Premio Racconti nella Rete 2015 “La non storia di Luna” di Celeste Bittoni
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Quella volta non riuscì a far finta di nulla; non aveva più il controllo degli arti, delle sue azioni ed un piatto stava per partirle di mano dritto in faccia al padre. Era sempre stata una ragazza tranquilla, aveva costantemente dato priorità alle parole suggeritegli dal raziocinio piuttosto che agli istinti animali del corpo o ai capricci del suo ego rimasto bambino, ma quel giorno, quel giorno fu diverso, qualcosa dentro di lei, una parte nascosta e sconosciuta prese il sopravvento; trattenne il respiro, terminò il pranzo e scappò. Nessuno le disse nulla, era già capitato che Luna avesse bisogno di tempo da sola per metabolizzare problemi di cui sentiva il dovere di non scaricare il peso sugli altri, ma questo… questo era molto di più. Una principessa è costretta ad indossare stretti corpetti e truccarsi di una falsa espressione austera ed impenetrabile di fronte a chiunque, ma fortunatamente per le nostre contemporanee, ai giorni nostri le principesse non esistono… eppure non tutti i volti si possono permettere di lasciar trasparire ciò che si annida dentro un animo tormentato. Luna uscì di casa e si rifugiò nell’unico posto in cui poteva sentirsi al sicuro, in cui poteva riuscire a non sentire altro che la sua musica. Improvvisamente si ritrovò senza neanche accorgersene, come le succede nei suoi giorni grigi ma in cui il sole riscalda le guance, sdraiata su di un campo nel mezzo di un sentiero isolato dal paese. Non c’era nulla di speciale eppure con le lacrime agli occhi e lo stomaco carico di rabbia e rancore, valeva la pena di impiegare il tempo a fissare inerte un rovere di spine e bianche rose. Come ogni adolescente era piena di sogni, ma lei dovette vagliarli qualche anno prima durante l’età in cui tutti si aspettano che tu sia in grado di scegliere e fu allora che Luna, nel momento di scegliere la scuola, dovette tagliar fuori dalla sua vita passioni e ambizioni. Lentamente cominciò a chiudersi in sé stessa e a sacrificare ogni aspettativa, ogni desiderio. Non sopportava più sentire la mamma lamentarsi perché doveva pagarle le lezioni di violino o il babbo che scocciato le rispondeva male per portarla in centro. Alla fine ciò che contava era il diploma, una discreta armonia in casa e poter essere pronta ad affrontare il domani, pronta per il lavoro, per guadagnare, per una
famiglia, in caso per il divorzio. Ed infine pronta a morire. Giusto? In un mondo fatto di doveri scritti in grassetto e diritti a lato della pagina appuntati a lapis, le bambine affogano. Così lei era cresciuta presto, molto e forse troppo in fretta. Si alzò dall’erba e lasciò lì le maledizioni contro il tempo e il passato, rassegnata, e trascinò le gambe avanti e avanti e ancora, proseguendo per qualche metro ad occhi bassi. Le stesse distese di verde incorniciate dagli stessi arbusti, sedici anni in cui lei si era fatta carico di altri chili, centimetri e appesantita di insicurezze, risate, mentre la natura era rimasta impassibile, tranne per qualche sfumatura di colore o la lunghezza di qualche ramoscello, come se continuasse a morire e rinascere mese dopo mese, primavera dopo primavera. Assorta nei suoi pensieri, si trovò davanti Sissi. Sissi era una gatta dal pelo lungo bianco a tratti grigio che aveva ricevuto a tre anni come regalo di compleanno dalla zia e che morì dieci anni dopo. Non le sembrava possibile fosse lei, esistono così tanti gatti simili tra loro… eppure era proprio identica, aveva anche lo stesso collare col fiore azzurro in parte. La seguì come incantata, più per il desiderio di stringerla in braccio un’ultima volta che per curiosità e proprio nel momento in cui si chinò per accarezzarla, la gattina si dissolse nell’aria: ecco che il cielo cominciò a scurirsi, la terra a sgretolarsi ai piedi di Luna, il vento a soffiare forte, poi il buio totale; tutto quanto avvolto nel manto del nulla, mente compresa. Quando riprese coscienza, si ritrovò in una sorta di paradiso terreste, un arcadico luogo in cui la natura sembrava essere viva: gli alberi si lasciavano dondolare dal vento, ora ergendosi fino al cielo, ora piegandosi verso un torrente. Era l’ora che la luna cedesse il suo posto al vertice delle montagne al sole e i fiori cominciavano a svegliarsi, l’erba ad asciugarsi dalla rugiada che l’aveva bagnata durante l’umida notte. Il corpo di Luna non possedeva la stessa armoniosa bellezza di tutti quegli elementi: il viso era ancora scosso dalle lacrime come se queste si fossero seccate sulle guance lasciando un fastidioso segno di tristezza, il collo e gli stinchi insozzati di terra, gli occhi appannati come dopo un lungo sonno. Si avvicinò al torrente e vi si affacciò con cautela, come a chiedere permesso… quell’acqua così limpida e depurata rivelava più di uno specchio: come appuntati nella lista di un foglio erano lì, tutti i suoi rimpianti, erano lì tutti i suoi sogni… poteva vederli chiaramente, poteva capirsi e fare delle sue braccia le redini del suo corpo, senza nessuno che la condizionasse,
poteva riprendersi le sue scelte e modificarne la portata.
