Premio Racconti nella Rete 2015 “La città segreta” di Alice Scuderi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015-Allora che ne dici? Non è favolosa?
-Sì
-Tutto qui?
-Che vuoi che dica? È quello che tutti si aspettano.
-E tu?
-Vuoi per forza farmi diventare triste.
-Io? Portandoti qui? Lo eri già mentre uscivamo di casa. Ultimamente è così difficile vederti sorridere.
-Sono solo piena di pensieri, lo sai, e questo panorama mi fa pensare ad altri panorami che non ho più.
-Vedrai che prima o poi passerà questa sensazione, cerca solo di lasciarti un po’ andare.
-Vorrei solo sapere quanto ci vorrà per sentirmi di nuovo a casa.
Sulla città pesava un cielo di ferro. Era estate, ma sulla terrazza l’aria era pungente, sapeva di cenere. Le macchine di sotto erano formiche, il fiume una striscia immobile e opaca; le case non parlavano tra di loro né guardavano in faccia. E poi la torre, laggiù, svettava la sua bruttezza d’acciaio sopra il vapore malsano. Indesiderata e sfacciata, anche da lontano sussurrava: “siete destinati alle cose brutte”. Era disperato e comico il tentativo della città di essere più di un ammasso di cemento e vetro. Frida osservava affascinata la sua decadenza malinconica.
Guardava avanti, cercando di spingere gli occhi oltre i muri incolore che parevano essere infiniti, ma casa era un luogo invisibile da lì. C’era solo Leonardo e il suo profumo che sapeva di isola: lo aveva comprato lì prima di partire; la boccetta si era aperta un po’ in valigia e aveva sgocciolato la sua essenza di ricordi su tutto.
Frida l’aveva aperta un sacco di volte in quegli ultimi giorni, tuffandoci la testa e inspirando a pieni polmoni, gli occhi chiusi alla ricerca di istantanee solide.
Leonardo era l’unica casa su quella terrazza spazzata da un’aria meschina.
Due vecchietti poco distanti parlottavano tra loro in una lingua strascicata e gorgogliante che suonava fastidiosa alle orecchie di Frida, ogni parola distorta dal suono zuccherino. Ma gli occhi non mentono mai e lo sguardo che i due uomini gettavano sui ragazzi era una porta sbattuta in faccia, si fissava su differenze inesistenti.
-Certo che con quelli lì è difficile sentirsi anche solo lontanamente a casa.
-Son tempi brutti, la gente è diffidente.
-Diffidenza? Quello è disprezzo. Immagino cosa si staranno dicendo: “ecco altri due mafiosi venuti a rubare il lavoro ai nostri giovani”.
-E tu lasciali parlare! Che ce ne frega?! Noi siam qui per il futuro, in pace con le nostre coscienze, o sbaglio?
Frida rimase in silenzio. Si voltò di nuovo verso la città muta e con la mano si toccò il ventre. La tenne appoggiata lì come uno scudo, a protezione da tutti i dubbi, i timori che non l’avevano abbandonata da quando era partita.
“Futuro” che parola arrogante se il presente è stravolto da una guerra che spacciano di civiltà, ma che è solo barbarie di uomini contro altri uomini. Ora che le frontiere abbattute sessant’anni fa si sono rialzate più brutali che mai; ora che il mondo si ribella a se stesso, vomitando catastrofi che a occhi chiusi lasciamo scorrere sulle nostre teste basse, la parola “futuro” suona stupida e patetica, la colonna sonora malferma di un film in bianco e nero.
La città parlava di se stessa al passato, ma era solo una fiction. E dalla terrazza le bugie erano guglie sull’indifferenza della gente. Da lassù il mondo era un malato terminale.
-Non riesco a essere felice.
Gli occhi ancora intrappolati in quella tristezza. Leonardo la strinse ai fianchi. Lei gli prese la mano e se la appoggiò sul ventre, intrecciata alla sua.
-È solo una fase piccola mia.
-Io dovrei essere felice.
-Non è mica un dovere; la felicità è quando non hai bisogno di chiedertelo.
-Ma tu chiedimelo.
-Cosa?
-Va beh, lascia perdere.
La ghiaia scricchiolò un poco: una mamma camminava lungo la terrazza spingendo una carrozzina blu cielo. Una visione rinascimentale: “Madonna con bambino”.
Era tutto così anacronistico. Sì, era la parola che le frullava in testa da un po’: sembravano appartenere a un passato stilizzato lei e Leonardo, la moglie che segue il marito. Alla ricerca dei suoi sogni.
-Con te è sempre così: cominci un discorso e poi lo tronchi quando pare a te. Io non ho diritto di dir nulla.
-Mi pare che dici sempre quel che pensi, e lo fai pure.
-Che cosa vuoi dire?
-Quello che ho detto.
-Pensavo lo volessi anche tu.
-Ho forse avuto scelta?
-No Frida, non lo fare; non accusarmi di averti trascinata contro la tua volontà.
