Premio Racconti per Corti 2015 “Tequila BumBum” di Sabrina Fortini
Categoria: Premio Racconti per Corti 2015Una musica martellante gli sbatte nella testa, gli occhi sembrano incollati, riesce ad aprirli un secondo prima di urlare di paura, una vertigine gli torce lo stomaco, è steso in terra, raggomitolato sotto il davanzale di una finestra, un odore acre gli colpisce le narici, cercando un appiglio per alzarsi mette la mano in una poltiglia viscida e puzzolente, è vomito, ma cosa è successo? E la sua armonica che fine ha fatto? E quella cazzo di musica, non è certo la melodia di Rosie.
Rosie! Perché te ne se andata Rosie! Posso cambiare, posso smettere quando voglio Rosie, lo sai! Rosie, voltati, ascoltami, te lo giuro, da domani sarà diverso, aspetta Rosie, aiutami non ce la faccio ad alzarmi, sto male Rosie! Si, lo so che l’ho già detto tante volte ma questa volta lo faccio, rispondimi Rosie, devi credermi, parlami. Perdonami Rosie, non volevo farti male, lo sai che sono malato. Chiudi la porta Rosie, dove vai, Rosie.
Sembra successo un milione di anni fa.
La notte è rischiarata dalle prime luci dell’alba, l’aria è scossa dalla musica martellante, dall’altra parte della strada c’è una festa, viene da lì. C’è stato anche lui, adesso ricorda, lo hanno buttato fuori quando ha cercato di pisciare nel fan-coil. Ce l’avevano portato quei ragazzi che aveva incontrato ieri sera. Lui se ne stava andando a cercare un po’ di roba di quella buona, voleva un po’ d’erba, di quella che ti rilassa e ti rimette in pace con te stesso, non voleva più saperne di quella merda bianca che ti pompa il sangue al cervello, ti manda i battiti a mille, ti fa sentire come un giaguaro in agguato, i sensi all’erta, all’ennesima potenza e poi ti molla di colpo e ti senti un cencio, non riesci neanche a parlare, le mani tremano e tu te la prendi con il mondo. E con Rosie. Adesso però aveva bisogno di qualcosa per liberarsi la testa da quella folla di pensieri.
Camminava per strada a passi lunghi e lenti, suonando nella sua armonica la musica malinconica di Rosie, sbandando un po’, la sua bombetta tirata indietro sui capelli ricci, i pantaloni con le bretelle e il gilet aperto sulla camicia sgualcita gli davano un’aria romantica. Romantica? Non lo vedevano così i ragazzi che gli svenivano incontro ridendo sguaiatamente, ognuno con la doverosa bottiglia in mano, uno di loro con un’enorme cassetta sulla spalla che sparava musica assurda a volume assurdo. Con loro c’erano anche un paio di ragazze, una bionda, magrissima, con i capelli lunghi lisci che le spiovevano dalla testa ciondolante, in bilico su tacchi altissimi continuava a chiamare un certo Fede, che non doveva essere lì, visto che non risponde mai. I maschi del gruppo le stavano tutti intorno a corolla mettendole le mani dappertutto. L’altra, si distingueva dai maschi solo perla gonna che indossava, camminava dentro a grossi anfibi forse rubati ad un marine morto. Rideva e bestemmiava, spintonando via i ragazzi dalla bionda. Adesso l’avevano visto:
Guarda che sfigato, dice uno.
E’ fatto come una scimmia, dice un altro.
E’ un tossico di merda, dice il marine.
Ormai gli erano addosso, lui camminava come se non li vedesse, lo spintonarono.
Ehi, sfigato, stai attento, guarda dove vai!
Ragazzi… avete un po’ d’erba per caso? Biascica lui.
Ma che c..o vuoi! Noi siamo puliti.
Ah, scusate….
Il gruppo si guardò, divertiamoci un po’ con questa specie di barbone!
Dì un po’ bombetta, ti va di venire a una festa? Laggiù guarda, c’è tutto quello che cerchi.
Era proprio davanti a casa sua, perché no, meglio se stava in compagnia.
Lo inglobarono nel gruppo e in pochi passi, erano arrivati. Dentro una specie di garage, la musica rimbalzava su tutte le pareti, le voci non si sentivano più, il gruppo si fece largo tra gente che saltava e si tirava spallate a farsi male, occhio disse uno che questi pogano di brutto. L’uomo era completamente frastornato, il rumore eratalmente forte e complesso che per contrasto creava una specie di barriera che impediva di sentire ogni suono sotto ai 100 decibel, tipo quello che le voci della gente. Vedeva le bocche dei ragazzi muoversi, cosa stavan dicendo? Parlavano con lui, gli indicavano qualcosa, un bancone, ah ecco il bar. La ragazza gli venne incontro sorridendo, anche lei aveva un gilet, aperto su una camicia aperta, sopra a un seno che spingeva per uscire dal reggiseno, alla vita aveva un grosso cinturone, uno di quelli da pistolero, con fondina e cartucciera. La ragazza estrasse un bicchierino di vetro dalla cartucciera e una bottiglia di liquido trasparente dalla fondina, riempì il bicchierino, ne battè il fondo sul bancone, due volte, bum bum, e lo porse al ragazzo accanto a lui, che lo buttò giù d’un fiato tra le urla degli altri. Poi la ragazza fece la stessa cosa e dette il bicchiere a lui.
