Premio Racconti nella Rete 2015 “Il reduce” di Enrico Camoletto
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Arroccata sulle colline nere e desertiche che dominavano le rovine, la città con i suoi palazzi cilindrici, violacei, quasi privi di finestre incombeva su di lui mentre usciva di casa. Agganciò il suo Board al tappeto magnetico della strada e con il suo I-Plat inserì l’indirizzo nel sistema. Il mezzo parti dolcemente fino a raggiungere gli ottanta chilometri orari. Il campo magnetico lo teneva incollato alla strada e questo gli permise di volgere intorno lo sguardo. Nel buio perenne che avvolgeva il globo la città antica era una distesa di rovine grigie, polverose ed evanescenti. L’unica luce che proveniva dalla pianura era quella dei fari di sorveglianza che sciabolavano nel buio sopra le dighe costruite in gran fretta per produrre l’indispensabile elettricità, ultima fonte di energia. La guerra mondiale si era risolta in una vittoria inutile e aveva sprofondato la Terra in una notte senza fine. Le città erano completamente morte. Al loro posto erano sorti complessi di palazzi cilindrici. La popolazione delle nuove città contava poche migliaia di persone, per la maggior parte militari ed ex militari. Le costruzioni erano tutte dipinte d’un viola scuro, allo scopo di contenere la dispersione termica.
Durante il tragitto l’ansia e l’emozione si mescolavano facendogli tremare le mani. Sentiva l’adrenalina pompargli il sangue alla testa, aveva la gola schiacciata delle arterie pulsanti, il respiro affannoso. Lo stomaco gli doleva.
In pochi minuti giunse all’indirizzo desiderato e il board si fermò. Sempre più ansioso “agganciò” il board al campo magnetico del palazzo e salì verso l’alto. Il sistema consentiva di salire lungo le pareti della costruzione senza protezioni poiché si era trattenuti sul board dalla forza magnetica. Giunto ad una piattaforma che si estendeva per qualche metro nel vuoto all’esterno della torre vi atterrò sopra. A piedi si avviò all’interno del pianerottolo sul quale si affacciavano le porte degli appartamenti. Trovò l’ingresso che cercava e “sparò” con l’infrarosso dell’I-Plat sul videocitofono. La porta rimase inerte. Puntò nuovamente il raggio e diede nuovamente invio. Ma non accadde nulla. A quel punto, quasi in preda al panico, suonò al videocitofono. Una luce si accese ad illuminargli il volto abbagliandolo. Una voce femminile gli chiese cosa desiderasse. Rispose che era li per partecipare al gioco. La voce spiegò cortesemente che se la porta non si era aperta significava che lui non era abilitato ad entrare. Doveva ben saperlo.
Insisto, mi sono iscritto attraverso il portale in rete. Mi avete riconosciuto i requisiti necessari per partecipare al gioco.
La prego…
Ho ricevuto la password sulla piattaforma multimediale!
Mi dispiace ma non possiamo farla entrare. Se ne vada.
Per favore, io devo partecipare al gioco!
Non insista. Si allontani immediatamente!
Sono un reduce… mormorò girando le spalle alla porta. In risposta ricevette lo scatto plastico del videocitofono che veniva riagganciato.
Affranto rimise piede sulla piattaforma e girò attorno al palazzo. Si portò davanti alle lunghe e strette vetrate dell’appartamento dove si sarebbe svolto il gioco. In un grande soggiorno dalle pareti arancioni, arredato con divani bassi color senape, moquette marroni e illuminato da applique dorate alle pareti, i partecipanti si stavano spogliando rivelando biancheria intima in pelle, latex e catene. Qua e là cinghie, catene, morsi e fruste.
Loro potranno farlo, pensò e guardando giù dalla piattaforma magnetica ebbe le vertigini per i ventitré piani d’altezza che lo separavano dal suolo. Si sporse, deciso a farla finita in un modo più rapido di quello offerto dai giochi di morte illegali, ma il campo magnetico lo respinse indietro mentre la piattaforma emise il classico allarme sonoro WRONG. Guardò di nuovo dentro la casa. Osservò quei vecchissimi eterni giovani apprestarsi ai loro giochi sessuali di morte senza gioia. I loro occhi opachi non brillavano della vitalità maliziosa del proibito e del piacere ma riflettevano il nero perenne del cielo mostrando l’ombra della pena profonda per una vita sterile senza la speranza di un futuro e senza l’orizzonte di una fine. Li osservò con invidia apprestarsi ad uccidersi a vicenda in un gioco illegale per sfuggire ad un mondo dove era vietato morire. Si accorsero di lui e i vetri si oscurarono mentre tende color bronzo lentamente si chiusero come un sipario a nascondere la scena di un delitto giustificato. Assolutamente naturale, pensò lui.
