Premio Racconti nella Rete 2015 “Nina e Teresa, una partenza” di Adelisa Corbetta
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015“Nina, l’è pruntu da mangia, u l’è in scia toa”.
“Un momento, Teresa, non posso lasciare tutto in questo modo”.
E poi silenzio. Sempre così: lei preparava e la sorella non arrivava; mai una volta che cominciassero a mangiare insieme: una era al primo e l’altra al secondo, una alla pietanza e Nina alla frutta.
L’artista non era mai pronta: di un tubetto non c’era più il tappo, una campitura era da finire, il cavalletto da coprire, sempre così, sempre qualcosa da fare.
“Alua, ti vegni ?“
“Vengo, vengo, lasciami ultimare questo lavoretto”.
Nina non parlava mai in dialetto. Le cadenze, quelle sì, le aveva, ma usare il genovese proprio no, specie con i suoi clienti o nei negozi del posto, quando comprava cose per il gatto o in pasticceria.
Se ne era chiesta il perchè e si era data una risposta: lei aveva vissuto a Vienna, era stata moglie di un noto fotografo, aveva frequentato l’Accademia di Brera e tanti caffè, aveva esposto all’estero.
E poi il suo aspetto: occhi azzurri, capelli biondi, naso all’insù: un tipo un po’ nordico cui il dialetto non si addiceva. Lì al paese, poi, la gente sbirciava da sotto i purteletti delle persiane e bisognava darsi un tono.
Aveva pensato anche al proprio nome di battesimo: Pierina era diventato Nina, la pittrice del posto conosciuta e stimata. Adesso si trovava bene lì, dove viveva da quando, trent’anni prima, si era separata dal marito.
“Eccomi, Teresa, abbi pazienza, ma a volte non si può lasciare tutto così, di punto in bianco. Tutto bene stamattina?
La mattinata era stata sul normale: Teresa era andata alla posta, aveva ritirato la pensione e poi era andata a fare compere. Uscita dal panettiere aveva incontrato la Gnese che quel giorno faceva il pesto e gliene aveva messo voglia. Dal macellaio per le frattaglie del gatto non era passata: quella spesa la faceva sua sorella che era diventata amica di Gustavo: tanto aveva fatto che lui le aveva affidato la commissione di un acquerello che adesso teneva appeso dietro alla cassa: una mucca che beveva a una fonte di montagna.
Non c’era casa o negozio o locale che non esponesse un suo quadro: olio o acquerello, la pittura dei signori che non sporcava, come diceva lei.
Nina era conosciuta per i suoi paesaggi, ma soprettutto per i fiori: mimosa, ginestre, azalee all’infinito; grandi, medie, in composizioni.
Spesso diceva a Teresa: quando morirò mi porteranno un’azalea sulla tomba.
Teresa non ci pensava: forse sarebbe morta per prima, anche se di poco più giovane; così le rispondeva che a lei avrebbero portato un piatto di trofie con fagiolini e patate.
Teresa amava cucinare, stare in casa, vedere un po’ di gente tutti i giorni, anche la solita.
A volte incontrava gli antichi compagni di lavoro, quelli del retificio. Riceveva notizie, ascoltava due ceti.
I pettegolezzi giravano, ma lei alle cattiverie in genere non dava retta.
Quando le ascoltava, poi ci ripensava; ma a furia di pensare, l’umore le si guastava: doveva chiudersi in cucina, ascoltare un po’ di opera e preparare qualcosa per quella senza testa di sua sorella.
D’estate stava attenta alle finestre della sala: col caldo del pomeriggio quella gramigna della Gnese, che le abitava proprio di fronte e non aveva più niente da fare dopo la morte del buon’ anima, le guardava in casa; niente di grave, ma essere vista di nascosto le dava ai nervi.
Spalancava brusca vetri e persiane, tirava la tenda di filet e ci si sedeva dietro a lavorare al tombolo: ti vedo non ti vedo e così la sistemava.
Dal davanzale le arrivava odore di basilico e dalla via, gran vociare: tanti turisti.
Quando era ragazza le dicevano di non andare alla spiaggia di sabato e domenica: arrivava gente e non avrebbe trovato posto.
Più guardava giù e meno capiva tutto quel movimento: scendevano a gruppi, riempivano i panifici, stracciavano carte e focaccia lungo i marciapiedi, si bruciavano al sole e ripartivano. Spostava spilli e fuselli e intanto pensava…Se fosse cresciuta e vissuta in città, forse anche lei non avrebbe visto l’ora di prendere un treno, fare un bagno, mangiare focaccia e portarsi a casa la pelle un po’ dolorante, come una promessa d’abbronzatura.
Da qualche anno, ai primi di luglio, arrivavano da Canavese Emma e suo marito Giovanni: lei poco più di una ragazza, lui un giovane medico. Si stabilivano sulle colline di Sori, nelle stanze di una grande casa dove lei era nata.
