Premio Racconti nella Rete 2015 “Déjà-vu” di Giorgio Leone
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Due persone entrarono nello studio medico dove un terzo individuo li attendeva seduto in poltrona davanti a una scrivania. Dei nuovi venuti, il primo aveva un’espressione energica e decisa ed emanava un forte carisma, mentre il secondo era chiaramente un subordinato. Durante il tragitto che lo portò ad accomodarsi dall’altro lato della scrivania, il più autorevole iniziò a parlare per risparmiare tempo. Aveva infatti deciso di concedere al suo ospite non più di venti minuti perché quel giorno la scaletta dei suoi impegni era da incubo.
«Buongiorno» esordì «sono il professor Avalon. Se ben ricordo lei è un giornalista e desidera informazioni sul “déjà-vu”, vale a dire l’erronea sensazione di aver già visto un’immagine o vissuto un avvenimento. I miei ricercatori hanno stabilito da poco che questo fenomeno è causato da piccole variazioni anatomiche di una particolare area cerebrale, la corteccia insulare. Una causa fisica, quindi, e non psicologica, che è stata definitivamente accertata e dimostrata dal laboratorio che mi onoro di dirigere. Il soggetto, quindi, crede solo di aver già vissuto in passato una certa situazione, mentre in realtà si tratta di un puro e semplice difetto cerebrale che trasmette uno stimolo ingannevole.»
Solo dopo essersi accomodato guardò il suo interlocutore, il quale lo stava ascoltando attentamente.
«Ma il suo viso non mi è nuovo! Io l’ho già vista e le ho già parlato!» disse.
«Mi scusi, professore, ma questo non potrebbe essere proprio un fenomeno di déjà-vu?»
«Ma neanche per idea, nessun déjà-vu. Sono assolutamente certo di averla già incontrata anche se, in questo momento, non ricordo dove e quando.»
«Scusi se mi permetto di insistere, ma come fa ad esserne così sicuro? In altri termini, parlando in generale, come si fa a distinguere un ricordo reale da un déjà-vu? Se lei pensa di avermi già visto, infatti, i casi sono due. O mi ha già visto veramente, oppure crede solo di avermi già visto perché il suo cervello è andato in confusione. La domanda che mi faccio, quindi, è questa: come si fa ad appurare in modo scientifico e senza margine di errore quale delle due ipotesi è vera e quale è falsa? Nel caso specifico, però, dato che sono qui, potrei essere io a fornirle la prova del nove confermandole se ci siamo già incontrati o meno.»
«Già, ma lei non ha pensato che, nel caso di un suo intervento, si aprirebbe ancora un ventaglio di ipotesi. Supponiamo che lei dica che ci siamo già visti, per cui è normale che anch’io l’abbia già vista. Ma chi ci assicura che non stiamo avendo un doppio déjà-vu contemporaneo e che, quindi, tutti e due ci sbagliamo nel pensare di esserci già visti? Diversamente, lei potrebbe sostenere di non avermi mai visto, nel qual caso io dovrei avere avuto un déjà-vu. Ma chi ci dice che non ci siamo invece effettivamente già visti e che lei non se ne ricorda più? In questo caso io sarei nel vero ricordandomi di averla vista e non saremmo di fronte ad un mio déjà-vu, ma ad un suo vuoto di memoria.»
«Giustissimo, professore, ma quanto ha illustrato, a mio avviso, è valido solo in parte. Sono infatti propenso scartare la sua ipotesi del doppio déjà-vu contemporaneo, in quanto solamente di “scuola” e con infime possibilità di potersi realizzare effettivamente. In proposito, da parte mia le confermo che ci siamo già incontrati, e anche moltissime volte. Solo che io me le ricordo tutte molto bene, mentre lei se ne ricorda solo vagamente. A questo punto, dato che è un esperto, le chiedo: a cosa potrebbe essere attribuito questo fenomeno?»
«Parlando solo per assurdo, perché non è certo il mio caso, potrebbe trattarsi di una bella amnesia retrograda derivante da cause traumatiche o degenerative, di carattere transitorio, stabile o progressivo. Oppure potrebbe non derivare da cause organiche ed essere un’amnesia psicogena o lacunare. Ma come si fa a dirlo così su due piedi? Ci vuole tempo per una corretta diagnosi. Non parliamo poi del trattamento!»