Non aveva altra alternativa che scendere a terra. L’occasione di porre fine alla propria frustrante, arida esistenza era sfumata. Nelle strade e nei luoghi pubblici tutto era monitorato da telecamere e sensori, chiunque avesse tentato di uccidere qualcuno o di togliersi la vita sarebbe stato bloccato. Solo in abitazioni private opportunamente “schermate” era possibile suicidarsi. Altrove guardie armate di sonniferi e pistole elettriche sarebbero sbucate come dal nulla a fermare ogni tentativo di violenza.
La vita era considerata sacra ad ogni livello, anche a quello più intimo e personale. Dopo la guerra, nonostante l’inutile vittoria, la popolazione era scesa a livelli bassissimi. Le vecchie città vennero abbandonate, perché troppo grandi e costose per l’esiguo numero di abitanti, in favore di nuovi agglomerati progettati sulla scorta delle avanzate tecnologie militari. Tutto era fondato sull’elettronica. Le sole fonti di energia disponibili erano quelle dei fiumi e delle maree. Ancorché inquinati e privi di vita i fiumi continuavano a scorrere e i mari continuavano a sollevarsi con le fasi lunari. Tutto questo perché il petrolio era stato mandato letteralmente in fumo durante la guerra. I giacimenti erano stati fatti saltare con le cariche atomiche per privare i rispettivi avversari delle fonti d energia. L’unico risultato ottenuto fu che un fumo perenne oscurò il cielo e il sole scomparve, l’aria divenne irrespirabile, interi brandelli di continenti bruciavano da anni. Si costruirono centrali elettriche nei pressi delle nuove piccole città per alimentarle. Si generarono campi magnetici attorno agli agglomerati per tenere lontani i miasmi degli idrocarburi combusti. L’aria all’interno veniva riciclata e depurata.
Giunto a terra abbandonò il proprio board sul marciapiede e si diresse verso il fiume. A piedi. Lungo l’argine correva il limite dei campi magnetici. Oltre c’era la città morta. Guardando quel mondo maledisse la guerra, che nonostante le armi intelligenti, i droni e i cybersoldati aveva sterminato la popolazione mondiale e maledisse la medicina che si era evoluta a tal punto da garantire una vita lunghissima ma sterile ai pochi vecchissimi sopravvissuti, costringendo gli esseri umani a vite buie e prive di senso. Per poter morire in pace qualcuno aveva avuto l’idea di suicidi di gruppo camuffati da giochi o aventi di vario genere che avrebbero fatto apparire il decesso dei partecipanti come un tragico incidente. Esistevano gruppi di persone che li organizzavano in rete. Ci si poteva iscrivere e se gli organizzatori riconoscevano all’aspirante i requisiti necessari si riceveva una password che consentiva di raggiungere ed accedere al luogo dove si sarebbe svolto il gioco.
Ma qualcosa nel suo caso non aveva funzionato. La password che gli avevano dato era sbagliata? Molto difficile. Fasulla? Probabile. Arrivò al fiume. Oltre il corso d’acqua, terminava il campo magnetico di sicurezza che teneva lontana l’aria mortale per il fumo dei pozzi. Oltre il fiume c’era la morte certa ma lui non poteva arrivarci perché bloccato da una barriera invisibile. Condannato ad attendere che gli scienziati trovassero il modo per ridare la fertilità al genere umano e ricominciare da capo a generare dei figli, lui come tutti era vivo solo da un punto di vista puramente biologico.
Istintivamente fece un passo in avanti andando a sbattere contro il muro invisibile del campo. Il sistema di sicurezza emise il solito segnale acustico wrong. Mentre l’allarme si spegneva rifece un passo in avanti e venne di nuovo ributtato indietro facendo scattare nuovamente il segnale wrong. Fece un passo ancora e ancora wrong. Sentiva le lacrime iniziare a colargli sulle guance. Un altro passo e ancora wrong. Chiuse gli occhi. Un passo e il wrong. Sentiva il volto bagnato contratto dal dolore. Un passo in avanti e wrong. Un altro ancora e wrong. Vide i fari di sorveglianza della diga sciabolare freneticamente nel buio alla ricerca della possibile minaccia, la luce bianca delle fotoelettriche si frantumava sui suoi occhi bagnati di lacrime come su una finestra bagnata dalla pioggia. Un passo e ancora wrong. In lontananza udì le sirene della polizia. Uno e wrong. Un altro e wrong. Wrong. Wrong.