Quando Nina aveva conosciuto Emma, la coppia aveva acquistato un quadro da lei, le era piaciuta subito e aveva preso a dirle: “Se ti piace dipingere…vorrei proprio lasciare un’allieva come si deve”.
A Emma piaceva tutto: la pittura, la pittrice e anche imparare, ma l’immalinconiva l’idea dell’eredità artistica.
Quando i giovani arrivavano a casa delle sorelle, le due donne non stavano più nella pelle dall’agitazione: “Sun arivè,gh’é anche u maiu”. Qualche saluto di rito e poi sparivano: Teresa in cucina ai fornelli, Nina nello studio a tirare fuori da un armadio a muro gli acquerelli recenti. Una prendeva il servizio Ginori e metteva pastafrolle su un vassoietto; l’altra cominciava a esibire ogni suo paesaggio: uno fatto in via Magnasco, alla curva della strada, dove c’é quel grandissimo pino che se non prendono provvedimenti potrebbe abbattersi, ma é bello come quelli di Cézanne. Dal vero. Poi un altro: la casa vicino, ancora en plein air, l’albero era lo stesso. Poi la strada nell’altra direzione, ancora con il pino inclinato, tutto dal vero, sempre sotto il sole, con il cappello come unica protezione.
“Ma per piacere! Sai che martirio! Il pino l’avrai fatto una volta e poi variato. Si cambia la visuale anche stando a casa!” diceva Teresa.
Giovanni stava sul neutrale: “Che belle macchie di colore!”
“Dottore, come mi trova? Alla mia età, guardi un po’: dritta, spedita, infilo l’ago senza occhiali, tocchi un po’ che muscoli, andavo in cordata, sa? Quelle della mia età, qui, vanno tutte col bastone e d’inverno sembrano lucertole al sole, giù sulla spiaggia per i reumatismi. Gagliarde come me…non ce ne sono!”
Teresa taceva, conosceva sua sorella e sapeva prenderla per il verso giusto. All’occorrenza, solo lei, in gran segreto, le asciugava le lacrime quando Leo, il gatto, scappava per gli amori di stagione: Nina piangeva,sia per gelosia che per timore che scappasse.
Certi discorsi non toccavano Emma: le importava soprattutto imparare.
“Quando dipingi, l’acqua deve essere sempre pulita, adesso te la cambio; vieni ” diceva Nina. ” Guarda un po’ quest’ometto come l’hanno fatto!” E le mostrava il poster di un acquerello di Klee, appeso vicino all’acquaio. Nina rideva, fuori di sè, di fronte all’incapacità di quel pittore alla moda, così lo chiamava, chiedendo l’assenso di Emma che sorrideva e cambiava discorso.
Teresa intratteneva Giovanni:” Mia sorella patita per le bellezze della natura; guardi quanti libri. Quando piove e non esce passa il tempo guardando queste grandi foto.
L’inverno è stato discreto: tanta pioggia, scirocco, mareggiate, ma per fortuna niente freddo; per me è micidiale: mi congela anche l’anima.
La vita qui è sempre la stessa, stessi problemi, stesse persone; a volte penso che non mi dispiacerebbe un viaggetto, non tanto lungo,. Io sono piuttosto abitudinaria, mia sorella no, un cambiamento le farebbe bene e sarebbe uno stimolo. Ma se ci penso, sono in pensiero: ha la pressione alta e le emozioni per lei non sono il massimo; dirle una cosa così non so che effetto le farebbe: il cuore non è quello di una volta, qualche aritmia ce l’ha. E poi c’è il gatto: dovrei parlare con la Gnese che lo venisse a curare…non mi è una gran simpatica”.
A tutto pensò Giovanni. Meta: la Provenza, patria di Cèzanne.Dal quattro al sette settembre: giovedì, venerdì, sabato e domenica. Non troppo caldo, nè troppo fresco, niente alta montagna, viaggio di gruppo. Per la Nina quindici gocce di Coramina e un Tavor per dormire. Per Leone, la Gnese due volte al giorno; certo bisognava darle le chiavi.
A Teresa la questione della Gnese mandava la mosca al naso: darle carta bianca così e proprio su quello che avrebbe sempre desiderato: curiosare. La sua cucina, le ricette, i punti del tombolo con tutte le descrizioni, le statuine di Capodimonte…E se rubava qualcosa? Se fosse andata in giro a dire male ? Mica tutto era a puntino: due cuscini a punto croce il gatto li aveva ridotti come spugne naturali, la tenda di filet era bucata, il quadro della madonna di Pompei aveva perso la doratura, i piatti d’argento nella credenza, quelli poi, col salino, non c’era mai stato verso, chissà i suoi se mai ne avesse avuto…e il tronchetto della felicità? un giorno le aveva detto che arrivava al soffitto. Cose gh’ea vegniu in mente!
