Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2015 “Dead Man Talking” di Demian Rent

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015

Ascoltami bene, stringiamo subito un patto. Giura su ciò che hai di più caro al mondo, che finirai questo racconto. Per favore, è maledettamente importante che tu arrivi in fondo, altrimenti nessuno di noi due riuscirà a portare a casa la pelle. Se invece pensi di non farcela, vattene immediatamente, scappa, prima che quelli si accorgano di te. Fammi solo un favore: ti prego, manda qualcun altro ad aiutarmi. Qui non mi resta più molto tempo.

Hai già deciso dunque, resti qui. Bene, non è da tutti dimostrare un simile coraggio. Ora concentrati, reggiti forte alle parole e lasciale andare. Saranno loro a guidarti tra i segreti di questo mondo che forse, è distante anni luce da te o che magari, scoprirai, è più vicino di quanto tu creda. Un mondo dove certamente stai entrando per la prima volta, per via del fatto che io, lo ammetto, ti ho lasciato aperta la porta. Prego, accomodati pure, questo mondo è la mia fantasia. Trovami da qualche parte e liberami, perché io stesso, purtroppo, ci sono rimasto intrappolato dentro.

Mi chiamo Demian Rent e scrivo perché non ho sogni più grandi da realizzare. Mi trovo nel Braccio della Morte del carcere di Rebibbia, a Roma, la città un tempo eterna, dove tutto, da un pezzo, non è più come prima. Questa sera verrò giustiziato. Con un’iniezione letale, si dice. L’ora esatta ancora non mi è stata comunicata. L’unica persona che la sa è il Sindaco di questa dannata città. Che poi, è anche l’unica persona che avrebbe la facoltà di liberarmi. Qui nel Braccio, c’è addirittura chi dice che abbia più potere di un Faraone ai tempi dell’Antico Egitto. E forse non è del tutto inventato, se chi lo ha detto, proprio a causa di questo giudizio tanto ardito, c’è finito dritto per dritto, nel Braccio della Morte.

Io però, non sono un criminale, non lo sono mai stato. Non ho ucciso, torturato, violentato, né rapito e fatto a pezzi nessuno. Niente di tutto questo, no, assolutamente nulla che possa rendere meritata quest’intollerabile agonia. Qua semplicemente, ti ammazzano per niente. Ma se lo vuoi sapere, il perché mi trovo qui a Rebibbia, io te lo dico. L’unica ragione è perché ho scritto questo racconto. Si, hai capito bene, ho scritto questo racconto, per questo mi chiamano anche ‘Narratore’. Solo che in questo mondo, così come l’ho concepito, che io sia maledetto, scrivere è il reato più grave che si possa commettere. Già. Questo è l’avvertimento che fino alla nausea, ripetono certi grossi megafoni impiantati nelle strade: “Vietato Leggere – Vietato Scrivere”. In continuazione. “Vietato Leggere – Vietato Scrivere”. Mentre mi immaginavo l’ambientazione, ispirato da un tramonto fuori la finestra, non ero stato troppo a riflettere sulle conseguenze di questa limitazione. Quello che cercavo per questo mondo alternativo, era solamente poter rimettere il contatto visivo, la comunicazione verbale, più umana, al centro dei rapporti tra le persone. Niente più zombie distratti ed incantati su un qualche display a rispondersi, a cercarsi, a scambiarsi messaggi tutti uguali, a illudersi di comunicare. No, volevo piuttosto un ritorno alla magia del vero racconto, un dare sollievo alla nostalgia del restare incantati sul viso di chi, con maestria e partecipazione, saprebbe ancora illustrare una storia straordinaria. Volevo un mondo in cui le parole, fosse indispensabile ascoltarle, assorbirle, memorizzarle, comprenderle. Con devozione e rispetto, sempre. Non avevo calcolato ciò che poi sarebbe diventato: un mondo senza più nessuna traccia, senza identità, dove vince il più forte, non certo il migliore. Questo mondo qui.