«Esatto, professore, è proprio come dice lei: per alcune patologie ci vuole molto tempo. Ed è proprio per questo che da due anni ci vediamo tre volte alla settimana.»
«Ma cosa sta tentando di dire? Chi vuole prendere per i fondelli?»
Stava per incazzarsi sul serio, ma poi osservò meglio il suo interlocutore e vide che aveva un camice bianco, come quello di un medico o uno psichiatra, mentre lui era in pigiama e aveva la barba lunga e le pantofole ai piedi. La persona che l’aveva accompagnato nella stanza e che era restata in piedi in attesa, invece, era chiaramente un infermiere.
La verità allora lo colpì con la forza di un maglio, la testa gli crollò sulla scrivania e rimase in quella posizione singhiozzando per parecchi minuti. Poi, però, dopo un lungo ulteriore periodo di silenzio, si riscosse di colpo e si tirò su con un’espressione adirata sul volto.
«Ma bene, caro il mio imbrattacarte!» sibilò «Forse non si rende conto che ogni mio minuto è prezioso e contingentato, per cui si schiarisca subito le idee e si decida a dirmi se è venuto per avere notizie sul déjà-vu o sull’amnesia, altrimenti la finiamo subito qui, chiamo la sicurezza e la faccio sbattere fuori. Ma cerchi di ricordarsi chi sono, perdio! Si rende conto di aver l’onore di parlare con una delle menti più acute e brillanti dell’umanità? E invece no, esimio scribacchino dei miei stivali, con il suo atteggiamento sfrontato lei sembra proprio dimenticarsi di essere al cospetto del professor… del professor… »
«Avalon, professore. Lei è… lei era il professor Avalon, il famoso professor Avalon, una delle menti più acute e brillanti dell’umanità. Ma ora è venuto il momento di riposarsi e riprendere forze, la seduta di oggi è stata faticosa, anche se non molto proficua. Mark, per favore, accompagna il professore nella sua stanza, fagli prendere le sue solite pillole della sera e mettilo a letto. Per oggi abbiamo finito.»
Niente male questo racconto! L’ambiente e l’argomento trattato regalano al lettore una sana dose di paranoia. Il dialogo è bello ingarbugliato e nevrotico. Non sono un neurologo, quindi non so se i termini tecnici siano adeguati, ma anche quest’aura di “professionalità” mi ha convinto. Un colpo di scena del genere poi è sempre efficace (un po’ “Shutter Island”, un po’ “A Beautiful Mind”). Proprio perchè ho gradito la tua storia consentimi di commentare anche ciò che mi è piaciuto meno. Forse potresti pulire alcune parti, rendere più fluidi alcuni passaggi descrittivi e rendere i personaggi più definiti sin dall’inizio, soprattutto in funzione dell’ottimo dialogo. Ad un certo punto infatti (nella parte centrale) ho perso la bussola e non ho più capito chi stesse parlando dei tre. Ottimo lavoro comunque. Buona fortuna per il concorso, ciao.
Grazie dei consigli molto graditi e per gli auguri.
In certi punti il tuo racconto mi è sembrato molto pirandelliano. Il dialogo surreale, soprattutto, mi ha ricordato certe pagine dello scrittore siciliano. Ammetto, come Alex, di essermi un po’ perso ma mi sono molto divertito. Complimenti.
È piaciuto molto anche a me, vi ho scorto un’ispirazione Pirandelliana ma con riferimenti più attuali a scrittori come Thomas Harris. A tratti mi sono perduta nelle spiegazioni troppo cervellotiche – ed è stato lì che ho capito il trucco: il giornalista non poteva essere così esperto. I giornalisti veri domandano ma non dialogano… concordo coi consigli scritti da Alex. In estrema sintesi, trovo che sia uno dei migliori in concorso.
Arianna
Però! Che idea geniale.
Il delirio di onnipotenza è ben descritto ma sopraffatto dalla ingegnosità dell’interlocutore.
Mi è piaciuto molto .
In bocca al lupo!
Grazie a Duccio, Arianna e Carla.