centro città. Mi aveva trascinato lì con sè zia Ines, una cugina di mia madre tornata dall’Argentina con la ricca eredità di un breve matrimonio. In quel periodo annaspavo afflitta nella casa dei miei genitori, senza un soldo e stanca marcia di essere una delle poche studentesse iscritte al mio corso che non avesse un appartamento da trasformare a suo piacimento in un onirico bivacco. Poter abitare in quell’enorme casa con lei, eccentrica signora sulla quarantina, mi sembrò un’occasione da prendere al volo, la promessa di un futuro bizzarro e pieno di sublimi imprevisti. Ai miei occhi la zia Ines era una creatura impegnata a scavalcare ogni limite e il disordine interiore che dimostrava e che atterriva la mia quieta famiglia, era il miglior simbolo di una vita vissuta intensamente. Recitare in un ruolo simile era il mio sogno e sospiravo un futuro di luminoso splendore. Bruciavo ancora negli anni confusi di una tarda adolescenza e un’indole sentimentale mi faceva odiare la mia banale vita di studentessa.
Vivemmo insieme per circa tre anni, in modo sconclusionato da ogni punto di vista si volesse guardare la nostra storia. Le differenti età che vestivamo imponevano ambiti diversi che mai si incontrarono. Eppure nei lunghi racconti pomeridiani, sedute nel salotto di quel grande appartamento arrampicato in uno dei pochi palazzi storici del centro, le nostre illusioni e i nostri vaneggianti aneliti concepivano comportamenti simili.
E’ inutile dire che, a causa di tutto ciò, gli studi ne risentirono e che la zia, in virtù dei suoi ancora biondi capelli e degli straordinari occhi azzurri, scovò in breve un altro ricco e vecchio marito che la portò all’estero lasciandomi in dono quell’amato luogo dissoluto.
Cercai, tra le mie molte amiche chi volesse dividere con me le spese sotto quei soffitti affrescati. Arrivò per prima Giulia, due valige e tanta autocommiserazione per un amore finito in malo modo. Un informatico americano l’aveva prima stregata e poi portata in California, come un sacco vuoto di volontà. L’aveva immersa nella sua dissipazione alcolica, dove l’amore aveva retto per poco. Giulia era rinsavita giusto in tempo per comprare il biglietto di ritorno, prima di incappare in qualcuno dei tanti guai nei quali l’americano pareva essere di casa. Scelse la stanza più luminosa, quella esposta a sud con il terrazzino. Nella camera che era stata della zia ci si infilò Lara, la giovane sorella del medico che aveva lo studio al primo piano. Era una morettina un po’ paffuta, arrivata senza avvisarlo da un piccolo paese sulla costa. La trovai addormentata sulle scale del palazzo, un pomeriggio noioso ed assolato, tornando da uno dei miei giri a vuoto nelle aule dell’Università. Ero irritata per non essere riuscita a seguire decentemente le lezioni che mi ero imposta di frequentare quel giorno e la feci salire in casa, più che altro per distrarmi da quei faticosi pensieri. Il letto che era stato della zia, fu per lei così comodo che dormì per tre ore di fila, e quando si svegliò insistette per rimanere con noi pagando in anticipo tre mesi di affitto. Indecise sul da farsi, la invitammo a cena sperando in un qualche segno del destino. Se parlò non lo capimmo, ma osservando stupite la maestria con cui quella ragazzina tagliava i capelli a Giulia, fu chiaro a entrambe che la piccola Lara doveva rimanere nel letto che tanto l’aveva confortata.
Di lì a un mese ci accorgemmo che l’appartamento sotto al nostro, vuoto da un po’, aveva le finestre spalancate. Sapevamo che il proprietario non voleva più affittare, perciò ne parlavamo incuriosite sul terrazzo al sole delle cinque di un sabato pomeriggio sonnacchioso e cittadino. Nulla di interessante per la serata e perciò molta voglia di trovare qualcosa che sembrasse tale. Giulia aveva appena fatto il caffè e fra noi c’era una quieta allegria. “Quel vecchio laido vi avrà sistemato uno come lui!” sentenziò Lara. Nessuno rispose, ma nei nostri sguardi si rincorreva all’opposto, la speranza che fosse arrivato qualcuno di più piacevole.
Al suono del campanello scoppiammo a ridere, poichè a tutte era balenato lo stesso pensiero sulle coincidenze e pregammo insieme la nostra buona stella. Lara andò ad aprire e, come poi giurò, si trovò davanti gli occhi languidi di un tipo magnifico. Noi dal terrazzo sentimmo un vociare confuso e, arrivate alla porta ci fu solo il tempo di vedere lo sguardo allarmato di un uomo che trascinava Lara al piano di sotto urlando qualcosa: “l’acqua che scorre da casa vostra sta allagando il mio pavimento!” Li seguimmo e guardammo desolate quello scempio. Quel muro impregnato chiudeva la mia mente ad ogni idea: la sigillava come una cassaforte Juwel, ma le mie orecchie captarono con sollievo una telefonata al pronto intervento. Quello splendido essere risolse tutto e fece anche in modo che l’assicurazione del condominio, di cui nemmeno sapevamo l’esistenza, rimborsasse i danni.