Adesso fatti un giro da queste parti, finché puoi. Tieni sempre ben presente l’unica, esile fiamma che è rimasta sulle ceneri di tutte le parole scritte, lette e poi cancellate: ricordare. Si, esatto, ricordare tutto. Forse l’unica via di salvezza. Perché in questo mondo non troverai i libri dove ripassavi la storia o quelli che volevano rivelarti la parola di Dio; qui non troverai nessuna legge scolpita sulla pietra a disciplinare la vita o lunghi saggi in grado di insegnarla. Qui non ci sono lettere, virgole e punti. Qui non trovi nemmeno i numeri. Solo un’enorme caleidoscopio di immagini vere o artificiali e sempre più analfabeti ed ignoranti, intrappolati nel falso mito che soltanto la tecnologia può condurre verso il progresso. Fai attenzione, allora. Avvantaggiati. Tieni libero il cervello. Ti servirà tutto, per sopravvivere.

A questo punto l’avrai avuta da un pezzo, la consapevolezza che stai violando la legge. Quell’assillante “Vietato Leggere – Vietato Scrivere” che continui ad ascoltare in sottofondo come un mantra, vale anche per te. La Milizia Privata del Sindaco sarà già sulle tue tracce. Quelli mica scherzano, quelli funzionano. Sono dei prodigi della robotica. Macchine modernissime dalle sembianze umanoidi, programmate per stanare i ribelli. Non chiedermi come fanno, ma in qualche modo, alla fine, li trovano sempre.

Sopportami allora, se ti chiedo un altro favore: tieni con te questo racconto. Fai in modo di averlo addosso, quando ti arresteranno. E credimi, ciò non avverrà tra molto. Nascondilo da qualche parte, trova tu una soluzione. Se ci riuscirai, ho in mente un piano.

Te l’avevo detto. Con te ci hanno messo meno del solito. Quindi eccoti, finalmente. Proprio come avevo previsto, nell’unica cella libera, quella accanto la mia. Ti hanno fatto molto male? Lo so. Affacciati. Vedi come ci riducono qui? Quello lì è il racconto? Bene, fantastico, passamelo, fai in fretta. Prima o poi capirai, a cosa mi servirà. Nel frattempo puoi anche sdraiarti, non c’è molto altro da fare qui. Assapora la disperazione di un condannato a morte. Senti com’è, essere senza più nessuno al mondo. Mi dispiace deluderti, ma è sempre così. Non migliora mai.

Anche se non è ancora un buon motivo, per smettere di sperare.

Il giorno dell’esecuzione era stabilito da tempo. A momenti il Sindaco verrà qui a dirci tra quanto dovremo morire. Gentile da parte sua, disturbarsi. Pare che voglia dare risonanza alla nostra esecuzione, per far togliere a tutti dalla testa, l’idea di trasgredire. Sta arrivando. Sento gli inconfondibili passi metallici dei Miliziani che gli aprono la strada. Eccolo, con quel suo sguardo vuoto, il volto inespressivo.

“Quanti sono? E quanto tempo occorre, per ucciderli tutti?” domanda senza tanti fronzoli al Direttore del carcere, lì accanto a lui.

Parla di noi come fossimo insetti da disinfestare. Pidocchi, acari, blatte.

“Posso ucciderglieli tutti in meno di due ore” risponde il Direttore, da perfetto vassallo asservito.

“Non mi deluda Direttore..” ordina il Sindaco “..Lo faccia entro mezz’ora!”

Calmati, non ti agitare. Ho sentito, non permetterò che accada. Devo solo anticipare il mio piano. E prendere immediatamente la parola.

“Lo vede questo, caro Signor Sindaco?..”

Il Sindaco si volta nella mia direzione. Dire che è sbigottito, è poco. È niente. Ho una fottutissima paura, ce l’ho in tutti i pori della pelle, ma il segreto è andare avanti lo stesso. Guardandolo dritto negli occhi.

“..Questo è il racconto che stiamo vivendo. S’intitola ‘Dead Man Talking’. L’ho scritto io. Per questo sono qui. E per tante altre ragioni. Per leggerglielo. Per non dimenticarlo. Per farle scoprire una volta per tutte, il terribile modo in cui, presto, lei morirà..”