-Ah già, me lo hai chiesto quando ormai avevi accettato il lavoro.
-Ma non capisci? Questa era un’occasione da non perdere! Venir via da quel paese ingrato e costruire qualcosa di bello qui!
-Io qui non ho niente.
-Hai me.
Le si avvicinò per darle un bacio, lei gli porse solo la guancia.
“Hai un uomo che ti ama da morire, cosa vuoi di più dalla vita?”, questo l’epitaffio della sua migliore amica, laureata in lettere e casalinga per vocazione.
Dalla terrazza si vedevano palazzi nuovi, moderne costruzioni interrompere l’antica monotonia, ma alla fine non era cambiato niente: in periferia le persone continuavano ad arrancare, alla disperata ricerca di un’identità, tutti trainati dall’illusione moderna, il futuro.
Ce n’era uno che batteva veloce in lei: faceva paura, avrebbe stravolto tutto e poi il mondo era così infame, come avrebbe fatto a proteggere quel piccolo futuro indifeso senza perdere se stessa?
Si sentì sopraffatta da quel panorama così ingombrante e incerto. Si appoggiò alla balaustra, sfidando con gli occhi pieni di lacrime la città prepotente.
Leonardo la cinse ai fianchi, il suo odore d’isola ora fortissimo:
-Hai te stessa.
Lei sorrise senza farsi vedere, il volto rigato e la mano sempre ferma sul ventre.
A ovest una striscia rossa infiammò il cielo opaco. Finalmente la luce!
La città la guardò per la prima volta e quel che le disse rimase un segreto fra loro.
Tese una mano al suo Leonardo.
-Andiamo a casa, devo darti una notizia.
La carrozzina blu cielo brillava ancora in mezzo al grigio, ma dentro solo un libro appoggiato quasi dormisse.
“Le donne cullano persino i sogni” pensò Frida.
Fu il suo primo sorriso francese.
Ciao Alice, pur non essendo un monologo colgo il dubbio amletico: io sono o voglio il futuro. Il futuro è solo una città senza l’uomo, solo torri e fabbricati anonimi e mostruosi. Quel patto con la città è segreto ma è un patto con la città segreta ed è tutto da scoprire per noi. Frida ha una ragione per vivere, ha in sé un’altra vita ed è con il suo uomo. Complimenti.
Emanuele
Ciao Emanuele, il dubbio amletico c’è ed è molto sottile, sono felice tu lo abbia colto. Ma è un dubbio che può essere declinato in tante varianti: sono o voglio il futuro, il concetto della ricerca della felicità, il ruolo della donna. Volevo creare un racconto sospeso, breve e in qualche modo indefinito che riuscisse a raccontare proprio queste emozioni che sento appartenere alla mia generazione (quella dei trentenni divisi fra il senso di fallimento per un carriera che non c’è ma che per “dovere morale” dobbiamo cercare di ottenere e il semplice desiderio di essere felici, vivendo una vita “normale”). E per noi il concetto di futuro è tanto fondamentale quanto indefinibile più che mai.
Il patto fra la città e Frida sta proprio nel dualismo “lavoro-vita”, è un compromesso la cui natura però rimane appunto segreta, perché è diversa per ognuno di noi.
Grazie per i complimenti!
Ciao Alice, senza dubbio il dubbio amletico c’è e costituisce la struttura portante del racconto. C’è però anche una certezza negativa che lanci lì, come dato di fatto acclarato: il fallimento di questa Europa che ci farà sentire stranieri ad un passa da casa. Tocchi un tema di grande attualità. “Ora che le frontiere abbattute più di sessant’anni fa si sono rialzate più brutali che mai”, i due vecchietti considerano “altri” i non francesi, in un gioco al rialzo che, estremizzato, riporta a gelosie territoriali e difese tribali che sembrano d’altri e più ruvidi tempi,ma di cui è già piena la cronaca. Tornando al racconto, è davvero bello, scritto molto bene. Le emozioni, le sensazioni, il non detto, tutto molto coinvolgente. Sembra di sentirlo sulle spalle pesante quanto un macigno, questo cielo plumbeo denso come il fumo che opprime Frida. Vorresti parlarle, fare con lei un pezzo di strada, ma ti accorgi che alla fine è lei che ti consola ricordandoti che le ” donne cullano persino i sogni”. Complimenti davvero
Grazie per i complimenti Ottavio e soprattutto per il commento centratissimo: non avrei saputo parlar meglio del mio racconto! la negatività c’è, è quasi inevitabile, inevitabile però quanto quel barlume di luce, che profetico arriva alla fine del racconto, sulla potenza ricercatrice delle donne, di qualsiasi luogo o nazionalità siano, di ricreare appunto il loro proprio mondo anche in condizioni “straniere”. In tutto quel grigiore, volevo rendere un piccolo ma sentito omaggio alle donne, che nonostante tutto continuano ad affrontare problemi inesistenti per gli uomini (è anche per questo che ho scelto il nome Frida, ispirandomi a uno dei miei miti, la straordinaria Frida Kahlo).