Premio Racconti nella Rete 2015 “1942” di Dario Silenzi
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Cantava sguaiatamente e a squarciagola il manipolo di camice nere, malamente inquadrate, mentre scendeva per via Merulana.
Al loro passaggio alcune braccia destre tese si ergevano con vigore, altre invece fiacche, con una piega poco virile all’altezza del gomito e del polso davano l’aria di essere ormai stanche. Comunque tutte si alzavano.
I pennacchi dei fez ondeggiavano e i tacchi degli stivali e degli scarponi battevano i loro ferri sui sampietrini romani.
Agli attenti camerati Adelmo Santella (nome di battaglia “Scortica “) e Otello Bernocchi (detto “Rana” per via della buzza) non era sfuggito l’omino con la valigia che, prima del passaggio della squadraccia, si era defilato nel civico n. 32.
L’omino con la valigia, il soprabito grigio e il cappello sempre grigio a falde, aveva i suoi buoni motivi per evitare l’incontro. Non solo perché si chiamava Davide Pavia ma anche perché aveva esercitato la professione di psichiatra. Professione che aveva dovuto abbandonare per via delle leggi razziali. Le due cose, nome e professione, erano scritte in bella calligrafia ed inchiostro nero sulla sua carta di identità e gli avevano procurato già infiniti guai.
Riparato nell’androne pensava già di aver evitato l’incontro, ma non aveva fatto i conti con l’occhio allenato dei nostri due.
Staccandosi dal gruppo, Scortica e Rana, diedero uno sguardo di intesa al loro vicino rimasto nei ranghi che capì al volo la situazione. Per risposta gli impavidi camerati ricevettero un sorriso che, producendo con mimica facciale ben allenata il miglior ghigno sadico che avesse mai esposto sul viso butterato, espresse un virile consenso.
Senza una minima esitazione i nostri due si introdussero nell’androne dove, appoggiato ad una colonna, il povero Pavia recitava mentalmente le preghiere che la sua millenaria religione gli avevano insegnato per affrontare tali non rare situazioni.
– ma che per caso non ti piacciono le belle abissine?
Fece uno dei due.
– non sarai mica finocchio!
Continuò l’altro.
– veramente… vado a visitare un paziente malato qui nel palazzo. Non volevo assolutamente mancare di rispetto al Fascio e al nostro Duce.
Mentì con la forza della disperazione.
– e bravo il nostro dottor Bagonghi! Facci vedere i documenti e poi discutiamo un po’ di politica!
Erano a pochi centimetri. Sentiva il loro fiato di cipolle, vino e sigarette Milit. La mano destra si infilò lentamente sotto il bavero sinistro del soprabito e poi della giacca, sfiorò il portafogli e incontrò la stilografica. Con mossa lenta e decisa estrasse la stilo e la presento ritta e verticale davanti ai loro occhi:
– Ora… dormite!
Un filo si ruppe nelle deboli menti dei due arroganti e una nebbia calò sui loro occhi. Le palpebre socchiuse, le membra rilassate, il ronzio lontano come di un’ape in un caldo mezzogiorno di agosto. Una voce in lontananza ordinò suadente:
– Baciatevi!
Come marionette, senza alcun pudore i due si baciarono teneramente sulla bocca dopo essersi abbracciati avvinghiandosi con le braccia. Non staccavano le labbra e mano a mano che scorrevano i secondi la passione li portava ad una lascivia ed insieme ad una tenerezza da amanti da pochi attimi dichiarati.
… Allorchè egli se ne sta chino, coricato come un leone, chi oserebbe farlo alzare?…
(Gen. 49,8-12)
L’omino era omino e fisicamente, proprio perché omino, non aveva pensieri violenti ma le menti allenate riescono a piegare i muscoli più forti e poi guai a svegliare il Leone di Giuda. Non soddisfatto e sempre con la penna davanti agli occhi sussurrò:
– calatevi i pantaloni e masturbatevi!
Obbedienti eseguirono l’ordine.
Il camerata dal volto butterato che aveva ricevuto la confidenza di Scortica aveva seguito i due, voltando ogni tanto la testa, mentre il manipolo proseguiva la sua marcia trionfale. Quando vide che, di fronte al portone dove erano entrati, si radunava una folla sempre più numerosa corse in testa al corteo. Affiancato il capomanipolo Bombacci, interruppe l’urlato dell’ultima strofa: ”viva il Duce evviva il Re”, sussurrandogli tutta la sua preoccupazione.
Il Bombacci, sempre pronto all’azione, intuito il pericolo, ordinò:
– dietro front! Di corsa!
Non fu cosa facile per gli ardimentosi farsi largo a spintoni e punta di manganello. Ai primi arrivati si presentò lo spettacolo desolante anzi raccapricciante che le due camice nere offrivano tra lo stupore e il disgusto del pubblico.
Difficile fu anche trovare una vettura da sequestrare per trasportare nella sede del partito i militi rapiti dai sensi senza più ritegno e vergogna.
Nella confusione nessuno notò l’omino con la valigia affacciato all’esterno del finestrino della Balilla come tanti curiosi. Serio e deciso sfregò il pollice e il medio della mano destra provocando un lieve schiocco. I due si risvegliarono dal torpore. Un potente ruggito di raccapriccio e orrore si levò dalla Balilla in fuga.
Alcuni minuti dopo Davide Pavia telefonava, da un posto pubblico, all’impresario del teatro Ambra Jovinelli. Disse che si era ammalato e che il suo spettacolo di magia era da considerarsi concluso. Dopo la guerra esercitò la professione di psichiatra negli Stati Uniti, dove era riuscito ad emigrare con la sua famiglia.
Di Bombacci, Scortica e Rana non se ne seppe più nulla. Chissà quale fronte li aveva inghiottiti.
Originale l’idea di adottare il linguaggio della propaganda. Il racconto funziona. Strappa più di un sorriso e si lascia leggere volentieri Complimenti. Ne approfitto per chirderti un parere sul mio “La Torretta di Guardia”
Ciao Dario. Il racconto ci porta indietro al 1942, come recita il titolo. Ci dà la testimonianza della violenza di quel periodo, la violenza non è solo pestaggio fisico ma sopratutto è proiettare il presunto nemico nell’incubo peggiore per la sua incolumità con un retrogusto di sadismo. Scrittura interessante e vivace come la voce delle camice nere. Ci sono altri anni di quella guerra che potresti illustrare.
Emanuele