Non abbasso mai lo sguardo. Ce la faccio. Le parole mi escono secche, precise, convinte. Ma di colpo, dopo un impercettibile cenno del capo rivoltogli dal Sindaco, il Miliziano con il casco blu mi spara, centrandomi in pieno sull’addome. La mano che istintivamente porto a coprire quel punto, si riempie di sangue. Sento come una voragine aprirsi. In cosa ho sbagliato? In quale fottutissima cosa, ho sbagliato? Ho creato qualcosa che mi ha distrutto. Non posso fare a meno di pensare che sto morendo. Chissà quanti prima di me, lo hanno fatto proprio mentre si chiedevano se fosse valsa la pena, inseguire fino all’estremo i propri sogni.

Allora, del tutto inaspettatamente, sei proprio tu ad intervenire. Quando il Miliziano passa davanti alla tua cella per venire a darmi il colpo di grazia, tu all’improvviso, attraverso le sbarre, gli sfili la pistola dalle mani, lo freddi all’istante trapassandogli i circuiti e punti l’arma verso il Sindaco, pronunciando con voce ferma il seguente monito:

“Adesso volete sentire come ci si sente, a vedere la morte in faccia? Non vi piace, vero? E ditemi, coraggio, volete ancora che questo racconto, l’unico testimone delle vostre morti violente, venga dimenticato?”

No, a quanto pare, adesso non lo vuole più nessuno. Di fronte alla prospettiva di venire cancellati, di sparire per sempre dalla memoria, si diventa istintivamente più umili e ragionevoli. Tutti quanti. Noi intanto, abbiamo mantenuto la promessa: io ho salvaguardato la tua vita, anche se non ho fatto altrettanto con la mia; tu sei quasi al finale del racconto. Lasciamelo scrivere, prima che sia troppo tardi.

Poi spari e succede qualcosa. Qualcosa che però, non posso più raccontare.

 

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7 commenti »

  1. Davvero notevole. Alla fantascienza in Italia non e mai sta riconosciuta la dignità letteraria che merita. Racconti come il tuo servono anche a questo, ad accendere i riflettori su un genere sin troppo bistrattato. Bella l’idea, resa con un ritmo narrativo serrato e coinvolgente. Se ti va ti invito a leggere e commentare il mio “La Torretta di Guardia” (del 27 maggio).

  2. L’ambientazione futuristica, appena accennata, fa da perfetta cornice ad una storia che si legge volentieri, tutta d’un fiato. Il valore della lettura, della scrittura, tratteggiati con maestria, completano un racconto veramente bello. Complimenti! P.S. – ho letto la sua biografia su “il mio libro”: fantastica…ben scritta e soprattutto molto divertente. Ancora complimenti!

  3. Che goduria!
    Me lo sono letto tutto d’un fiato, molto coinvolgente nonostante il tono quasi “freddo”, come a dare l’idea che tu/lui abbia calcolato tutto. Tutto eccetto di venire ucciso in quel modo.
    Bello, colpo di scena da maestro.
    Continua a farci sognare!

  4. L’intreccio narrativo, magistralmente congeniato e assolutamente credibile, risulta davvero appassionante, con un pathos che non inciampa mai in nessuna frase. La lettura è resa piacevolissima anche dalla prosa accurata e scorrevole. Hai realizzato proprio uno splendido racconto.

  5. Ciao Demian, ho chiesto a mio figlio, quarta liceo scientifico, di tradurmi il titolo, lui subito mi ha risposto “uomo morto che parla”. E con questo chiarimento mi sono messo a leggere il racconto. Bello, scritto con uno stile asciutto e fluido che apre la mente; ci pone difronti alla violenza, alla dittatura, alla soppressione della cultura,. Chi non ricorda i roghi dei libri, la libertà soppressa e la lotta che ieri si sono verificati nella “civilissima e progredita Europa”. Ora succede in altri Paesi. I difensori di questi valori sono diventati martiri e a loro è stata dato di morire prima della riconquista della libertà. In bocca al lupo.
    Emanuele

  6. .”..rimettere il contatto visivo, la comunicazione verbale, più umana, al centro dei rapporti con le persone. ” Che meraviglia! che dono meraviglioso la parola! una potente scintilla da custodire per il fuoco di tutte le relazioni umane! Mi hai ricordato due film: “Dead man walking” e il bellissimo vecchio “Farenheit”. Bellissimo, struggente.

  7. Complimenti! Il tuo modo di scrivere è accattivante, sembra di essere dentro la scena di un film!

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