Premio Racconti nella Rete 2015 “Sogni appesi a un filo” di Carolina Marangio
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Phil scese giù in strada subito dopo aver fatto colazione. La mattina era la parte della giornata che Phil preferiva in assoluto: gli uccelli canterini, il sole tra le fronde degli alberi, le macchine veloci nel traffico e le piazze che si riempiono a poco a poco, finché non sono gremite di gente che vive la propria vita e che con spirito di avventura e anche un pizzico di fortuna comincia un nuovo giorno. Phil avrebbe dato tutto quello che aveva per vivere come facevano tutti gli altri. Perché Phil non era come loro, affatto. E lo sapeva. Phil era uno scheletro. Non nel senso che era un persona molto magra, ma nel senso letterale del termine; Phil era 270 ossa: cranio, arti, bacino e spina dorsale.
Phil amava le mattine. Strano. V’immaginate uno scheletro che ama le mattine? Il sole, la luce, il calore. Beh Phil era così. L’unica cosa che lo rattristava la mattina era che il sole non lo sentiva per bene, sapeva che dava caldo alla gente ma lui non lo avvertiva in prima persona, non poteva. Ma ehi, era pur sempre uno scheletro che preferiva il giorno alla notte, come un pupazzo di neve che ama l’estate.
Phil aveva un sogno: voleva fare il trapezista.
Sin da quando era stato assunto dal titolare del circo in cui lavorava come “strappa biglietti”, circa un paio d’anni prima, Phil desiderava esibirsi: volteggiare in alto sopra le teste sbigottite del pubblico e immaginare di volare oltre il tendone, toccare per bene il sole, il cielo, sposarsi con le nuvole e poi ritoccare terra, come se quello che hai appena fatto fosse la cosa più normale del mondo, poi sorridere, spalancare le braccia e aprire i palmi delle mani per accogliere il calore degli spettatori, tutti in piedi che ti battono le mani, un inchino e la magia è compiuta.
Più di una volta Phil aveva tentato di convincere Hans, il titolare russo, ma non c’era stato verso; nemmeno Mary e Mario, i gemelli trapezisti dell’equipe, erano d’accordo: «Sei inesperto Phil, non sai come si fa», gli dicevano in inglese con la cadenza del loro paese d’origine, l’Italia. E Phil rispondeva sempre dicendo che avrebbe potuto imparare, e poi voleva farlo solo una volta, voleva provare quella sensazione, sapere come ci si sentiva, come si sentivano loro ogni volta che facevano i loro numeri, ogni volta che volteggiavano lì in aria e si davano le mani. Ma Phil era sicuro, avrebbe trovato il modo di convincerli. A tutti quanti. O meglio, avrebbe trovato il modo di far avverare il suo sogno.
Una sera dopo uno spettacolo l’intera troupe si riunì nella tenda grande, dove si tenevano le feste e i banchetti, per celebrare l’ultimo show della settimana. Tutti erano già su di giri, prima ancora del brindisi, per via di quanto bene erano andate le serate della prima settimana. C’era nell’aria allegria e uno strano odore di cose buone. Phil non invidiava l’alcool, né il cibo, forse un po’ il calore dei corpi che sfregano e si vogliono bene. Alla fine della serata tutti vanno a letto ognuno nella proprio tenda o roulotte, Phil s’alza e si dirige verso la sua casa, passando davanti al tendone degli spettacoli, si ferma proprio lì davanti con un pensiero improvviso e luminoso in mente. Cambia rotta e percorre il sentiero verso l’entrata. Una volta dentro è buio, con una sola luce, un faro diretto verso il centro della pista. Istintivamente Phil si piazza sull’occhio di bue e aspetta d’essere sicuro delle sue azioni. Ma in fondo lo è sempre stato. Si pone al lato della pista e sale la scaletta che porta verso il filo su cui camminano in pace Mary e Mario. È arrivato esattamente a un passo dal filo e Phil raccoglie tutta l’aria del mondo in un sol sospiro; sa come funziona, l’ha visto fare milioni di volte, un piede alla volta Phil si mantiene perfettamente in bilico sul filo alto sopra la sabbia dura, è a un passo dall’arrivare dall’altra parte e quando è arrivato sorride e si sente al centro del mondo. Tutta la sua vita, tutte le sue decisioni non erano mai sbagliate perché se lo fossero state non lo avrebbero portato a dove è ora. Era ora di tornare, ma tutto pareva più facile dopo aver vissuto già l’andata: Phil si pone in posizione corretta, pronto a compiere il primo passo. Avrebbe voluto che Mary e Mario fossero lì a guardare, anche Hans, tutti. Che guardassero e si ricredessero. Lui poteva, lui ci riusciva. Quasi a metà percorso con questo in mente Phil non può fare a meno di sorridere, dal sorriso nasce una risata piena di orgoglio e soddisfazioni e di tutta una vita di mancanze. La risata è forte e lo fa tremare, ma Phil non vanta carni o cartilagini su cui fare affidamento. Così i suoi forti e allegri tremori smuovono l’intero filo e Phil si vede oscillare; fino a quando non capisce che è la fine, che quella che vede avvicinarsi è la sabbia, mischiata al sudore dell’Uomo più Forte del Mondo e ad urina di cavalli. Phil è un cumulo d’ossa sul terreno e chi li ritrova non può che essere triste e si rimprovera perché le uniche cose che riesce a pensare sono “gliel’avevo detto” ma non si permetterebbe mai di lasciare albergare quelle parole nella sua testa.
Povero, povero Phil… Romantica l’idea dello scheletro che sogna di fare il trapezista (carino e indovinato anche il paragone col pupazzo di neve di Frozen). Evocativo il titolo. Finale un po triste… Inseguire i propri sogni oltre le proprie possibilità può avere conseguenze drammatiche… Triste ma vero! Complimenti. Approfitto per chiederti un parere sul mio “La Torretta di Guardia”
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Ciao Carolina, la metafora è chiara legandola al titolo del racconto. Il dramma di Phil è di nutrire dei desideri per svolgere un’attività o per raggiungere i propri sogni ma in lui già vi sono i segni dell’insuccesso. Nonostante i consigli di chi gli sta attorno nella vita, nel circo sono i trapezisti e il titolare, prova ma non raggiunge gli scopi. Ciò che pesa è vedere il successo degli altri. e questa società scoraggia il singolo e lo schiaccia rinfacciandogli il fallimento. Ben riuscito.
Emanuele