Premio Racconti nella Rete 2015 di Massimo Renaldini “La scuola degli alieni” (sezione racconti per bambini)
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015La premessa
Sul pianeta Zorg, quando i bambini diventano grandicelli e cambiano gli aculei da latte, devono intraprendere un viaggio su un altro mondo per ampliare le proprie conoscenze, vedere civiltà diverse e fare nuove esperienze: solo al termine di questo periodo il bambino diventa un karzakal, ovvero un “giovane adulto”.
Il piccolo Kavlin – che veniva preso bonariamente in giro da alcuni amici perché non aveva ancora la peluria sulle dita – decise di andare sul lontanissimo pianeta Drost, il terzo del sistema solare del Lungo Artiglio: un corpo celeste molto umido, anzi, per lo più sommerso dai mari, dove le primitive creature indigene non avevano ancora imparato a vivere in pace.
Per compiere la propria “missione” ovviamente Kavlin doveva camuffarsi, altrimenti avrebbe insospettito le creature locali, che avevano quasi sempre un certo timore di tutto ciò che non conoscevano. In verità questa paura aveva – almeno in parte – un’origine sensata: esisteva infatti una specie particolare di creature indigene, che veniva chiamata “razza umana”, che effettivamente aveva l’assurda e insensata tendenza a bruciare, spaccare, ferire e uccidere, insomma a fare tutte quelle cose che, su Zorg, nessuno faceva più da molti secoli.
Kavlin aveva scelto questo pianeta lontano, un po’ ostile, e vagamente buffo (se non fosse stato che, a volte, i suoi abitanti si facevano male tra loro sul serio) solo perché aveva letto per caso il nome che gli stessi indigeni davano al loro mondo: “Terra”. Era un bel nome, che rappresentava uno dei sette elementi di cui è composto l’universo (che sono aria, acqua, fuoco, tempo, spazio, amore, gnoffo e – appunto – terra). E poi “Terra” aveva un bel suono, come qualcosa di concreto e solido, a cui si vuole bene. Certo, gli umani spesso non sembravano amare molto il loro pianeta (dato che lo inquinavano in mille modi), ma esistevano tante altre razze davvero magnifiche e, tutto sommato, poteva essere interessante andare a vedere quel posto così distante e diverso dalla propria casa.
L’arrivo
E così, in un giorno che su Zorg avrebbero definito freschino (ma che su quello strano pianeta era considerato estivo, ossia caldo) Kavlin giunse sulla Terra. Trascorse i primi giorni esplorando gli affascinanti deserti africani, che gli ricordavano vagamente l’Altopiano Screziato della cometa Suturb (dove una volta era stato in vacanza con una zia) e poi l’oceano che gli uomini chiamavano Pacifico, e che invece a Kavlin sembrò tutt’altro che tranquillo. Vide luoghi davvero insoliti e suggestivi, e moltissimi animali di tutte le forme e dimensioni, ma per la seconda parte del suo viaggio i suoi cinque genitori erano stati categorici: Kavlin sarebbe dovuto stare con le altre creature della sua età (o meglio: con creature che – per le usanze terrestri – erano considerati dei bambini pressappoco grandi come lui), e quindi sarebbe dovuto andare in questo posto che gli umani chiamano “scuola”.
Kavlin, opportunamente travestito, fu presentato al resto della scolaresca come un bimbo appena giunto da una paese lontano, e grazie al suo mini-traduttore sincronizzato (un piccolo medaglione che teneva appeso al collo) riusciva perfettamente a capire tutto ciò che veniva detto, e persino a parlare normalmente il linguaggio locale.
L’unico dettaglio che tradiva l’origine aliena di Kavlin erano le orecchie lievemente a punta, e proprio per questo motivo fu subito soprannominato “Elfo”.
La compagnia
La prima persona della scuola che l’Elfo Kavlin conobbe fu Giacobbo, il bidello: era un uomo abbastanza vecchio, un po’ curvo e con pochi denti, che però sorrideva sempre e non si separava mai dal suo spazzettone, anche se pareva che lo usasse più per appoggiarsi, piuttosto che per pulire i corridoi.
Poi incontrò l’anziana maestra, la signorina Blucobalto, dagli occhi neri e con le labbra strette, che incuteva un certo timore in tutti gli alunni (Kavlin compreso). Infine fece amicizia con i suoi nuovi compagni di classe, tra cui:
Zappo, grande esperto di scacchi, aveva la frangia dei capelli così lunga che nessuno gli aveva mai visto il colore degli occhi (era tutt’ora un mistero come facesse a vedere la lavagna e fare i compiti, nonché distinguere i pezzi degli scacchi);
Bullone, il più alto e grasso della classe, che con la sua banda tiranneggiava i compagni rubando loro le merendine e rompendo le matite nuove alle bambine;
i gemelli Gutierrez (Ramos e Ramona), con la pelle un po’ più scura degli altri, provenivano dal Nicaragua (una nazione che tutti definivano “lontana”, e che invece a Kavlin sembrava vicinissima) ed erano entrambi abili guidatori di skateboard;
Ioanna, una biondina con le gambe magrissime, vestita sempre di nero e rosa, ma forte e caparbia, era l’unica che riuscisse a tenere testa a Bullone.