La Nina tutti questi discorsi non li capiva, per lei la Gnese era insignificante. L’avrebbe stupita con un progetto che aveva in mente e le sarebbe venuta bene per farsi pubblicità. L’idea del viaggio era straordinaria, la Provenza l’attirava come una scatola di acquerelli godet in una vetrina di belle arti.
Fuori di sè per l’eccitazione si ricordò che era lunedì, giorno di mercato. Cominciò la cura la mattina stessa e indossò il vestito più bello: lungo, nero, con un fiore in diagonale, dall’orlo alla spalla. Mise qualche gioiello e uscì di corsa, verso la fermata della corriera.
In cucina, Teresa non si era accorta di niente; aveva preparato una tazza di caffelatte.
Per la Provenza doveva un po’ dimagrire, ci mise meno zucchero. Masticava il pane come i suoi pensieri; qualcosa doveva inventare.
Alla fine: “ Ghe semu!” e si alzò di scatto. Prese una borsa un po’ grande, si diede una pettinata veloce e uscì. Per prima cosa avrebbe comprato il pane: dietro il suo negozio Antonio teneva del materiale; ci si arrivava facendo qualche metro di un vicoletto umido e freddo. C’era entrata una volta per tirarsi su una calza e aveva visto degli scatoloni vuoti di biscotti Galbusera, di giusto formato per il suo scopo. Il problema era farseli dare: non era questione di prenderne uno; tre o quattro ce ne volevano. Mentre andava prese un’altra decisione: a chiunque avesse incontrato avrebbe detto del viaggio.
Aspettando il suo turno dal panettiere, si preparava il discorso nella mente,, ma ormai era sicura, avrebbe parlato con calma.
“Bungiurnu, Anto, trei panetti a librettu, trei etti de fugassa normale”.
“Eccu Teresa. Tuttu ben?”
“Grassie, pe piaxei, Anto, ho besoegnu de quattru scatue, anemu in Pruvensa e devu lascia tuttu a postu”.
Antonio sparì come un lampo e tornò con le scatole sottobraccio. Perfette!
“Arrivederci”
E ora, al prossimo incontro: la Madda del retificio, meglio non evitarla.
“Buongiorno Teresa, quanta fretta!”
“Eh, corro: andiamo in Provenza e devo ancora mettere le maglie in naftalina”
“Che avvenimento!”
“Gli avvenimenti son belli perchè son pochi!”
E avanti verso casa, oh ecco Fortunato.
“Ciao Fortunin, ti trovo bene!”
“Ciao, Tere, non t’ho più vista…”
“Eh, ho da fare: in settembre andiamo in Francia, ti porterò una bottiglia di anisetta, quella che fa diventare l’acqua bianca nel bicchiere”.
“Grazie, non ti scordare”.
Al mercato, intanto, Nina girava da un banco all’altro: cercava un telo grande, ma veramente grande, per coprire quattro cavalletti. Aveva visto soltanto stoffe da sdraio, lunghe e strette e della cotonina a fiori. Però voleva una tinta unita.
Nel frattempo s’era fatto un gran caldo, scelse delle lenzuola matrimoniali gialle, due le comprò e uno lo ordinò.
Alle due passate le sorelle si incontrarono sulle scale di casa; una aveva tanto sudato che la camicetta era diventata trasparente, l’altra aveva il rossetto sparso sul labbro e il cappello di lato. Buttarono tutto sul tavolo.
Teresa chiuse le persiane e tirò veloce la tenda. Disse che avrebbe pranzato più tardi: pomodori, formaggio sardo e niente focaccia, troppo unta.
Andò a coricarsi.
Nina si era lasciata cadere sul sofà; si addormentò col cappello sugli occhi. Si ritrovarono a cena: “Cos’è questa storia? Pomodori e formaggio a pranzo, uova e insalata la sera, non abbiamo mai cenato così. Cosa ti prende, Teresa?”
“Niente mi prende, è un viaggio di gruppo, tanta gente, potremmo fare una dieta, specie io, rendermi un po’ più elegante”.
“Teresa, niente sacrifici, hai fattezze mediterranee e basta, pensa piuttosto a un bel cappello e a qualcosa di nuovo”.
“Hai ragione, mi sto affannando troppo”
“C’è che non mi sento tranquilla a lasciare la casa com’è. Chi entrerà vorrà togliersi tutte le curiosità, sai di chi parlo. Nasconderò tutto quello che mi preme. Sarà una fatica, d’altronde…si fa tutto per il gatto”.
“Ti capisco; figurati che mi sono fatta dei pensieri sulle persone di qui. Potrebbero chiedere alla Gnese com’è la nostra casa. Da noi non viene mai nessuno e la curiosità è normale. Mi è venuta l’idea di esporre nello studio i miei acquerelli. Lei li vedrà, ne parlerà, magari ci scappa qualche cliente.