Il fato aveva piazzato questo giovane uomo proprio sotto casa nostra ed era ovvio che, con queste premesse la sua figura si facesse molto interessante. Il suo punteggio aumentata via via che ne parlavamo nelle lunghe serate estive, e vi era sempre un motivo che rendeva impossibile non parlare di lui. Carlos era spagnolo, ma parlava molto bene l’italiano e sicuramente, per come aveva agito, conosceva la nostra legislazione e molte questioni di ambito burocratico molto meglio di noi. Avemmo occasione di rivederlo presto nei giorni a venire quando capitò che tamponasse la mia auto parcheggiando un poco “superficialmente”, come disse. Lo raccontò con aria costernata mostrando un grande desiderio di rimediare. Noi fummo sollecitamente affrante quanto lui, e pronte a consolarlo con tutto il cuore. Era l’uomo che ormai riempiva le vite di tutte noi e la piccola Lara già sospirava per lui! Giorno dopo giorno, ci infilavamo in una spirale di curiosità mai soddisfatte, mentre il fascino così latino di questo Carlos giganteggiava sulle nostre teste, immune a tutto il frenetico bisbiglio che lo circondava.
Le sue giornate sembravano sempre intrecciate con le nostre, così che quando Giulia se lo ritrovò sulla stuoia accanto, al corso di yoga, non si stupì affatto. Col trascorrere dei mesi capitava sempre più spesso di incontrarlo da amici comuni e negli stessi locali. Nessuno sapeva che lavoro facesse, ma certo non era impegnativo, poichè a tutte le ore lo si vedeva passeggiare o discorrere in qualche bar. Osservavo curiosa i suoi andirivieni ed avrei scommesso che, per quanto parlasse e ragionasse, per quante domande gli facessero, Carlos rimaneva per tutti un perfetto sconosciuto. Nel vociare dei più era “l’uomo senza passato” ma era pur sempre, come diceva mia madre “un garbato giovane, amabile e fantasioso”.
In quelle calde serate estive trascorse ai tavolini dei caffè se, parlando distratta lasciavo scivolare lo sguardo nei suoi occhi, era certa che nessuno di noi, piccole credule comparse, immaginasse nemmeno lontanamente perchè fosse finito nella nostra fiacca cittadina di provincia.
Un pomeriggio, verso le sei sentimmo dalla camera di Giulia un urlo che ci gelò. “Il braccialetto della mamma, non lo trovo più!” Sapevamo che era il suo portafortuna e quanto lei fosse superstiziosa perciò, dai suoi occhi angosciati presentivamo un periodaccio. Carlos lo riportò meno di due ore dopo e si guadagnò l’ennesimo invito a cena. Con lui ci divertivamo come pazze e, incapaci di catturarne le confidenze, ci smarrivamo in quella allegra svagatezza che creava, inseguendola poi nei giorni a venire. Nelle nebbie dell’alcool intuivo lo sguardo seducente del nostro eroe del piano di sotto, soffermarsi a lungo sulla piccola Lara, e capivo che lei era, senza alcuna via di scampo smarrita in quel tunnel sentimentale. La loro passione divenne presto una follia emotiva che scombussolava anche l’ineffabile Carlos, il che distrusse le mie ultime barriere di diffidenza nei suoi confronti. Compariva a tutte le ore sorridendo quasi ansioso e dopo un piccolo saluto si aggrappava alla sua amata. Rassegnate li vedevamo rotolare verso la camera.
Pochi giorni e tutto finì. Carlos sparì misteriosamente come quando era arrivato. Insieme allo sconforto di Lara arrivò una lettera della zia Ines. Raccontava con il solito tono spensierato di aver disposto, con una scrittura notarile, di donarmi i molti gioielli e i contanti che aveva dimenticato nella sua stanza, ben nascosti sotto un’asse del pavimento. Aveva riso moltissimo di questa sua dabbenaggine, con il giovane amante di una notte. Mi ci volle meno un istante per capire di chi parlasse.
Affresco di una realtà ormai consolidata nei centri delle nostre metropoli. Tre ragazze dividono l’appartamento di una di loro e si lasciano irretire da un misterioso e affascinante vicino di casa che (inevitabilmente) approfittera della loro buona fede. Personaggi riusciti e perfettamente inseriti nel contesto. Finale divertente che strappa un sorriso amaro.
inizialmente si crea una certa tensione. Chi è Carlos? Una spia della CIA, un feroce assassino, magari un sicario…oppure un detective privato mandato da chissà chi a pedinare chissà chi…insomma, c’è un po’ di ansia che aumenta durante lo svolgersi della storia. Anche perché ci sono altre cose da raccontare che servono a tenere alta la tensione. Chi sono Giulia e Lara? E la zia Ines sarà mica una spia dei servizi argentini? il finale stempera tutto e, alla fine fa tirare un sospiro di sollievo e strappa un sorriso. Carlos è semplicemente un ladro, bravo ma è solo un ladro. Divertente e ben strutturato e dispiace che abbia avuto così pochi commenti. Meriterebbe più attenzione. Ciao, Duccio.
Il racconto è imperniato sulla vita monotona di una studentessa che ospita alcune amiche di studio nell’appartamento della zia che è andata all’estero; ne escono situazioni vivaci e per nulla scontate. Il finale è sorprendente perché un coinquilino di origini spagnole, un tipo, penso alla Antonio Banderas, inizia a frequentare l’appartamento e con il suo fascino frastorna le ragazze e in particolare si apparta spesso con una di esse nella camera. L’uomo scomparirà dopo un po’ di tempo e si conoscerà che nella camera c’era un tesoretto sotto il pavimento, in un ripostiglio rivelato all’uomo dalla zia al termine di un incontro d’amore.Quanta fatica si è dovuto sobbarcare il furfante. Quanti di noi avrebbero fatto la stessa cosa?
Pure divertente. Ciao,
Emanuele