Fin da subito Kavlin divenne amico di Zappo, Ioanna e dei gemelli Gutierrez, e di conseguenza – come loro – un acerrimo rivale di Bullone e dei suoi tirapiedi.
Il fattaccio
Un giorno particolarmente caldo (persino per i parametri zorghiani) quasi tutte le biciclette parcheggiate alla cancellata della scuola furono trovate con le gomme bucate. Perfino i due skate dei gemelli Gutierrez (che hanno le ruote di plastica e quindi non possono essere sgonfiate) furono manomessi, strappando loro le rotelle. La signorina Blucobalto andò su tutte le furie e fece una scenata dal preside, ma alla fine i colpevoli non vennero trovati né puniti. In realtà Kavlin pensò che non era difficile capire chi fossero gli autori, dato che le uniche biciclette salvate dallo scannamento ciclistico erano proprio quelle di Bullone e dei suoi sgherri…
Quello stesso pomeriggio Zappo, Ioanna, i Gutierrez e Kavlin organizzarono una riunione segreta (sulla casetta sopra il salice, vicino al fiume), che stabilì la necessità di vendicarsi, ma anche che non avrebbe avuto alcun senso sgonfiare le ruote della gang di Bullone: sarebbe stato banale, un po’ stupido e comunque poco divertente. L’idea giusta fu brillantemente trovata il giorno seguente (in un’altra riunione segreta, stesso luogo e stessi partecipanti) dallo stratega del gruppo, Zappo: la rivalsa sarebbe avvenuta la settimana seguente, proprio l’ultimo giorno di scuola, durante la festa di fine anno.
La vendetta
Nel giardino della scuola era tutto pronto per la festa: i genitori avevano portato della macedonia, alcune torte e delle pizzette, e sui tavoli c’erano dei succhi di frutta e qualche bevanda gassata (l’Elfo ingurgitò almeno due litri di chinotto, e la leggenda narra che il suo rutto causò dei disturbi alla strumentazione di un’astronave frulliana di passaggio vicino alla Terra). Le lezioni infatti sarebbero durate solo fino a metà mattina, poi ci sarebbe stata una lunga ricreazione e infine ciascuna classe avrebbe presentato una breve recita, fino al gran finale: una vera mongolfiera, gonfiata proprio nel giardino della scuola, avrebbe portato a fare un giro gli alunni che presentavano la recita più bella!
Purtroppo la classe di Kavlin non aveva alcuna possibilità di vittoria, dato che la signorina Blucobalto aveva scelto per loro un tema estremamente noioso, ossia “gli alimenti e la loro digestione”. L’unico aspetto positivo di questo argomento stava nei costumi, davvero originali: Ramos era vestito da carota, Ramona da fragola, Zappo aveva uno spettacolare costume da amminoacido (una specie di astronauta-arlecchino), Ioanna era un enzima (pareva una fata, ovviamente in una tonalità rosa-nera) e Kavlin sembrava davvero un enorme bicchiere di latte.
Il piano era astuto ma complesso: il giorno prima, approfittando dell’ora di ginnastica, Ioanna e Ramona avevano simulato di avere un po’ di mal di pancia (un piccola bugia a fin di bene) e così si erano assentate dalla palestra ed erano tornate in classe, dove avevano cucito nelle fodere interne di alcuni costumi – ovviamente solo quelli di Bullone e della sua combriccola – delle sottili strisce metalliche. Il piano prevedeva infatti l’utilizzo di una piccola ma potente calamita, fornita da Kavlin (ufficialmente un nuovissimo marchingegno coreano, in realtà di origine aliena).
Tutti erano ai loro posti, e il piano si attivò mentre il preside ringraziava i genitori e stava per decretare i vincitori della recita migliore: Ramona rovesciò una torta di panna e due bottiglie di coca-cola (precedentemente agitate da Zappo) che causarono un pandemonio, attirando su di sé l’attenzione del bidello Giacobbo, della signorina Blucobalto e di una moltitudine di bambini sghignazzanti; intanto Ramos schizzava veloce come un fulmine sul suo skate (con le ruote nuove) e piazzava al volo la calamita aliena sul cesto della mongolfiera, mentre Kavlin distraeva il guidatore del pallone aerostatico (che era nel cesto, già pronto per la partenza) con un interessantissimo discorso sulla bellezza dei paesaggi visti dall’alto. Terminata l’operazione, Zappo (che faceva il palo e controllava che tutto filasse liscio) diede il via libera a Ioanna, la quale si avvicinò a Bullone e gli diede due calci negli stinchi, poi tirò delle olive ripiene agli altri suoi compari, e infine fuggì come un razzo in mezzo a bambini e genitori, inseguita dai cinque sgherri furibondi, vestiti da verdure.
