Premio Racconti nella Rete 2015 “Senza misura” di Donatella Tognaccini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Aveva una mente matematica ed era convinto di tenere in pugno il mondo, che, se ci pensiamo bene, è abitato da quattro attori fondamentali: gli amici, gli amanti, i nemici e i conoscenti. Quest’ultima categoria lo faceva ridere a crepapelle. Li chiamava “gli sfigati”. Non erano né carne né pesce. Si pescavano dai ricordi un po’ come cose senza importanza, persone senza un vero volto, caricature scarabocchiate durante una telefonata, accartocciate e buttate. Comparivano occasionalmente e non significavano nulla. Gli amanti erano i più pericolosi perché scombinavano i calcoli, li moltiplicavano, tendevano all’infinito. Gli amici erano un’altra categoria sfuggente; un po’ simili alle onde, si abbattevano sulla sponda della casa fino a entrarci dentro, certe volte erano cavalloni su cui compiere equilibrismi con la tavola da surf. Non si poteva che fargli spazio, anche se capitava che al posto del blu consegnassero macerie e si ritirassero, fino a scomparire. Non è solo la città di Troia a non avere più il suo mare omerico, sono anche i nostri animi.
I nemici li trovava insidiosi, camuffati in volti e corpi attraenti. Pronunciando la parola più volte, come tutti, gli venne l’idea che alla fine non fossero nessuno, semplicemente costituissero il motore della storia personale che a ognuno è dato vivere. Tale componente meccanica era evidente in una certa loro universale somiglianza.
Restava l’amore. Prima di tutto passò anni a chiedersi cosa fosse. Un mistero, gli sembrava banale. Cosa c’è nella vita che non lo è? L’unica cosa che gli risultava certa era che avesse a che fare con la matematica, che fosse qualcosa di misurabile. Non era molto, niente più che un indizio, però sempre meglio di nulla. Inoltre c’era la questione dei cinque sensi, gli unici in grado di afferrare il concetto in modo istintivo, visto che la ragione per il momento non riusciva a risolvere il problema. Pensò ai grandi amori dei poeti, ci pensò intensamente, fece il suo De profundis e gli venne in mente la parola che cercava: prossimità. La mise accanto all’amore e, visto che era goloso, non si accontentò di questo primo risultato. Cominciò a pensarci ossessivamente, in ogni momento libero, in ogni ritaglio di tempo finché non divenne un esperto collezionista. Guardò quello che aveva raccolto, lo esaminò con la lente d’ingrandimento, il contafili, il microscopio, senza risparmiare sull’acquisto di quanto la tecnologia mette oggi a disposizione. Poteva dire molto, tenere conferenze, lasciare a bocca aperta l’uditorio, ma restare a bocca asciutta lui stesso, perché capiva di aver percorso in autostrada un tragitto che altri avevano fatto nei secoli su strade di diversa forma, però nella stessa direzione. Eppure aveva volato basso, non aveva cercato di capire né l’amore per Dio né l’amore per i figli, convinto che quella strada sarebbe stata facile da trovare, una volta percorsa l’altra, quella dell’amore sconosciuto, o meglio che sarebbe bastato tornare indietro senza correre, con calma, concentrandosi sul paesaggio invece che con gli occhi fissi alla meta. Non restava che scendere nel mondo con la consolazione che avrebbe avuto amanti di ogni tipo, a cui sarebbe sfuggita prima o poi una parola significativa. Si sentiva stanco di cercare e convinto che la verità ti viene incontro da sola, quando meno te lo aspetti. Era un uomo sfuggente, dall’età indefinita, che si guardava intorno con occhi grandi e malinconici. La bellezza sì potremmo dire che gli apparteneva, se per bellezza intendiamo quella che si dispiega nella grandezza smisurata dei pensieri ed è descritta da gesti semplici. Osservava coloro che, per un motivo o per un altro, gli si avvicinavano, sorridevano, si sedevano accanto a lui. Notò un particolare: quando la conversazione si faceva più confidente, avanzavano di un passo, gli accarezzavano i capelli, cercavano di sfiorare il suo volto come se ci volessero precipitare. Somigliavano al mare ed erano i suoi amici. Ebbe amanti con cui provò l’amore indistinto, che descrive una lotta che lascia estranei, ma quelli pensò con un sorriso di piacere erano i conoscenti.
Un giorno, mentre era seduto al bar e beveva un drink, qualcuno alle sue spalle gli coprì gli occhi per scherzo. L’uomo pensò che fosse un nemico, uno dei vari conoscenti o un amico. Le mani però erano troppo morbide, allora gli venne in mente di toccarle per riconoscerle. Nella misura in cui si accorgeva della prossimità, si sentiva di scivolare nella distanza. Avrebbe voluto prendere il metro che teneva in tasca, avrebbe voluto girarsi, ma era come paralizzato. Cercò di aprire gli occhi, vide i palmi delle mani che si sollevavano, riconobbe le linee della vita, la dolcezza di quei sentieri tanto sottili che ognuno deve percorrere da solo.
Bello questo tuo racconto, Donatella. Mi piace il linguaggio usato per dimostrare l’affermazione di un uomo dalla mente matematica: il mondo ha quattro attori fondamentali: gli amici, gli amanti, i nemici e i conoscenti. Segue la dimostrazione delle espressioni usando le parole in sostituzione dei simboli e dei numeri. Questa matematica è di facile apprendimento perché le formule utilizzate sono pervase di poesia e di spunti filosofici.
Emanuele