Premio Racconti nella Rete 2015 “La roulette dell’Inquietudine” di Matteo Ferazzoli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Alla fine ce l’ho fatta. Almeno in qualcosa, ho vinto io. Non è mica da tutti riuscire a buttare fuori il fumo dai polmoni e comandarlo, disegnando una moltitudine di cerchi e figure geometriche strane. Il dramma è che in quel fumo che sta nascendo dalle mie labbra, in quei lineamenti bianchi e grigi chiaro, sto vedendo tutti i miei spettri. Certo che è alto qui, eh. Soffro pure di vertigini, ma ‘sti cazzi, questa Tennent’s mi tiene per mano e mi fa coraggio. Guarda questi cerchietti grandi grandi che mi sono appena usciti, sembrano i diamanti verdi che ha Maya al posto degli occhi. Lo sai che ti amo ancora, sì? Che casino ‘sti rapporti umani. Quello che odio, che disprezzo, che detesto, è che non è vero che tutti quelli che si amano stanno insieme. Io sono un Gigante, in confronto a loro. Loro chi? Tutti quelli schiavi degli altri, della paura del futuro, del cambiamento. Di chi dice basta, ma poi è sempre lì a mangiare il biscottino, quando il padrone comanda. Io di padroni non ne ho mai avuti. Sono stato privilegiato, ho avuto una Musa che ha ispirato quasi tutti gli Istanti della vita. Cito Battisti và, lei era “il mio Canto Libero”. Ora ve lo posso pure confessare, semmai qualcuno leggerà i miei racconti, ogni ragazza di cui scrivo è Maya. Se leggerete mai il mio romanzo, Rebecca è lei. Anche descrivendo tutte le altre, ho sempre e solo pensato a lei.
Che bella ‘sta città dall’alto. E’ pur vero che di notte tutte sembrano belle, col nero spettrale ad incorniciare una moltitudine di luci. Chissà che staranno facendo i miei amici. Sì, ma quali? Ognuno si fa i cazzi suoi, in questo mondo egoista e privo di valori. Sì, anche questo odio della società. Nel senso che quando uno si annoia e non ha niente da fare, allora si sta tutti assieme; quando poi, la presenza degli altri diventa fondamental per cercare di uscire dai problemi, quelli che ti sorridevano e ti erano fratelli, neanche se ne accorgono che muori dentro e che sta arrivando la fine. Mi viene in mente pure Jim Morrison, forse perché collego sempre la parola “fine” a “The end” dei Doors. O forse perché, ad esser onesti, un’altra ragazza che mi ha fatto star veramente bene c’è stata. Eccolo, ora vedo anche il suo viso in questa nottata gelida d’estate, lo vedo mentre questa canna mi invade l’anima. Vanessa colpì la mi attenzione, la prima volta che la vidi, proprio perché indossava una maglia dei “The Doors”. Lei non è una ragazza che rispecchia i canoni tipici della bellezza. E’ che lei, forse, è l’unica vera Donna che ho incontrato. La mia Idea di donna è una femminilità artistica. Una persona strana, con delle fisse particolari, niente smorfie o stronzate da smalti, gonnelline e cerchietti. La donna Vera è altezzosa ma non montata, non vanitosa ma, al contempo, orgogliosa dei suoi tratti. Quella vera è chi si presenta così com’è, senza preoccuparsi di come appare agli occhi degli altri.
Comunque sto divagando.
Aspettate che stappo un’altra Tennent’s. Fedele compagna e unica compagnia, sto cazzo di tappo mica ci riesco a levarlo coll’accendino. Ah ecco, tutto okay. Che poi è proprio una ficata esser su questo terrazzo a penzoloni. Ti senti libero. Nella quiete notturna, da qua su, le poche automobili sembrano formichine piccole piccole. Però il paesaggio è maestoso. La luna piena risplende i confini tra le montagne e il mistero del cielo. Un po’ come il confine tra la vita e la morte. Chissà che ne sarà di noi, dei nostri sogni, dei nostri problemi, dell’Amore, quando saremo morti. Boh, nel caso vi faccio sapere. Credo che dal nulla siamo venuti e nel nulla torneremo.
E’ che mi sento proprio soffocare in questi incastri, in questo giro di falsità e di ipocrisia. Non è proprio per me. Perché poi mica ci sono riuscito a cambiare. Sono una di quelle persone che da l’Anima, sempre e comunque, chiedendo niente in cambio. Ovviamente, quando tutto ciò è bastato, quando non servo più, la persona X sparisce ed io resto solo. Tremendamente solo. Roba che questi pensieri li devo confessare ad una canna e alle birre che sto bevendo. Ed io, vi giuro che ho sempre dato tutto quello che avevo. E non potete capire quante volte mi sono odiato quando il circolo vizioso si ripeteva. Ma, alla fine col cazzo che sono cambiato. Resto orgoglioso di me stesso. E quindi, per un periodo ho convissuto con questa mia diversità. Io sono un Gigante in un mondo di piccoli uomini. Però, vaffanculo, ora sono imploso e quindi game over.