Bullone, nonostante il costume da rapa, fu sorprendentemente agile e stava per raggiungere Ioanna, quando inciampò nello spazzettone di Giacobbo, e a Kavlin parve di vedere il sorriso del vecchio che si apriva lievemente più del solito. Ioanna ne approfittò e sgattaiolò via come un furetto, giungendo alla mongolfiera proprio mentre i cinque verduroni la stavano accerchiando. Fu allora che Kavlin azionò il magnete: Bullone e la sua banda furono immediatamente trascinati contro il cesto (insieme a un cucchiaio sporco di tiramisù e a due lattine vuote), mentre le cerbottane dei fratelli Gutierrez mozzavano le corde che mantenevano la mongolfiera agganciata a terra: l’aerostato si sollevò di una spanna, ondeggiò lievemente e poi salì rapido verso il cielo, con cinque enormi verdure (Bullone e i suoi compagni) saldamente appesi all’esterno del cesto, alcuni a testa in giù!
La folla lanciò prima un’esclamazione di stupore (che coprì le urla di paura del quintetto), poi alcuni applaudirono, altri risero: di certo quasi nessuno capì precisamente cos’era successo.
L’epilogo
Bullone si era appena tuffato (per placcare Ioanna) quando era stata attivata la calamita, e così era stato attirato contro il cesto con i piedi all’insù: fu per questo motivo – e anche perché si era rimpinzato di bignè per tutta la mattina – che vomitò parecchio, sia dentro il proprio costume che sulla folla. In particolare, alcuni pezzi di rigurgito finirono sull’abito nuovo della signorina Blucobalto, e tutti sapevano che – durante i corsi estivi di recupero – quest’onta sarebbe stata pagata da Bullone a caro prezzo. Per completare la rivalsa, nella terra del campetto accanto alla scuola, i gemelli Gutierrez avevano tracciato (con le scie dei loro skate) il disegno di un’enorme bicicletta, visibile solo dall’alto, e così i cinque teppistelli pendenti capirono quasi subito a cosa dovevano le loro sventure. Quando la mongolfiera tornò a terra, Bullone e i suoi sgherri erano così spaventati che erano bianchi come mozzarelle, e non fecero mai più nessuno scherzo alle biciclette degli altri alunni.
L’unico neo di quella giornata (altrimenti perfetta!) fu che Kavlin – mentre guardava la mongolfiera – intravide un grande riflesso tondo e violaceo nel cielo: gli altri non ci fecero caso, ma lui riconobbe l’astronave semi-invisibile dei suoi genitori, e questo significava che il suo periodo sulla Terra era ormai quasi finito.
Però, prima di tornare su Zorg, fu autorizzato a portare a bordo dell’astronave i suoi amici e, tutti insieme, trascorsero un pomeriggio a vedere i luoghi più belli della Terra: andarono a vedere la Tour Eiffel e Stonehenge, videro le rovine di Machu Picchu e i ghiacciai, i canguri, i pinguini e i delfini, poi scesero nelle profondità di Atlantide (fu lì, nello stupore generale, che Zappo si tolse i capelli dalla fronte per osservare meglio, e tutti videro che aveva dei bellissimi occhi verdi) e andarono a fare un giretto persino sulla Luna!
Poi, stanchi ma felici, ritornarono a casa e si salutarono, ben sapendo che Kavlin (detto l’Elfo) adesso rientrava su Zorg, ma presto sarebbe tornato sulla Terra a trovarli.
Idea carina. Nomi e situazioni indovinate. Da Zorg alla Terra e ritorno… Un racconto di confine, a meta strada tra De Amicis e Wells… Divertente e, di sicuro, adatto ai bambini (di ogni età)
Grazie! Circa a metà del racconto (e in particolare all’elenco dei personaggi) mi sono reso conto che per me erano atmosfere alla Stefano Benni (certo, SE sapessi scrivere come Benni, ovviamente!) 😉
Chissà se Kavlin si considerasse fortunato ad avere cinque genitori, certo è che comunque ha continuato a crescere. A parte la battuta Massimo il racconto ha ritmo, nulla è lasciato al caso. Questa umanità trascina i suoi problemi a lungo, anche quelli comportamentali, ed è superata dai bambini a risolvere certe questioni. Può essere la parte iniziale di un romanzo. Complimenti.
Emanuele
Grazie! 🙂