Premio Racconti nella Rete 2015 “Il condominio di vetro” di Carla Vinazza
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Nonostante il condominio non fosse di recentissima costruzione nessuno era ancora riuscito ad assegnargli una numerazione civica, né la toponomastica aveva assegnato un nome alla via che conduceva a esso.
Si trovava su una collina dalla quale si potevano vedere tutte le vecchie costruzioni, casette di pochi piani, qualche grattacielo; nessun edificio sottostante poteva minimamente compararsi con quell’enorme manufatto costruito con solo vetro .
Non si pagava affitto e neppure era necessario acquistare uno spazio per poterci vivere; questo era un motivo più che sufficiente per convincere tutti quanti ad abbandonare le loro vecchie abitazioni.
Ciò nonostante c’era ancora chi guardava con diffidenza quell’edificio che all’apparenza rappresentava una grossa opportunità per tutti quanti; i più restii e diffidenti erano sconcertati dal fatto che si dovesse vivere in appartamenti che non avevano una vera e propria muratura ma solo grandi vetri. La privacy sarebbe stata ridotta a zero, ma era il prezzo da pagare per stanze che un prezzo non l’avevano.
Ci si poteva garantire un minimo di riservatezza solo tramite delle tapparelle simili a quelle che si abbassano per proteggersi dal sole; tuttavia quello che succedeva nelle stanze adiacenti era facilmente percepibile dai rumori, e dai pettegolezzi dei condomini dei piani superiori che non avrebbero avuto alcuna difficoltà a riferire a perfetti sconosciuti la vita e le abitudini di altrettanti sconosciuti.
Inoltre le famiglie che lo popolavano avevano delle bizzarre abitudini; quasi nessuno guardava la tv, quasi tutti avevano un computer munito di tutte le periferiche che la tecnologia metteva a disposizione, e abusavano troppo spesso degli smartphone.
Gli orari dei pasti erano i più disparati; chi non aveva l’obbligo di recarsi al lavoro smangiucchiava qualcosa alternandosi tra incombenze domestiche ormai ridotte al minimo sindacale e occhiate continue al pc o al cellulare. Chi invece durante il giorno era assorbito dal lavoro, non vedeva l’ora di rincasare per tirare su’ la tapparella e sbirciare il vicino o quell’amico così antipatico ma verso il quale si continuava ad avere delle false cortesie per salvare l’apparenza.
C’erano anche coloro che, pur passando svariate ore fuori di casa, non si curavano minimamente di mettere una protezione tra le proprie cose e gli occhi dei curiosi, non utilizzando mai quell’unica tapparella che l’avrebbero in parte preservati da dicerie, pettegolezzi, complimenti veri ma anche no. Lasciavano che quei vetri potessero riflettere la propria vita per provocazione, per bisogno di consensi, per fare sfoggio di ciò che faticosamente erano riusciti a ottenere, con gli sforzi del lavoro quotidiano.
Solo i bimbi sembravano quasi del tutto estranei a quei meccanismi strani di quel kafkiano caseggiato, ma sarebbero cresciuti e dopo qualche anno si sarebbero trovati a emulare e ripetere passo passo le abitudini dei genitori.
Qualcuno più stressato degli altri o forse solo più riservato aveva preso mattoni e cemento e aveva costruito, all’interno di quei vetri, mura di protezione per ripararsi dal cicaleggio quotidiano del pettegolezzo e della maldicenza; l’unico risultato ottenuto era stato l’essere deriso, schernito e criticato. Le malelingue avrebbero così sguazzato in racconti tanto improbabili quanto falsi, costringendo il poveretto di turno a un ripensamento o addirittura a farlo traslocare altrove.
Nel frattempo, a valle, chi aveva resistito alla tentazione di avere l’alloggio gratuito e ultra confortevole era sempre più convinto di avere fatto la scelta giusta anche se lo scotto da pagare era stato quello di rimanere isolato; l’esodo di massa aveva radicalmente diminuito la possibilità di socializzazione. Era stata una scelta ben ponderata quella di rimanere completamente estranei a quel meccanismo strano e quasi perverso.