Un secondo che mi accendo un’altra canna.
La cosa bella è che è proprio buono il sapore di erba dopo che hai fatto un sorso di birra. Ahhh. Mi sono pure messo l’mp3 alle orecchie. Ho voglia di ascoltare “Train” di Paul Kalkbrenner. Questi filamenti lunghi lunghi di fumo che escono dalla canna mentre l’accendo, mi riportano in mente, maledizione, Maya. Cinque anni. Ti ho dato cinque anni della mia vita; ti ho pensato e ti penso ancora giorno e notte, lo sai? E tu, dove sei stasera che ho perso? Stasera che sono stato sconfitto? Ora che ho solo bisogno di vederti sorridere? Stasera che le mie paure si sono materializzate. Dove cazzo sei, eh? Guai a te se domani piangerai, tienitele le lacrime da coccodrillo, te l’avevo detto che il tempo stringeva. Ma tu no, la palestra, le amiche, la discoteca e gli esami, le cene da snob e le foto mezza nuda, il mare e la sabbia. Ma io, eh? Cioè ma come cazzo si fa a dimenticare tutto, eh? Paul dimmelo tu, dammi una risposta in queste note che sto ascoltando ora, mio crucco campione del mondo, magari lo sai? Forse lo sai tu, fumo di canna? Oppure sapete dirmelo voi, birre dolci e gelide? Ohh no è, non voglio fare lo schizzato pazzo che parlo alle cose. Sto parlando a voi che siete i miei lettori e la mia platea. La curva sotto cui esultare dopo aver fatto un gol. Comunque la musica techno è proprio adatta a ‘sti momenti. Quando sei un miscuglio elettrico ed intenso tra un depresso, un incazzato sociale, uno senza padroni, un ribelle, un nichilista ed un romantico. Oh, grazie ai miei genitori che mi hanno fatto così, eh. (non è ironico, giuro!)
Quanto è bella ‘sta città e vaffanculo a chi la critica. Mi ritornano in mente i movimenti del corpo di Maya, così eleganti da ballerina, come quando si fa la coda, o si porta i lunghi capelli tutti da un lato. E poi Frara il gol l’ha segnato, eh? 3 a 1 per noi! O, porca troia, qua l’alcool e l’erba stanno facendo effetto; ho iniziato a dire cose senza senso.
Maya è stata la bixbite della mia vita, sapete? Ma voi lo sapete cos’è la bixbite? La bixbite è una gemma di una bellezza commovente ed è così rara che la maggior parte degli uomini non ne ha mai neanche sentito parlare. Ecco, ora capite chi è Maya! Alla fine non è colpa sua; quella è un quadro, è Arte. Oh mi raccomando, fatemi sapere che ne pensate del mio romanzo. Rebecca è lei. Ed io sarei Enrico, il protagonista. Un po’ è autobiografico, sapete? Però non lo dite, oppure fate quello che vi pare, tanto sarà postumo.
Ma gli Amici miei, dove sono stasera? Almeno voi lo sapete? ‘Sta massa di mercenari opportunisti. Mi da pure fastidio non aver visitato Berlino. Avrei voluto fare qualche rave lì. Qualche bel festone, bere birra, ricordare ai tedeschi lo 0-2 del 2006, salutare il Muro, conoscere qualche bella crucca e magari provare l’LSD.
Vanessa amava le foto, sapete? Chissà che sublimità se riuscisse a farne una ora, nell’imprimere questo Campanile illuminato dalla luna con me al suo apice, sul terrazzino sopra la campana e nel punto più alto della mia città, dove in teoria non si potrebbe salire. Vabbè cazzo, sto divagando. Però la foto sarebbe proprio fica, io a penzoloni, sorridente e circondato da queste bottiglie, incorniciato dal fumo delle canne. Ora la chiamo, glielo dico. Segreteria telefonica, chissà in che cosa sarà impegnata. Mi sta facendo male la mano a scrivere tutte ‘ste cazzate ed inizia a girarmi un po’ la testa. Ma dove sono gli altri? Qualcuno ci sarà che mi vorrà ascoltare? Controllo il cellulare, magari qualcuno si è ricordato che esisto. Manco per il cazzo. Cheppalle mi sta iniziando a tremare la mano, mi succede spesso quando sono nervoso. Aspettate, mi devo fermare un attimo che non riesco a scrivere.
