Racconti nella Rete 2010 “Un pupazzo per Jenny” di Emanuel Nencioni
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010“Finalmente le ferie mi danno un po’ di riposo, fisico e mentale.” Dissi non appena varcai l’ingresso di casa.
Dodici ore di lavoro per sei giorni alla settimana, non sono un toccasana per la salute, lo so, ma devo in un modo o nell’altro, cercare di sopravvivere alle quotidianità della vita.
Mi spogliai ed entrai immediatamente sotto la doccia che, al contatto con la pelle, pareva essere davvero molto rilassante.
Poi me ne andai a letto.
Il giorno seguente aprii gli occhi, e notai subito i raggi filtrare all’interno della camera, mi stavano accarezzando le coperte, per cui incuriosito come non mai, decisi di allungare la mano destra per toccare quello più vicino, di riflesso mi accecò gli occhi, quasi come se fosse infastidito.
“Che bello!” pensai, “Oggi sarà proprio una giornata stupenda!”
In quindici minuti scarsi, ero già fuori dall’abitazione.
Andai nel negozio di Clarissa vicino alla stazione, per ritirare Mandy, il pupazzo di peluche che avevo appositamente prenotato con largo anticipo, per mia figlia Jenny.
Ero parecchio emozionato lo ammetto, il pensiero di rivederla dopo dodici mesi, mi faceva accapponare la pelle.
Là fuori nel parcheggio, la mia auto mi stava aspettando, avevo già provveduto a fare il pieno, dovevo assolutamente arrivare a destinazione il più in fretta possibile.
Avevo anche un groppo alla gola, me ne accorsi non appena mandai giù del latte caldo che mi ero riscaldato prima di uscire.
In tutto erano tre ore circa di viaggio, eppure anche se la frenesia mi stava assalendo la mente, dovevo cercare di restare calmo, non potevo e non volevo far capire le mie debolezze alla bambina, sono un uomo, e come tale, ho il sacrosanto obbligo di dover dimostrare di essere tutto d’un pezzo.
Che brutto vestito che devo indossare però, solitamente è nel mio carattere, manifestare l’emotività, ma a Jenny piace vedere suo padre con un atteggiamento da uomo ultra potente, e se piace a lei, piace anche a me.
La mia piccola ha quattro anni, occhi celesti come il mare e dei capelli color oro lunghissimi.
E’ molto tenera, dolce, affettuosa ed espansiva, inoltre porta sempre con se una foto mia ed una di sua madre.
Tiene la mia, sulla taschina sinistra della giacca.
Una volta incuriosito dal suo atteggiamento, le chiesi il motivo, lei mi rispose gelandomi il sangue, e cioè che, l’unico motivo per cui teneva la mia foto a sinistra, era perché lì c’è una arteria che va dritto al cuore.
Quando la vidi per la prima volta ero emozionato, mi tremavano le gambe, la presi tra le mie braccia e la baciai, aveva addosso un profumo di borotalco molto forte che, stava cercando invano di sopprimere l’odore fresco della sua pelle.
“Benvenuta amore!” le dissi, poi come se fosse cristallo, la riposi leggermente sopra le lenzuola del lettino.
Adoro mia figlia, ogni volta che mi fermo a guardarla, succede sempre la stessa cosa, il suo viso d’angelo m’incanta, specialmente quando abbina al sorriso espressivo la frase:“Tu per me sei il papà più bello e più bravo del mondo!”
Ma finalmente stava per arrivare il momento in cui potevo abbracciarla di nuovo, e per me quello era il più bel giorno della mia vita.
“Un bambino cambia la vita delle persone!” Negli anni avrò sentito almeno una dozzina di volte, questa frase, ma mai avrei pensato che la parola cambia in questo contesto, fosse sinonimo di felicità.
Intanto nel tragitto Lucca – Spotorno poche le macchine che stavano affollando la strada a due corsie, notai che la velocità degli altri non era un granché.
Le cose erano due, o loro stavano andando al rallentatore, oppure io viaggiavo ad una velocità stratosferica.
Il conta chilometri mi confermò la seconda delle ipotesi.
“Hey, stacca quel piede dall’acceleratore!” disse la voce della mia coscienza.
Quasi a comando lo alzai per orientarmi sui 130 km.
Skin, voce indiscussa degli Skunk Anansie, era la mia unica compagna di viaggio, i suoi acuti mi stavano facendo una compagnia invidiabile.
Nel tragitto, facevo fatica a tenere la mente salda al corpo, fluttuare tra i paesaggi della Liguria, in Giugno è abbastanza facile.