La vita dei condomini del palazzo di vetro si faceva di giorno in giorno sempre più complicata, e c’era chi aveva proposto una mega riunione per definire finalmente delle regole. L’anarchia totale invece di dare in cambio la libertà aveva generato il caos totale, e una sorta di dipendenza a causa della quale la decisione di poter abbandonare quel mondo fatto di vetro aveva causato anche discussioni tra membri dello stesso nucleo familiare.
Si formarono così dei gruppi, in taluni casi autogestiti, poiché’ un unico grande gruppo era impossibile da formare. Troppi i membri, troppe le differenze sociali e le differenze anagrafiche, e le propensioni personali.
L’iniziativa sembrava funzionare, almeno era stato fatto un po’ di ordine ed era stato possibile far socializzare persone con gli stessi ideali e gli stessi intenti; non avevano però fatto il conto con la possibilità di persone infiltrate che non avevano avuto problema alcuno a travestirsi per mascherare la propria identità, e poter così avere il controllo anche su quegli spazi che non avrebbero dovuto essere di loro pertinenza e proprietà.
In quel caos privo ormai di ogni possibilità di ritorno, un omino mandato da chissà chi’ era arrivato per apporre una grossa targa su quella via che, fino a quel momento, non aveva avuto un nome.
Era anch’essa di vetro, seppur pregiato, con incisa una grande scritta “ CORSO FACEBOOK “
Aveva proseguito verso il grosso palazzone, attribuendo finalmente il numero civico corrispondente a zero.
Finalmente i residenti avrebbero potuto indicare sui documenti il proprio indirizzo “ Via Facebook, civico zero interno unico”.
A valle, i sopravvissuti a quella corsa verso quella strada di cui fino a poco prima non si era mai saputo il nome , avevano guardato il tg serale e avevano finalmente appreso la notizia, e mentre si preparavano alla successiva giornata di lavoro e responsabilità erano andati a dormire sollevati e felici di essere andati controcorrente e di non essersi lasciati tentare da ciò che era solo uno specchietto per le allodole.
Non ci crederai ma ho intuito dove volevi arrivare. La casa di vetro. la privacy.. brava. Tutto lo abbiamo dentro questo racconto…brava..
Grazie mille, ho cercato di ” materializzare” in qualche modo un social .
Tocchi un argomento forte, un tema che si fa strada dirompendo tra i primi anni’90 e l’inizio del nuovo millennio, con il 2000 che prometteva di far sognare tutti.
Essere, avere, apparire, possedere… in un confuso miscuglio.
Credo tu abbia toccato una leva facile e al momento universale, tra la privacy dovuta e la privacy svenduta del nostro millennio. Forse proprio per il tempo forte, attuale e profondo, che apre ben più di una riflessione e di un pensiero, probabilmente potevi affrontarlo in modo meno lieve e più diretto, meno metaforico e più crudo, scarno… arrivando diretta al punto focolare, cioè di come la nostra vita intima possa essere pubblica e viceversa, e di quanto la nostra vita virtuale possa, in qualche modo, echeggiare più della nostra vita reale.
In mezzo comunque ci sono tante scelte diverse e sfumature, prese di pozione varie che non per forza si costruiscono solo con il vetro o con il cemento, il compromesso e la via di mezzo spesso riescono a conciliare due mondi diversi, come in questa caso possono essere la realtà e i social.
Brava per le metafore e i parallelismi, e la visione d’insieme tra una costruzione e l’altra.
Anche questo blog, a suo modo ha degli inserti di vetro, e nonostante questo non è così male… sono contenta che questa “Trasparenza”, ad esempio, mi abbia dato l’opportunità di leggerti.
Perfetto!!!! Sei una attenta osservatrice. Mi è piaciuto molto!
Ciao Carla, mi hai dimostrato che non vale la pena andare a abitare in Corso Facebook, numero zero, interno unico. Alloggi allucinanti. Bella metafora sui social, tutto di tutti può avere dei vantaggi ma sicuramente è sacrificata la vita privata. Bello stile. In bocca al lupo per il concorso.
Emanuele
Marta Borroni , il mio intento non era fare una disamina più o meno polemica di facebook e dei social in generale.
Ho voluto descriverlo con una metafora che non sta solo nelle pareti di vetro che stanno ad indicare le bacheche rese pubbliche e perciò visibili a tutti.