Si buttò in acqua, senza neanche pensarci, chiuse gli occhi e quando tornò in superficie davanti a sé apparve un enorme giardino, tanto perfetto che le sembrò di trovarsi dentro ad un quadro. Uscì dalla piscina nella quale stava galleggiando salendo una decina di scalini in marmo e sentì una voce chiamare il suo nome: era la madre, che dal balcone di una casa a tre piani le annunciava la colazione. Dovette percorrere sì e no 30 metri prima di riuscire a capacitarsi del tutto. Di corsa salì al secondo piano dove trovò anche il padre e la sorella minore, Diana. Tutti si misero a tavola senza fiatare e il padre, storpiò il naso: “Dove pensi di andare in queste condizioni? Ti sei forse scordata che oggi è Domenica e tra meno di due ore dovrai essere a teatro per le prove?” “Le prove?” rifletté Luna tra sé e sé, ma senza battere ciglio, perché troppo intimorita; poi indossò una maschera di palesemente falso stupore e si alzò con un cornetto in mano. “Luna cosa ti prende oggi?! Marmellata? Posa quella pasta e fila in camera a cambiarti che intanto ti preparo la macedonia!”. Stette agli ordini, stavolta realmente preoccupata e tentò di capire verso che direzione andare. Dopo una decina di porte aperte invano, trovò quella che decisamente doveva essere la sua stanza da letto. Tutto quanto era nero, grigio, di qualsiasi possibile sfumatura scura ma rigorosamente triste; faceva da contrasto giusto il vestito rosso porpora attaccato all’ armadio. Lo indossò, con annesse le ballerine in pandane con l’abito, non ebbe il coraggio di guardarsi allo specchio. Dopo quella sotto specie di colazione la mamma le traventò tra le mani un quaderno con una serie di spartiti da ripassare e borbottò qualcosa, poi le indicò il violino. Mio Dio cosa era quel violino. Semplicemente magnifico, di un marrone castagna, lucidissimo e con le corde perfettamente in tensione. Intuì il da farsi ed eccitata eseguì il suo compito. Così passò la mattinata, senza pause, senza freni. Arrivata a teatro si trovò attorniata da ragazze che sembravano fatte con lo stampino, tutte con lo stesso completo e i capelli raccolti a crocchia. Tutte si salutarono cordialmente, ma senza poi spiccicare parola per alcun motivo né durante né dopo le prove. Erano tutte così brave, precise… Luna passò dall’eccitazione allo sconforto subito dopo la metà del primo pezzo, poi
decise di seguire l’impegno delle compagne e si rimboccò le maniche. Ma come le persone avrebbero potuto apprezzare tutto ciò? Non era dolce melodia quella che liberavano le corde tirate di quei violini, era un suono meccanicizzato, certo perfetto, ma privo di vibrazioni… che musica è quella che non lascia spazio all’interpretazione? Che emozione può trasmettere una monotona perfezione? Luna tornò a casa, ebbe giusto il tempo di sfilarsi il vestito di dosso e calzare un paio di scarpe comode che subito dovette presentarsi a tavola per il pranzo. La mamma di Domenica era solita preparare cose strane, infilava carne, verdure crude o cotte di ogni tipo in una teglia ricoperta di pasta sfoglia e buttava tutto in forno, oppure si sbizzarriva con le paste… invece il menù giornaliero, quella Domenica fu completamente diverso, preparato da chissà chi e caratterizzato da salsine insipide, carni asciutte e porzioni scarse che potevano entrare giusto in un piatto quadrato fondo quanto mezza tazzina di caffè. Convinta di potersi consolare il pomeriggio, Luna cominciò a cercare il telefono per chiamare qualcuno con cui uscire. Cercava il suo amore, ma il suo amore non c’era. Non c’era nessuno. Diana le si avvicinò e Luna spaurita e con l’aria di chi in mezzo al deserto non sa dove cercare acqua, le chiese spiegazioni… Diana spiegò alla sorella che si era lasciata appena due settimane prima, o meglio, lui l’aveva lasciata… disse che lei tornò a casa neanche tanto scossa, sapeva che sarebbe accaduto prima poi, ribadiva il fatto che la sua carriera fosse comunque qualcosa a cui non poteva rinunciare dopo tutti i sacrifici fatti, gli sforzi, le notti passate insonne; praticamente Diana la stava dipingendo come un’arida ragazza sola. Luna si rese conto che tutta la sua passione e il suo amore in questo mondo non appartenevano alle amiche, le quali non riuscì a vedere né tanto meno qualcuna di loro scrisse, non appartenevano a Sissi che preferiva il letto della cameriera al suo, ma solamente a sé stessa, alle proprie ambizioni, alla propria immagine… non c’era posto neanche per il suo amore che nelle notti silenziose la portava via, in un materasso rovinato vicino ad un laghetto di casa solo per parlare e cercare la stella più vicina, quella meno impossibile da raggiungere. Riuscì a trovarlo solo in un sogno… sogno o incubo? È forse