Mi sto accarezzando la cicatrice che ho sul braccio destro. Mi fa un male stratosferico. E non intendo fisico, ma di un dolore che mi dilania la mente. Osservo davanti a me lo spettro di quel giorno. Di quella rissa per difendere Jacopo, il mio migliore amico, almeno a parole. Ricordo quella bottiglia usata a mo di lama che mi si conficca nell’avambraccio destro. Eh Jà, ma stasera e in questi giorni, dove cazzo sei pure tu? Io non mi pento di niente, sia chiaro. E non voglio rinfacciare nulla a nessuno. Però stasera sto un bel po’ incazzato. Stasera tutto l’Amore che ho nutrito verso gli altri, si è cristallizzato in Odio ed in un’armoniosa Malinconia, spettrale, beffarda e tormentosa. Quanto cazzo so fiche ‘ste scarpe, comunque. Me le sono appena comprate. A cavalcioni sull’inquietudine non mi fanno proprio sfigurare. Anzi. E poi questi capelli mi sono cresciuti un casino, sperando che un giorno Maya tornasse ad infilargli dentro le sue soavi mani, come amava fare quando stavamo insieme. Oh no, inizia pure a piovere. Ed io inizio a piangere. Sto tergiversando troppo. Metti che poi ci ripenso? Stasera voglio volare. Però vorrei pure vederla.
Facciamo così, ho un’idea.Mi invento un gioco tipo roulette russa. Ho tre chiamate a disposizione, se una di queste va a buon fine, stasera non volo. Sennò cercherò di aprire le ali che non ho e planare lontano da questo riflesso di vita. Riprovo con Vanessa. Segreteria.
Allora Danilo, cazzo lui mi salverà il culo. Ho bisogno di te, fratello mio. “Che il destino ci trovi sempre forte e degni” ci siamo tatuati insieme. La realtà è che il destino, stasera, ha incontrato i cinque squilli del cellulare prima che la segreteria mi avvertisse che col cazzo che mi risponderà il mio “grandissimo” amico.
Mi resta solo una chiamata. Adesso me la devo giocare bene. Potrei chiamare Martina, mia migliore amica dai tempi del clandestino liceo scientifico, andata via lontano per spiccare il volo nelle prestigiose università lontane da qui. Ma sarebbe come barare, perché, parliamoci chiaramente, l’ultima chiamata deve esser fatta a chi veramente riuscirebbe a salvarmi. A chi è in grado di scacciare tutta la mia Inquietudine. Maya, Amore mio. Quanto sarà che non la chiamo e che non ci parliamo per telefono? Tre mesi buoni. Oh, gliel’ho detto che non potevo aspettare in eterno. Quindi sto per consegnare la mia vita nelle mani di una che neanche mi vuole vedere? Quanto cazzo sono patetico. Il confine tra una lucida follia ed un disperato romanticismo, diventa sempre più labile. Forse non è la scelta migliore. Dovrei pensarci quando l’effetto di questo anestetico di alcol e droghe sarà passato. Forse sì, ma ciò che non andrà mai via è l’Amore per il sorriso suo.
“Dove non nasce l’Alba, Arrivi tu che sei Luce”
Ed io vorrò vivere nel riflesso degli occhi suoi. Altrimenti sarei sempre nell’oscurità. E neanche voglio correre il rischio di scordare l’Arte che mi ha regalato per cinque anni. “Memento Audere Semper”.
La chiamo. Ho deciso. L’ultima pallottola di questa roulette russa “telefonica” della disperazione e della solitudine. Nella mia lucida incoscienza, ho impugnato il cellulare con una delicatezza chirurgica, come se stessi afferrando la pistola. Ho composto il numero di Maya colla stessa paura di chi si sta per premere il grilletto contro. Ho iniziato a sudare freddo. Forse questa tortura è ancora più atroce di una normale roulette russa, quella almeno è istantanea. Premi il grilletto e, se ancora respiri, hai vinto e non morirai. Sai che culo. Io invece dovrò aspettare almeno sei squilli. All’incirca venti secondi con la vita in sospeso. Le gambe sempre più giù, il corpo sempre più sull’orlo di questo terrazzo. Il dramma fortunato della morte che incombe, si fa sempre più Maestoso verso di me. Nella vita sarò pure stato un Gigante, ma davanti lo spettro della fine, siamo tutti uguali.
Dopo il primo squillo, ho la velocità di bere l’ennesimo sorso di birra.
Dopo il secondo squillo, riesco ad accendermi una Camel Light.
Terzo squillo ed ho paura. Il freddo nelle ossa. Inspiro forte il fumo dalla sigaretta.
Quarto squillo ed il fiato si fa sempre più corto.
Quinto squillo col nodo in gola e la disperazione nel cuore.
Ed ora eccolo. L’Istante che vale una vita.
L’Ultimo squillo…
Sì, ma che sorriso ha?