Premio Racconti nella Rete 2015 “La Famiglia Reale” di Daniele Miglietti
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Bonaiuti – dico, e il citofono emette un rumore di trasmissione. Il cancello, con un sussulto titubante, meccanico, si apre.
Parcheggio la macchina sotto un albero di limone. L’aria è appiccicosa, il caldo inclemente; è il primo martedì di agosto. Sono le nove del mattino: nel pomeriggio mancherà l’aria.
Il pianoro adibito a parcheggio è collegato al casolare da un vialetto, lungo il quale sono stati piantati dei nasturzi.
Sulla porta d’ingresso, in un’uniforme écru, leggera come il sussurrare di una monaca, c’è un’infermiera. Mi riconosce. – Si accomodi nel patio. – dice. – Stanno preparando sua madre. Tra poco la porteranno giù.
Mi siedo all’ombra su una poltrona di legno, di quelle da giardino, su cuscini grigi macchiati dal vento. Mi accendo una sigaretta.
– Signora, guardi chi c’è. Suo figlio!
Mi giro e vedo l’infermiera che spinge la vecchia su una carrozzina. Mia madre ha le braccia piene di graffi.
– È contenta? – le chiede l’infermiera.
La vecchia mi guarda col suo solito sguardo sprezzante. – Chi sei? – chiede. – Sono Giovanni, mamma. Mi riconosci?
Mia madre non risponde, si ficca un indice in bocca e prende a tormentarsi un dente.
Guardo l’infermiera – Cos’ha alle braccia?
– Si gratta in continuazione. Le abbiamo dato delle gocce ma non smette.
– Va bene – dico. –Vada pure.
L’infermiera rientra. Guardo mia madre. – Vuoi una sigaretta? – le chiedo.
– Si! – urla.
Accendo una sigaretta, e la metto tra le sue labbra, secche e ferite.
– Chi sei? – mi chiede, ancora.
– Sono Giovanni, mamma.
– Dov’è Mattia? – Mattia è mio fratello.
– Non è potuto venire. Vive in Norvegia adesso. Ti abbraccia forte.
– E perché non è venuto? – inizia a grattarsi.
– Non grattarti, mamma – le scosto le braccia dal corpo. Sono ostinate, forti come rami di pino.
La guardo buttarsi la cenere addosso. Quando vedo che la sigaretta è giunta al termine le dico che è finita, gliela sfilo dalle dita e la getto per terra.
Chissà cosa pensa, chissà se sa dove si trova.
– Ti piace qui? – le chiedo.
– No, – urla – Non mi piace!
Ormai ho smesso di sentirmi in colpa per averla abbandonata in questo posto. È stata la scelta migliore. Ormai è vecchia; non sa chi è, non serve più a niente. E poi ha sempre preferito Mattia.
– Sai, hanno messo tutti i comunisti nei campi di concentramento – le dico –Sei contenta?
– E perché dovrei essere contenta? – dice, risentita. Sono sorpreso, proprio lei.
– Non so, pensavo ti avrebbe reso contenta saperlo.
Non so se continuare. La guardo negli occhi vuoti, quegli occhi d’anguilla, e sblocco i freni della carrozzina.
– Portami all’ombra!
– Un attimo, mamma. Facciamo una passeggiata.
Le ombre si accorciano piano, mentre le cavolaie ci avvolgono in un volo fragile.
Mia madre tace, anchilosata sulla carrozzina che si blocca a ogni sasso sporgente.
– Sai mamma, – le dico – Qui è così bello, c’è calma. Lì fuori non è così. Hanno di nuovo instaurato la monarchia. Hai sentito?
Mia madre non ascolta, è impegnata a martoriarsi l’ultimo dente superstite.
– Devi stare attenta, – continuo – Devi far vedere che sei felice, altrimenti ci fucilano. Mi stai ascoltando?
– Si, ti ascolto – grida.
– Allora urla, mamma. Prima che ci vengano a prendere. Grida, Viva il re!
–Viva il re! Viva il re! – schiamazza.
– Metti la terza, – le dico – Accelera, mamma.
–Bruuuum – fa lei.
Spingo la carrozzina con più forza, più veloce. Poi mi accorgo che si è addormentata. Mi fermo e la tocco. – Ma che fai? Ti addormenti alla guida? – l’apostrofo. – No, no! – dice lei.
– Sai dobbiamo fare molta attenzione, – le dico – Hanno fucilato anche Pavarotti. E con lui Pippo Baudo e Vianello. Si erano opposti alla monarchia. Avevano fondato un’organizzazione sovversiva, per combattere il re. “I Nuovi Carbonai”, così si facevano chiamare.
Mia madre annuisce, appena sorridente.
– Ma non ti ho detto tutto, – continuo – Il nuovo re è quello che faceva l’ispettore Derrick. Ricordi? Ti piaceva tanto.
– Su Rai due – conferma.
Suona il cellulare. Parcheggio mia madre sotto un albero, come quei carrelli abbandonati in periferia, e vado a rispondere. È Mattia.
– Sono da mamma – dico.
