Premio Racconti nella Rete 2015 “Il maestro” di Gian Cosimo Grazzini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015
Il Maestro è nell’anima
e dentro all’anima per sempre resterà…
(Paolo Conte)
Mi ricordo che tanti anni fa mi raccontasti la leggenda indiana del riso.
Non ricordo se un maharaja o un dio, uno dei tanti del pantheon indù, voleva sposare una bellissima fanciulla, una principessa. Lei disse che avrebbe acconsentito alle nozze solo se chi voleva sposarla le avesse procurato un cibo che non le venisse mai a noia.
Il pretendente alla mano della principessa fece cercare per mare e per terra le migliori prelibatezze. Tutte le volte che le presentava alla fanciulla questa le assaggiava e ne restava estasiata, ma dopo qualche giorno quelle leccornie, ancorché squisite, gli venivano a noia, come le pernici al confessore di Enrico IV di Francia. Questo si ripeté per molte volte e il maharaja (o la divinità) non impiegò molto tempo a scoprire che il cibo richiesto dalla bella e astuta principessa non esisteva e a capire che era stato da lei preso in giro. Non c’è bisogno di essere un maharaja o un dio per capire che non esiste un cibo così! Fu preso allora da tremenda ira (sì, era un dio, non un maharaja) e per punizione trasformò la principessa in una piccola pianta destinata a crescere dentro le pozzanghere. Un altro dio, che aveva seguito tutta la vicenda, s’impietosì e dotò quella piantina di un dono prezioso: dei chicchi bianchi e gustosi che avrebbero sfamato milioni di persone. Così fu creato il riso.
Era una leggenda bella e poetica e non è l’unica che mi hai raccontato. Mi sembrava di amarti più per quello che mi raccontavi che per te stessa come persona. Ma ora mi accorgo che non è vero. E così, mentre seguo con gli occhi arrossati dal pianto il tuo feretro in questo piovoso pomeriggio autunnale, penso con sconforto a quanto mi manchi, a come farò ad andare avanti senza di te.
Forse mi avevi anche detto il nome della fanciulla e del dio, ma in questo momento non me li ricordo.
Non siamo in molti a seguire la tua bara, la giornata di pioggia, quel tuo strano credo, l’assenza del prete che qui è ancora un’istituzione, non hanno certo contribuito ad attirare folle al tuo funerale. Conosco quasi tutti quelli che insieme a me ti stanno accompagnando all’ultima dimora. C’è solo un signore molto distinto, alto, leggermente brizzolato con un lungo cappotto e una sciarpa di seta bianca, che non avevo mai visto prima: chissà chi sarà…
Sì, mi mancheranno le tue storie, le tue fantasie, le tue invenzioni; la sera tornare a casa da te era, anche dopo tanti anni, molto piacevole, sei riuscita a movimentare la mia, la nostra vita; con te era sempre pronta una sorpresa, non ci si poteva annoiare.
-Ti ho preparato un piatto speciale- mi dicevi – e poi ho da raccontarti una storia, una delle mie avventure…-
Eri piena di vita ed ora, secondo la tua “teosofia”, sei già in un altro corpo, mentre purtroppo per il mio agnosticismo sei ormai nel nulla. E poi che differenza fa che ora tu sia in un altro essere o no? Per me sei comunque scomparsa, non sei qui con me e non ci sarai mai più.
Il riso era una delle tue grandi passioni, in quanti modi diversi lo sapevi cucinare! Dalle ricette tradizionali di questa nostra terra a quelle più esotiche e strane.
Ecco vedo là il signor Armando, quello del negozio di specialità gastronomiche (Delikatessen le chiama lui…); eri sicuramente una delle sue clienti preferite. Ma quanto lo hai fatto dannare perché ti procurasse le qualità di riso e gli ingredienti più strani che provenivano da tutte le parti del mondo, ma soprattutto dall’India che amavi così tanto.
Ecco ora ricordo: la fanciulla si chiamava Retna, Retna Doumila
-Significa Felicità Luminosa – mi dicevi, o qualcosa del genere. Certo il bellissimo nome non le portò molta fortuna… e il suo innamorato era nientemeno che il dio Shiva, altro che un mortale maharaja! Eh sì! In tutte le religioni c’è un momento in cui un dio viene preso dall’ira, ed allora son dolori! Quello della Bibbia si arrabbiò, e non poco, con Adamo ed Eva e Shiva con la bellissima principessa; non a caso è nata l’espressione “ira di dio”.
I ricordi ora emergono più chiari, quanti momenti bellissimi abbiamo vissuto insieme! Anche se non ho mai condiviso le tue idee teosofiche devo però riconoscere che sei sempre stata tu a condurre il gioco nel nostro menage, e non solo nella cucina, ma anche più in generale nella vita. I libri che leggevi, le teorie, la filosofia di vita alla quale ti ispiravi sembravano darti una forza ed una serenità che io stentavo a trovare da solo; o forse quella forza l’avevi innata, comunque eri sempre tu il punto di riferimento.
Ed anche nell’intimità chi ha arricchito il nostro rapporto? Chi ha fatto in modo che il fiore e il frutto acerbo del nostro amore si trasformassero in un frutto maturo senza che perdesse la sua freschezza?
Sei tu che mi hai fatto apprezzare la filosofia orientale che non considera l’amore sensuale una pratica peccaminosa ma lo inserisce nobilitandolo nel mito e nel credo religioso.