Va bene, se non c’è l’erba va bene anche questo, pensò lui. Così non rischio d’incontrare qualche poliziotto a caccia di spinellati, è legale ed è tutto offerto da questi imbecilli, va bene tutto pur di vuotare la testa, facciamoli divertire un po’ pensò, vuotando il bicchiere in un sorso. Intorno l’eccitazione cresceva, lui tirò ancora un po’ indietro la bombetta e con un sorriso amaro guardò finalmente il ragazzo, dritto negli occhi. Fino a quel momento, il ragazzo era stato solo un giubbotto di pelle con sopra una bocca dalla quale uscivano rumori indistinti, adesso voleva vedere chi era il pazzo che sarebbe andato a fondo con lui. Non aveva più di vent’anni, dietro i lineamenti stravolti dall’adrenalina c’era il viso di un bambino, dentro agli occhi lo si poteva vedere ancora, a sprazzi, tra gli oscuri balenii rabbiosi. Guardandolo ebbe un moto di compassione, si guardò intorno in cerca di una via di uscita, un appiglio qualsiasi a cui aggrapparsi per invertire l’esito della serata, della sua vita. Uno specchio rotondo appeso al muro, come quelli che sono agli incroci delle strade, gli rimandò la sua immagine. Gli parve che questa sogghignasse e sì, gli strizzò l’occhio. Guardò di nuovo il ragazzo, fece per alzarsi, questo gli sfilò l’armonica dal taschino del gilet.
La rivuoi bombetta? Te la devi guadagnare, facciamo così, chi resiste di più senza vomitare se la piglia eh! Che dici zio ce la fai? Non ti preoccupare per i soldi, offro io barbone.
Il resto del gruppo intorno a loro urlava e gesticolava, o almeno così gli sembrava, lui non sentiva niente, gli pareva che lui e il ragazzo fossero in una campana di vetro.
Si rimise a sedere e di nuovo lo guardò negli occhi, il ragazzo smise di ridere, per un attimo sembrò avere un ripensamento subito scacciato dal bacio della pistolera, che aveva depositato davanti a loro i due shottini. L’armonica era in mezzo al tavolo. Così cominciò la stupida sfida. Lui beveva un bicchiere dietro l’altro e gli sembrò che qualcosa di strano stesse capitando: i vent’anni del ragazzo aumentavano ad ogni shot, per contro lo specchio gli rimandava la sua immagine ogni volta più giovane. Nessun altro però sembrava accorgersi di quanto accadeva, al contrario, gli altri annoiati, si erano messi a pogare anche loro con gli altri, anche la pistolera li aveva lasciati, non prima di aver vuotato la cartucciera sul tavolo. Nella sua mente allucinata l’uomo aveva deciso, avrebbe sacrificato il ragazzo, avrebbe preso la sua gioventù e il suo futuro e questa volta non l’avrebbe sprecato. Nessun ragazzo in cerca di sballo avrebbe mai potuto fargli più male di quanto se ne fosse già fatto da solo, non sarebbe stata qualche bottiglia di alcool ad ucciderlo, non lui certo, in quanto al ragazzo era un altro paio di maniche. In fondo se l’era cercata.
Qualcuno lo stava scuotendo, lo alzarono di peso dalla sedia, barcollando si diresse verso il bagno, si sentiva la vescica scoppiare, tirandosi giù la cerniera dei pantaloni cercò un muro, non gli sembrava il gabinetto ma tanto non ci sarebbe mai arrivato, il flusso caldo aveva appena cominciato a scorrere che fu preso di peso e buttato per strada. Le luci blu di un’ambulanza gli ferirono gli occhi, quando riuscì di nuovo a mettere a fuoco, vide la bionda sui tacchi accasciata addosso a un muro.
Fate qualcosa, diceva, fate qualcosa, mi deve portare a casa.
Lui non porta più nessuno a casa, hai capito? Non ci torna più neanche lui a casa! Lo capisci? E’ morto, cazzo, è morto!!! Fu la risposta di rabbia impotente del paramedico.
Che cazzo dici? Non può morire lui, c’ha solo diciassette anni, non si muore a diciassette anni non lo sai? Stronzo, che cazzo di dottore sei te?!
Il paramedico, fece un passo verso il ragazzo che aveva parlato, la mano del collega si posò sulla sua spalla
Lascia perdere, non vale la pena, questi sono persi. Ingurgitano alcool e pasticche come fossero caramelle e ogni tanto qualcuno ci lascia la pelle. Hai sentito che ha detto, aveva solo diciassette anni, guarda in che stato è, sembra più vecchio di vent’anni.
A quelle parole, l’uomo si avvicinò per guardare il ragazzo, davvero gli aveva succhiato la gioventù? Si guardò nello specchietto dell’ambulanza, no, niente era cambiato, lui era sempre lui, con tutti i segni della sua disperazione nel volto, il ragazzo era morto per niente. Si ricordò della sua armonica, cercò di rientrare nel locale ma un energumeno gli sbarrò la strada. Tornò sui suoi passi, mentre il corpo del ragazzo veniva caricato in ambulanza, qualcosa scivolò dalla lettiga, cadde a terra con un suono metallico, l’armonica, eccola lì, alla fine l’aveva vinta il ragazzo. La raccolse di terra e la rimise accanto a lui, sotto il lenzuolo. Se l’era guadagnata. Tanto Rosie non c’era più e lui aveva una nuova amica, comprensiva, pietosa e soprattutto legale, sempre disponibile ad annebbiare la sua mente, fino a non sentire più quel tormento maledetto.
Sabrina, ci dai le immagini di una notte da “sballo” Crude e crudeli. Il racconto ci dà anche i pensieri di questi giovani che sembrano cercare qualcosa. Trovano sempre la morte.
E’ un’occasione di riflessione per noi genitori. Grazie.
Emanuele