Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2015 “Nuvole basse” di Giorgio Leone

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015

«vedo la gente morta… vanno in giro come persone normali…. non si vedono tra loro… vedono solo quello che vogliono vedere… non sanno di essere morti… »

(Dal film “Il sesto senso”)

 

Nel centro del paese – sempre che di centro si potesse parlare perché era un paese molto piccolo e privo di periferia – vicino al chiosco dei giornali c’era il tabellone di legno dove venivano esposti i necrologi e, in seconda battuta, i sentiti ringraziamenti dei parenti per le partecipazioni al lutto. Gli annunci erano simili fra loro perché il servizio di pompe funebri era unico e i clienti si affidavano inevitabilmente alla limitata fantasia del proprietario, il cui vertice letterario consisteva nella classica frase “non rattristiamoci di averlo perso(a), ma rallegriamoci di averlo(a) avuto(a)”. Gli annunci si susseguivano incessantemente nel tempo e, se qualcuno avesse voluto essere informato a proposito del tasso di mortalità della popolazione nei vari periodi dell’anno, non avrebbe dovuto fare altro che osservare la velocità di rotazione dei manifesti. Se i nuovi deceduti scarseggiavano, infatti, i vecchi annunzi restavano in bacheca anche per molto tempo, mentre nel caso contrario venivano velocemente sostituiti dalle new entry perché di spazio a disposizione ce n’era poco. E l’interessato avrebbe anche scoperto che la propensione ad abbandonare questa valle di lacrime, oltre ad essere ciclica nel corso dell’anno – Natale e ferragosto, ad esempio erano periodi parecchio gettonati – si differenziava nelle varie annate in dipendenza del ricambio generazionale. In quel momento, ad esempio, si era appena esaurita la prima infornata dei nati al termine della seconda guerra mondiale, che erano parecchi a causa del precedente lungo periodo di astinenza forzata durante il quale la morte l’aveva fatta da padrona rispetto alla vita. I sopravvissuti, però, non sarebbero a loro volta deceduti scaglionati nel tempo con ordine e regolarità, ma la maggioranza di essi avrebbe affollato la bacheca in occasione di una seconda ondata prevista fra una ventina d’anni. Chi passava di slancio i sessanta, infatti, per qualche misterioso motivo aveva buone probabilità di raggiungere gli ottanta. Una regola non senza eccezioni, come del resto tutte le regole, ma pur sempre abbastanza rispettata.

Nel corso della giornata davanti alla bacheca si alternavano i lettori, in maggioranza persone anziane, ma non solo. Tutti, prima ancora di accertarsi dell’identità del defunto e di dissertare della sua malattia fatale o della disgrazia che gli era capitata, accentravano invariabilmente l’attenzione sulla sua età. Se era sostanzialmente inferiore alla propria si congratulavano silenziosamente con se stessi mentre, se il deceduto era più anziano, si convincevano di avere ancora buone possibilità di durare nel tempo.

Un caso a parte erano le morti inattese di bambini, quasi sempre dovute a malattie fulminanti, e quelle di giovani, in genere attribuibili ad incidenti di moto o di auto. In questi casi gli astanti prima ammutolivano e poi commentavano a bassa voce l’assurdità e l’ingiustizia della vita o l’imperscrutabilità dei disegni divini.

Altre fattispecie abbastanza frequenti, per restare alle tipologie di un tranquillo paese del fondovalle ancora dedito all’agricoltura, erano rappresentate dagli infortuni fatali che avvenivano a causa dell’uso di attrezzi agricoli, dell’incauto attraversamento delle sbarre chiuse della ferrovia e di quelli dei pensionati che andavano per funghi nelle sovrastanti montagne e scivolavano sul sottobosco troppo viscido o troppo secco.

Quell’anno, tuttavia, avvenne qualcosa di veramente molto strano che sconvolse le regole e le consolidate consuetudini mortuarie prima esposte. Tutti, infatti, poterono osservare che gli annunci cambiavano sempre più lentamente sino ad essere sostanzialmente sempre gli stessi. Anzi, verso maggio, non ne restavano in bacheca che di vecchissimi, stampati su carta ormai ingiallita, strappata e rovinata dalle intemperie. Verso settembre, poi, anche se nessuno per scaramanzia lo diceva ad alta voce, tutti erano assolutamente consci del fatto che in paese, da moltissimi mesi, non si moriva più. Non morivano né i giovani né i vecchi e non c’era più stato neppure un frontale, un infartino, una polmonite virale, una meningite fulminante o una complicazione renale.

C’era anche un’ulteriore manifestazione inconsueta – anche se era impossibile reperirvi un nesso con la rarefazione dei funerali – ovvero lo stupendo tempo atmosferico che da circa sei mesi, in paese come in tutta Italia, non “mollava” provocando una situazione climatica anomala e persistente, tanto che nessuno guardava più le previsioni del tempo diventate noiose e ripetitive. L’anticiclone delle Azzorre, infatti, non si schiodava provocando un’altissima pressione stabile su tutto lo Stivale, anche se non mancava il risvolto negativo, ovvero una grave siccità che stava danneggiando seriamente l’agricoltura.