Sì, eravamo molto diversi ma questo non ci ha impedito di avere un’intesa molto intensa.
Mi parlavi degli Aforismi dell’Amore e di Vatsyayana delle teorie teosofiche, quelle dell’Amante Unico, di questa specie di dio super-partes, e del tuo autore preferito quello che aveva quel nome difficilissimo Curuppumullage Jinarajadasa.
Ecco ora il signore sconosciuto si è avvicinato, ah! Sulla pettorina del cappotto ha il distintivo della Società Teosofica! Ora capisco: è un rappresentante del tuo credo, è come il prete ai funerali dei cattolici, ma molto più discreto. Quello che possedevi tu e che per tua volontà ora è nella bara sul tuo petto, è in argento, questo che lui porta all’occhiello sembra d’oro. Distinguo bene il cerchio formato dal serpente che racchiude i due triangoli equilateri rovesciati (Sigillo di Salomone o Stella di David) e la croce ansata, intravedo la scritta che da qui non riesco a leggere ma che so essere Satyat nasti paro dharmah , Non c’è religione superiore alla verità e poi in alto quelle tre lettere dell’alfabeto sanscrito e sotto… sotto la svastica, quella svastica che mi ricordo provocò più di una discussione tra noi. Io sostenevo che dopo gli avvenimenti tragici del ‘900 era come minimo di dubbio gusto quel simbolo di morte.
-Non è un simbolo di morte!- replicavi –anzi è un simbolo di prosperità e per i buddisti è un talismano, un portafortuna, e poi è usato in Oriente sin dai tempi più remoti e anche dalla nostra Società dalla fine dell’Ottocento; non possiamo toglierlo solo perché una banda di criminali l’ha adottato per una nefasta ideologia- ti accaloravi nel difendere il vostro emblema, ma io rimasi, e sono tuttora, perplesso.
Ma la tua trovata più originale, e che all’inizio mi sconcertò un po’, fu quella dell’amante virtuale.
-Di giorno, quando non ci sei, mi incontro con il mio amante virtuale…-
-In che senso virtuale?- chiesi poco convinto
-Virtuale perché non esiste, o meglio, per te non esiste perché tu sei un agnostico e ti affidi solo alla materia, ma per me che vivo anche di tante altre cose alle quali non solo tu non credi, ma che consideri come parto di menti non evolute, per me esiste e con lui vivo momenti di amore che poi mi piace rivivere con te. Con te in questa vita e che poi vivrò con altri quando passerò da questa ad un’altra reincarnazione-
Mi sembrò, e mi sembra ancora tutto così complicato, non sarebbe stato più semplice vivere questa unica vita che ci è data senza andare a cercare tante sovrastrutture?
Ma devo ammettere che il gioco era divertente, e che portavi anche nella nostra sfera amorosa il vento fresco della tua sensualità che si esprimeva con trovate sempre nuove e sorprendenti.
-Queste cose me le ha insegnate Ermes; lui è molto raffinato, ha delle mani così delicate, da pianista- dicevi quando io mi dimostravo stupito dalle tue eccitanti carezze, dalle tue tecniche sofisticate.
Ermes! Sì perché questo era il nome che tu davi al tuo amante virtuale.
-Riso del Maharaja di Benares, questa ricetta l’ho presa da Ermes, ti piace?- ed io, anche se con una punta di fastidio, gustavo la nuova prelibatezza che avevi preparato.
-L’ho imparato da Ermes, quello che per te non esiste e che invece dovresti ringraziare…-
Era un gioco sottile ed io ero sempre combattuto tra l’ammirazione e la gratitudine per quello che mi donavi in cucina come a letto e un sentimento di disagio per le tue parole, per quei tuoi così frequenti accenni a questo amante, a questo Ermes che, anche se virtuale, riusciva comunque a provocare in me un moto inconscio di gelosia.
Ma tu sapevi sempre come farmi sentire al centro delle tue attenzioni, ed io riuscivo a dimenticare, almeno per un po’, questo spesso invadente Ermes.
-Dottore condoglianze, è stata per tutti noi una gran perdita, ma lei deve farsi forza, la vita continua…-
È il signor Armando che si è fatto vicino e che mi ha rivolto queste parole di circostanza.
-Grazie Armando. Sì, è stato un duro colpo, ma devo reagire, e non solo per me ma anche per la memoria di lei-
-Non c’è tanta gente…, ma con questa giornata…-
-Eh sì, eppoi molti non avranno gradito l’assenza del parroco, ma queste erano le sue volontà…, ma mi tolga una curiosità, lei che conosce tutti, chi è quel signore distinto là con la sciarpa di seta bianca?-
-Ma come non lo conosce? E sì che abita nella sua stessa strada, in quella villetta con giardino al civico 37…-
-No, io non l’ho mai visto, e che cosa fa nella vita?-
-Niente, vive molto ritirato da quando ha lasciato le scene, ha una vecchia governante, è lei che viene a fare la spesa da me, lui non esce quasi mai. Anche lui è appassionato di specialità orientali, come la povera…-
-Ritirato dalle scene? Era un uomo di teatro?-
-Non precisamente, è un musicista, ma da oltre dieci anni non si esibisce più in pubblico-
-Musicista? Che genere di musicista?-
-Era un pianista abbastanza famoso-
-E come si chiama?-
-Torrenzi-
-Torrenzi? E di nome?-
-Ermes, maestro Ermes Torrenzi-