Quando torneremo ci faremo una bella festa e inviteremo un po’ di gente. E’ in settembre che cade il tuo onomastico e anche il tuo compleanno, finiranno i lavori per l’ascensore: faremo l’inaugurazione. Si starà in allegria; senza timori, non avremo nessuno di cui preoccuparci”.
Lavorarono tutto il pomeriggio. Teresa cominciò dalle statuine: sul fondo di una scatola mise uno strato di ovatta e ce ne dispose cinque, altra bambagia e così via. Chiuse e sigillò.
Passò alle annate di “Magnifico filet”; le legò a blocchi di sei e riempì altre due scatole che collocò sotto il letto. Alla terza destinò il balun del tombolo, completo di spilli, fuselli e cartoni dei lavori. Lasciò fuori il treppiede per metterci sopra una grande aralia. Lo mise vicino alla finestra, a coprire la tenda di pizzo, annodata di lato, dove il gatto aveva fatto un buco.
Per l’ultima scatola aspettò: ci voleva pensare. Si fermò un attimo e si sedette. Perchè indaffararsi tanto?
Andò in camera da letto, tolse il ritratto dell’antico fidanzato ed espose una foto di lei e Nina al mare, giovani bagnanti, al centro del comò; accanto, due pesci di vetro rosso e una bomboniera d’argento.
Ritirò dal comodino le medicine della sera e due settimane enigmistiche impolverate, ci lasciò i Canti del Leopardi e ” Favole al telefono”. Così completò l’ultima scatola.
La camera era più spaziosa; terminò con delle ortensie di stoffa, legate con un nastro e posate sulla petineuse.
Aveva finito, andò a chiamare Nina.
Si trovò di fronte una parete gialla lunga tre lenzuola: quattro cavalletti accostati coperti con teli colorati, perfettamente tesi.
“E ora cosa ti è girato?”
“Mi è girato…di allestire una personale in casa nostra”.
Sul pavimento, un po’ sparsi, un po’ impilati, Teresa osservava gli acquerelli della sorella; quanti ne aveva fatti!
Nina saliva e scendeva dalla scaletta, prendeva un foglio, lo fissava con gli spilli al lenzuolo, tornava giù, guardava l’effetto, ne sceglieva un altro, risaliva.
“Che ne dici, Teresa, certo bisognerà vederli nell’insieme. Di’ qualcosa!”
“Diavolo di donna che sei! Ne parleranno tutti, vorranno vedere, magari comprare…”
“Chi sa mai…”
La sera commentarono ancora il lavoro: si compiacevano, si complimentavano, si concedevano il meritato riposo.
La casa era accogliente, le stanze ordinate, lo studio inappuntabile. La stanchezza le vinse.
Teresa appoggiò la testa sulla spalla vicina e ascoltò la sorella.
“Sai cosa mi ha detto una volta Emma? Secondo sua zia, gli imprevisti, gli ospiti curiosi, la benedizione delle case …sono situazioni che danno da fare, ma poi si è contenti e dovremmo ringraziare i visitatori. Sei soddisfatta, Teresa?”
Ma la sorella non rispose: Morfeo l’aveva rapita.
Ciao Adelisa, sono contento di non essermi persa la lettura di questo racconto delle due sorelle anziane che vivono in un paese di provincia (penso sia di Genova) e la loro vita è rivolta a concedersi le opportunità legittime dell’età. Sono due grandi protagoniste della vita, nel loro rapporto e nelle relazioni con i compaesani, anch’essi presenze ben definite. Il tuo stile è fatto di scioltezza nel parlare dei sentimenti, delle amicizie sincere e, perché no, del modo di difendersi dal pettegolezzo, usando parole semplici, tanti acquarelli della vita di provincia, delle aspettative e delle considerazioni di chi giunge al capolinea dell’esistenza terrena. In bocca al lupo.
Emanuele
Sembra il finale di una storia più lunga, ricca di contrasti e magari qualche scontro tra le due sorelle, che finalmente ritrovano l’armonia imparando ad accettare il fatto di essere così diverse. E’ interessante, con la giusta costruzione potrebbe venirne fuori un buon romanzo di formazione.
Adelisa Corbetta
Grazie, grazie Emanuele. Il borgo non nominato é Camogli, che mi piace molto più nel ricordo, con la sua gente, di come è adesso, essendoci nata. Auguri e complimenti per te.
Adelisa Corbetta
ciao Iuri, mi hai colpito. Nella mia mente non è il finale, ma l’inizio di un romanzo, storia di due sorelle in eterno e affettuoso contrasto, due aspetti di me che convivono e si scontrano. Questi pareri mi toccano molto. Fosse solo per questi…è bello partecipare.