Poi, verso la fine di ottobre, il ciclo si invertì e iniziarono piogge torrenziali. I campi si allagarono, le strade si trasformarono in torrenti, i tombini saltarono, i muri iniziarono a trasudare acqua, quasi tutti gli scantinati si allagarono e ovunque ci furono frane e smottamenti.

Quel giorno ero in paese a trovare i miei genitori che non vedevo da circa tre mesi perché il lavoro in città mi aveva veramente assorbito. Per la verità sarei dovuto ripartire nel pomeriggio e avevo già messo la valigia nel bagagliaio dell’auto, ma poi mia madre mi aveva convinto a mettermi in viaggio la mattina successiva perché le notizie sulla viabilità erano preoccupanti. Ora, però, mentre i miei erano già andati a dormire, io non avevo ancora sonno e quindi, approfittando di una tregua concessa dalla pioggia, avevo deciso di andare a fare due passi fuori per prendere una boccata d’aria. Ma c’era qualcosa di strano. Anche se intorno il buio era assoluto, l’illuminazione pubblica permetteva di vedere che le strade erano immerse in una nebbia pesante e innaturale per via delle nuvole basse che sembravano come schiacciate per terra. La notte sembrava sospesa come se il creato fosse in attesa di qualche evento. Inoltre, pur essendo tardi, c’erano altre persone in giro a riprova che non ero l’unico a provare strane e indefinibili sensazioni. Poi incontrai il parroco, che mi conosceva sin da bambino, e facemmo insieme un tratto di strada sino alla lapide che commemorava i cittadini caduti nelle due guerre mondiali proprio nel momento in cui, dopo tanto tempo, una luna grande e rossastra appariva nella foschia sopra l’orizzonte. Ci sedemmo quindi sul bordo del monumento che grondava acqua e il parroco mi chiese cosa ne pensassi dello strano fenomeno che aveva portato la morte a trascurare del tutto gli abitanti del paese.

«Non ci ho pensato seriamente e non saprei cosa dirle» risposi «anche perché l’incontro con la morte è un fatto personale di ognuno di noi, tutti siamo diversi l’uno dall’altro e quindi non possiamo che incontrarla in tempi diversi. Se invece, per assurdo, la morte avesse una sua individualità e volontà, così come è stata spesso rappresentata nella letteratura o dal cinema, se insomma stessimo parlando della Morte con la “emme” maiuscola, solo allora potrebbe avere senso un suo comportamento razionale tendente a compiere il minimo sforzo per ottenere il massimo risultato. Così come fanno i predatori che, quando vanno a caccia, tendono a radunare il branco… » ma a questo punto mi interruppi perché il prete era visibilmente impallidito alla luce della luna.

«Mi stai dicendo» mi chiese «che la Morte potrebbe evitarsi la fatica di prendere un’anima qua e una là, una oggi e l’altra domani, se sapesse per certo di poterle prendere tutte insieme? Prima hai detto che l’incontro con il nostro destino finale è un fatto personale, ma cosa succederebbe, invece, se esso dovesse diventare, solo per una volta e per un particolare motivo, un incontro comune e istantaneo? Per un motivo particolare come ad esempio nel caso di… »

A quel punto tutti e due tacemmo e il nostro sguardo corse alle montagne che sovrastavano il paese e circondavano la valle che ora era un immenso lago perché alla sua imboccatura era stata costruita, fra mille polemiche e mille proteste, l’enorme diga che produceva energia elettrica per la metropoli lontana.

Quindi ci guardammo in faccia e stavamo per scattare in piedi per correre a suonare le campane avvertendo tutti del nostro terribile sospetto, quando si udì un frastuono come se stessero per arrivare cento treni, ci fu un lampo come quello di un fulmine, la luce elettrica mancò e nello stesso tempo dal nulla iniziò a soffiare un vento teso pazzesco che ruppe tutte le finestre, un vento di morte che portò polvere e sassi e oggetti di ogni genere e fece volare via le tegole dai tetti delle case sino a che la colonna d’acqua, più alta del campanile della chiesa, comparve all’orizzonte, oscurò la luna e il destino del paese e dei suoi abitanti si compì.

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2 commenti »

  1. Il racconto introduce la filosofia dei numeri, l’andamento della natalità e della mortalità: solo dati aridi delle statistiche. Segue il dialogo sulla Morte tra il parroco e un cittadino nei pressi del monumento dei caduti delle due guerre. “… la Morte potrebbe evitarsi la fatica di prendere un’anima qua e una là, una oggi e l’altra domani, se sapesse per certo di poterle prendere tutte insieme?” Infine porterà un’onda enorme di morte sul paese, preceduta dallo spostamento d’aria. Sarà’ l’ultima sera dei cittadini di Longarone. Era il 9 ottobre del 1963. Nel racconto c’è l’attesa della sciagura e fors’anche la rassegnazione. Ci sarà anche il tempo della rabbia.
    Emanuele

  2. Ptoprio così, anche se non è necessariamente Longarone. Ciao Emanuele

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