Le tapparelle abbassate sono il tentativo di mantenere la privacy e , nello specifico, rappresentano le bacheche non pubbliche; i mattoni rappresentano un’altra funzione nell’utilizzo del social , ma se spiego tutto che gusto c’e’? Forse dovresti provare a rileggerlo meglio.
Io stessa, alla prima lettura del tuo racconto, ho fatto un po’ di fatica a seguirti in un susseguirsi di giochi di sostantivi e aggettivi che hanno riempito le righe di una non trama che ho sperato di trovare fino all’ultimo.
Mi e’ chiaro che avete mangiato il risotto agli asparagi 😉 Ognuno ha il suo stile e il suo modo di scrivere; i nostri sono parecchio distanti .
Grazie Liliana, osservo sempre tutto; a volte in silenzio a volte no 😉
Grazie Emanuele, se usato con parsimonia e con le tapparelle abbassate e’ una esperienza che vale la pena fare . Ti fa riflettere su quanto i social spesso siano ” dissocial” In bocca al lupo! 🙂
grazie Carla per il tuo bel racconto. Ormai i social network sono dispositivi culturali che modellano le rappresentazioni e costituiscono spazi di organizzazione dei significati e delle pratiche attraverso cui produrli. Il palcoscenico totale da te descritto è una riflessione anche su come il rapporto tra esterno ed interno, spazio pubblico e spazio privato, si vanno ridefinendo. A me questa socialità continua pare un incubo, come il condominio dell’esposizione mi lascia col fiato corto. Questo bisogno di “estroflessione totale” che hai saputo narrare senza appesantimenti retorici (grazieeee!) è l’aspetto che ho amato di più nel tuo racconto.
Metafora interessante ma, da consumatrice avida e poco saziabile di social, devo dirti che la realtà non è così e che spaventa solamente chi fa un uso molto parziale e poco attento di facebook (i filtri per la privacy sono molto potenti, se attivati). Inoltre, ho letto svariati racconti di non molti lustri fa in cui era la tv ad essere demonizzata, mentre tu la dipingi come un rifugio rassicurante – e dire che molto dello sfascio in cui è stata dirottata la nostra società è proprio colpa della televisione degli ultimi vent’anni.
Detto questo, il racconto è ben scritto. Un po’ affrettato il finale, che si chiude in poche righe.
Se hai voglia, io partecipo con due racconti per bambini: Il Coccodroccolo e Penelope la Tessiragna.
Arianna
Complimenti! Ero lì, persa dietro tutto quel vetro, e poi arrivi tu e mi spiazzi.
Hai descritto bene l’idea del social network, di chi si mette in piazza, di chi si nasconde, di chi (come me) vorrebbe mantenere un minimo di privacy, inutilmente.
La morale finale non mi trova completamente d’accordo: ma non mi dilungherò, perché non siamo qui a parlare di noi.
Un bello stile, leggero e coinvolgente. Fresco.
Grazie Stefania; al di là dell’esito il complimento più bello che potevi farmi è proprio di non essere stata ( inutilmente) retorica.
In bocca al lupo!
Grazie Annalisa per la delicatezza del tuo commento.
in bocca al lupo!
Leggendo il tuo bel racconto pensavo a “Il condominio” di J.G. Ballard. Soprattutto quando iniziano a formarsi i vari gruppi e l’anarchia dilaga. Davvero bella l’idea di trasformare Facebook in un palazzo di vetro, dove la privacy è limitata al massimo. Importante il fatto che i condomini scelgano di andare a vivere a Corso Facebook; non si tratta di una costrizione, ma di una libera scelta, sebbene l’adesione diffusa sia un incentivo a trasferirsi in “via Facebook, civico zero interno unico”. Hai messo in evidenza anche l’isolamento di chi vive a valle e la dipendenza dei condomini dal loro nuovo stile di vita. Complimenti
Ti ringrazio Matteo per le tue parole; hai colto esattamente quello che volevo trasmettere. Provocatoriamente qualcuno mi ha chiesto, in commenti che poi sono stati moderati, se utilizzo fb , Coerentemente non dovrei essere una fruitrice, ma non avrei potuto descriverlo in questo modo se anche io non avessi un piccolo appartamento in quel condominio 😉