Dall’altro capo del telefono giunge una risata. – Sei dalla vecchia fascista? Le stai raccontando le tue solite stronzate? Le stai facendo credere che sono arrivati gli alieni?
– Una specie, sì – rispondo.
Mio fratello ride. – Perché continui ad andare da lei? Solo per raccontarle queste fregnacce?
– Può darsi. Anche tu dovresti venire ogni tanto. Le ho raccontato che sei in Norvegia.
– Hai fatto bene, – dice. –Dille che sono al Polo, anzi, dille che sono morto. Non ho intenzione di sprecare un minuto in quell’ospizio del cazzo. Puzza di piscio.
– Va bene – dico – Ora scusa ma mamma si sta cavando l’ultimo dente che l’è rimasto – riattacco.
Ritorno dalla vecchia e le scosto le mani dalla bocca. La riporto nel patio.
Accendo due sigarette, una per me e una per lei. Gliela piazzo sulla lingua, così almeno la smette di torturarsi.
M’incolla gli occhi addosso, e per un attimo mi sento riconosciuto: acquisto identità. Nessuna differenza tra iride e pupilla, i suoi occhi sono pieni e neri
– Dov’è Ernesto? Quando viene a prendermi? – domanda. Ernesto era mio padre.
La guardo. Le prendo la testa tra le mani, la soppeso. E’ leggera, come quella di un uccellino.
– Devo dirti una cosa, mamma. Papà è in galera.
– In galera?
– Si, mamma. E’ in galera.
– E perché? – mi chiede. Sembra lucida, la bocca piegata come un’insegna zoppa.
– Sono venuto qui per questo, mamma. Mattia è morto, ti ho mentito. Non è in Norvegia. Papà gli ha sparato, con la Smith & Wesson. Ricordi la sua Smith?
– Si – risponde mia madre, per la prima volta in un sussurro.
– Quattro colpi, tutti in faccia. Sono stato io a trovarlo, nella casa del mare – mia madre inizia a tremare.
– Aveva la testa completamente spappolata.
– E perché l’ha fatto? – La sua voce trema, querula e sofferente.
– Perché ha scoperto che era gay. Io lo sapevo da sempre, ma non ne ho fatto cenno. Volevo evitare la tragedia.
La vecchia inizia a grattarsi. Le sue unghie lasciano scie di sangue, mordono come zecche impazzite.
– No… – sussurra. I suoi occhi, adesso così vigili, vivi, di nuovo giovani. Versano nuove lacrime su quelle guance incartapecorite.
– Si mamma. Nessuno verrà più a trovarti, mi dispiace.
Mia madre piange adesso, con le mani in bocca. La lingua che attacca il suo unico dente; le dita che lo assalgono, come fanti contro la torre nemica. La lascio fare.
E d’un tratto mi pare di sentirlo: un rumore netto. Mi porge la mano. – Tieni – dice in lacrime. Riversa nella mia mano il suo ultimo dente. Dal suo mento scende un sangue nero, che in gocce cade, macchiandole la maglietta di cotone.
Corro dentro, e in un attimo sono di nuovo fuori con l’infermiera. – Signora, ma perché l’ha fatto? – domanda a mia madre.
– Non si preoccupi. Ora ci pensiamo noi, – dice poi, rivolta a me. – Le daremo le gocce.
– Grazie. Io vado, mi faccia sapere.
Mentre risalgo il viale diretto alla macchina, sento mia madre rientrare nel casolare.
– Sono sola. Nessuno verrà più.
– Ma no signora. Ci siamo qui noi – risponde l’infermiera.
semplicemente perfetto
Fila come un orologio svizzero nella casa degli Usher
Davvero impressionante. Visivamente ed emotivamente coinvolgente. Mentre leggevo mi passavano per la testa le immagini di quello che accadeva come in un film… Personaggi delineati con grande maestria. Un bel racconto davvero. Complimenti. Se ti va ti invito alla lettura del mio “La Torretta di Guardia. Aspetto con ansia un tuo commento.
Non c’è una parola in più, né una in meno e i dialoghi sono azzeccatissimi. Complimenti!
Leggi e commenta, se ti va, i miei racconti:
http://www.raccontinellarete.it/?p=24270
http://www.raccontinellarete.it/?p=24686
Mi piace perché trovo belle espressioni, una tra tante:”Nessuna differenza tra iride e pupilla, i suoi occhi sono pieni e neri” quando parli del grado di attenzione. I dialoghi sono coinvolgenti e, nei passaggi “politici” sono puntuali e congrui alle ideologie di un tempo. Bravo Diego.
Emanuele
Si legge tutto d’un fiato. Mi è piaciuto moltissimo. Mi sono immedesimata nella vecchia, perché è il personaggio positivo. Il narratore è un meschino vendicativo, certo migliore di suo fratello…bello, Daniele.
Io ho scritto due favole, se ti va, leggile.
Arianna
Malinconico, comico, ironico, leggero. Che dire? la vecchiaia vista da un punto di vista inusuale. Ottimo soggetto per cortometraggio. Bravo Daniele.
un capolavoro. come tutto ciò che Daniele scrive