possibile tornare a sperare in qualcosa che abbiamo fatto tanta fatica ad ottenere, che abbiamo coltivato, accarezzato la notte, tenuto stretto, custodito gelosamente… e poi lasciato, trascurato, dimenticato solo per averlo dato per scontato. Nulla è eterno e chi vuol vivere in sintonia con se stesso e col mondo a 16 anni deve saperlo, senza farsi troppe illusioni, ma quell’amore… Certo, Luna da ragazza cresciuta aveva imparato bene a diffidare dei “per sempre”, daele favole che iniziano con troppi fiori e cornici a lato della pagina, ma l’amore, quello reale è una trappola che pochi sciocchi riescono ad evitare. Esistono tanti tipi di amore: quello di due genitori che si preoccupano che tu riesca a svegliarti ogni mattina e ad avere ogni libro in cartella, quello di una sorella che per paura di disturbarti dopo pranzo temporeggia quando passa vicino camera tua, si ferma, entra ed esce due o tre volte dal bagno e poi forse se trova il coraggio di venire a chiederti “come va” per cercare di conquistarsi un abbraccio, o quello di un gatto opportunista, indifferente, che invece poi si affeziona secondo chissà quale suo aspetto istintivo, quello di un gruppo di amiche che non pretendono di sapere cosa tu stia facendo e perché, ma a cui interessa solamente di trovare nei tuoi occhi una sincera serenità… e poi quell’amore di un principe azzurro che riesce a smentire i migliori film della Disney per la semplicità con cui scopri di poter vivere con una persona, quella persona, non per tutta la vita ma per oggi e sicuramente anche per domani. C’è qualcosa che le ambizioni esasperate e disperate, gli oggetti, ma soprattutto le persone materialiste, disintegrano: è l’entusiasmo, il desiderio e il sapore agrodolce dell’attesa per le cose semplici. E così andiamo avanti, assaporando quei momenti che crediamo ci debbano appartenere, come fossero un nostro diritto, e guardiamo oltre, fino ad una villa con annessa piscina o ad un bel vestito. E una volta ottenuto tutto questo? Il prezzo da pagare quale sarà?
Ecco improvvisamente chiaro il perché di tutto quanto, ecco il perché dei desideri lasciati per strada rimpiazzati da progetti studiati accuratamente. Luna capì di essere molto più legata inconsciamente al suo lato sensibile che a quello razionale: tutta la sua vita e la scuola, i progetti, non erano
stati fatti in base al volere di una mamma e un papà assenti attaccati unilateralmente al proprio ego o volere, o al caso, o alla rinuncia di sé, tutto quando era avvenuto grazie all’intenzione di non perdere il calore umano di chi le stava intorno. Purtroppo abbiamo a disposizione 24 ore al giorno, 365 giorni, e non troppi anni di vita. I bambini son pieni di idee e fantasie, lo siamo stati tutti, ma col crescere è inevitabile una selezione di queste che ci porti a soddisfazioni e rimorsi. Luna rinunciando ad alcune delle sue aspirazioni se ne era create altre a lungo termine e che riuscissero ad incastrarsi con gli impegni scolastici, gli amori e delle monotone ma essenziali uscite con le amiche. Ci troviamo in un mondo in cui molte cose sono essenziali, poche quelle che realmente contano, ancora meno quelle degne di gratitudine. E allora, c’è chi si deprime e si ferma ancor prima di scendere in pista, rassegnato all’idea che non riuscirà mai a trovare una soddisfazione reale in questa vita, chi invece comincia a correre prima del countdown per continuare a correre a vita per superare gli altri quando invece persisterà eternamente soltanto ad inseguire se stesso, e chi infine invece farà la sua corsa, respirando con calma e giungendo al traguardo grondante di sudore ma soddisfatto, pronto a porsi un nuovo, piccolo obbiettivo. La mattina Luna, si risvegliò in quel posto idilliaco che aveva fatto da intermediario tra due mondi antitetici ma non era più l’alba là, il sole stava tramontando e il corso d’acqua stavolta era uno spettro di colori e riecheggiava suoni di ogni genere: stava a lei decidere cosa ne sarebbe stato della sua vita il mattino seguente.
Grazie Celeste! Mi rendi felice. Per così poco dirai? Si. L’unico ad aver mai letto i miei racconti è mio marito. E non gli piacciono… Non che me lo dica, certo, ma lo capisco da come rimanda il supplizio coniugale 🙂 🙂 🙂 Il tuo racconto mi ha riportato all’adolescenza.
Ciao Celeste, ci racconti della vicende di un’adolescente che vive le sue gioie e le sue pene senza che possa confidare paure e aspettative a papà e mamma e alla sorella. Ognuno è centrato sui suoi problemi e non ha tempo da dedicare a lei; con i dovuti distinguo può essere la storia di un giovane del nostro tempo, cioè al maschile. Il tempo passa e l’adolescente diventata adulta si trova ancora sola ma dovrà prendere in mano la sua vita. Toni drammatici consoni al tema trattato.
Emanuele