Lunghe distese di coste, si facevano spazio alla mia sinistra.
Il mare era in quel momento il personaggio principale, impossibile riuscire per me, tenere lo sguardo lontano dal suo fascino per più di dieci secondi.
Come se fossi ipnotizzato, continuavo a guardarlo, ammirando il celeste chiaro che diveniva sempre più cupo, mano a mano che si allontanava dalla costa.
Quello a vedersi, era veramente un mix cromatico invidiabile.
Uscii dall’autostrada alle dieci e dodici minuti, quando tirai giù il finestrino, una ventata di aria fresca mi avvolse con prepotenza, per cui ammaliato dal suo impatto, decisi di spegnere quella condizionata dell’auto.
Nel centro di Spotorno c’erano un sacco di vetture che stavano andando in direzione della spiaggia.
Le bancarelle posizionate lungo la costa, attiravano curiosi e turisti di ogni dove.
Mentre ero fermo al semaforo, notai dei tedeschi attraversare la strada, impossibile non riconoscere il loro colore candido della pelle.
In contemporanea con il verde, con la coda degli occhi, intravidi un cartello enorme di fronte al parcheggio dei camper con su scritto “tutto esaurito”.
Dopo una buona mezz’ora riuscii finalmente a trovare un posto per l’auto, la misi di fianco ad un pino enorme, alzai la testa per confidare in lui una buona guardia, credo che accettò ben volentieri il compito assegnatoli.
“Fiiiiù…!!!” tirai un sospiro di sollievo, poi aggiunsi: “Ci siamo! Ora incontrerò la mia bimba!”
Presi Mandy dall’interno della vettura, lo tenevo con la mano destra perché l’altra mi stava inspiegabilmente sudando troppo.
Arrivato sulla spiaggia mi tolsi le scarpe, un calore abbastanza sopportabile, mi stava assalendo la pianta del piede.
Giacomo il titolare del Bagno Elisir mi venne incontro: “Ti stavo aspettando! E come tutte le volte sei sempre puntuale!”
“Beh, cerco di esserlo. Non mi piace far aspettare gli altri, figuriamoci mia figlia!”
“Giusto! La barca è già pronta. ANDIAMO!”
Sali prima io e poi lui, andai subito a prua perché lì c’era il modo di sedersi più comodamente.
Quando arrivai a circa cinquecento metri dalla battigia vidi mia figlia finalmente: “Jenny, amore mio ti ho portato il pupazzo che volevi tanto! Sei contenta?”
Lei mi guardò con aria meravigliata, aprì la bocca ed un sorriso enorme gli accese i lineamenti: “Papà ti voglio bene! Mi hai comprato il pupazzo che mi piace tanto!”
Glielo porsi tra le mani e lei mi abbracciò, poi mi disse: “Ti voglio bene, tanto, tanto, bene!”
“Anch’io amore te ne voglio!”
Teneva stretta al petto il pupazzo che gli avevo comprato, al punto che lo stava sgualcendo.
Giacomo mi guardò e disse: “Beh, adesso però dobbiamo andare..”
Io guardai mia figlia e le promisi che sarei ritornato l’anno successivo a trovarla.
“Prometti? Prometti papà che lo farai? Prometti che il prossimo anno verrai a trovarmi di nuovo? Prometti?”
“Si piccola promesso!”
E’ una regola ferrea, se si promette una cosa ad un bambino bisogna rispettarla.
Odio vederli soffrire delusi, perché qualcosa che pensavano di ottenere da una promessa poi gli è sfuggita di mano.
“Dai! Andiamo! Saluta tua figlia!” mi ribadì Giacomo.
“Ok, va bene” risposi, poi diedi l’ultimo bacio alla bambina.
Quando tornai a riva, feci un balzo giù, alcuni ragazzi che correvano lanciavano in aria piccoli schizza d’acqua.
Giacomo si mise a parlare con alcuni suoi amici, io interruppi la loro conversazione perché volevo salutarlo per tornarmene a casa.
“Ciao e grazie! Sei un amico!” gli dissi poi mi congedai.
Da dietro le spalle, sentii un commento fatto da uno di loro: “Mi dispiace per quell’uomo! Due anni fa, ha visto la propria figlia morire affogata nel mare. Deve essere proprio un brutto colpo da mandare giù!”
Di riflesso, dissi tra me e me. “Già, quello è stato ed è per me, proprio un brutto colpo! Che mia figlia sia sparita dalla mia vita, è una cosa che non riesco proprio ad accettare.”