Premio Racconti nella Rete 2015″La macchina grande e il dottor Grabski” di Marco Rinaldi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Quando prendo la macchina grande mi sento più maturo, vedo le cose con maggior distacco e in genere ho la meglio sulle crisi d’ansia.
Quando prendo la macchina grande mi lascio avvolgere dalla morbidezza e dal profumo dei suoi sedili in pelle, mi lascio ipnotizzare dalle mille luci del computer di bordo e oriento lo specchietto retrovisore su di me per non perdermi di vista.
Quando entro nella macchina grande assumo una posizione più eretta, con le spalle sciolte, il viso un po’ in avanti e l’aria tranquilla di chi è molto amato.
Quando prendo la macchina grande so che Francesca ha già dimenticato le nostre sconfitte e sorride di nuovo pensando a me, anche senza attaccarsi alla bottiglia.
Quando prendo la macchina grande mi viene sempre voglia di andare a Prima Porta per far vedere a mio padre che ce l’ho fatta, e dirgli che mi dispiace di non poterlo portare con me.
Quando metto in moto la macchina grande anche la mia mente si mette in moto col rombo di sei cilindri e non ho paura di niente, riesco perfino ad essere gentile, perché quei sei cilindri picchiano per me e non ho bisogno di avere l’ultima parola.
Quando prendo la macchina grande divento più alto e più magro, più bello, col pisello più grande, la voce profonda; faccio benzina con la carta di credito, mai al self-service, così mi puliscono il vetro.
Quando prendo la macchina grande compro il giornale, a volte due, uno straniero, guardo le quotazioni di borsa e mi stropiccio le mani, comunque sia andata.
Dalla macchina grande chiamo mia madre col vivavoce e lei sente che sono cresciuto, lo capisco perché mi dice solo “ciao” e non “ciao, piccolo mio”.
Quando sto sulla macchina grande tutto diventa più piccolo, le altre macchine, le distanze, e anche le preoccupazioni, perché posso scappar via veloce con un filo di gas.
Io però qualche volta devo scendere dalla macchina grande, e allora per capire chi sono mi devo arrangiare con la psicanalisi.
Il dottor Grabski ha preso molto sul serio i miei problemi e ha iniziato quattro anni fa un minuzioso lavoro di analisi della mia personalità utilizzando racconti, silenzi, e soprattutto i sogni che gli porto, che “gli offro” dice lui, indispensabili per penetrare l’anima del malato e misurare l’avanzamento della sua guarigione.
Sono certo che il dottor Grabski sia molto più bravo dei sei che l’hanno preceduto, se non altro lui parla con me di me, e questo mi piace assai.
Abbiamo già fatto molti progressi.
Dopo quattro anni il dottor Grabski mi ha suggerito che non è detto che mio padre sarebbe contento di sapermi alla guida di una macchina più grande di quella che aveva lui, per la storia della rivalità tra padre e figlio maschio che non si esaurisce necessariamente con la morte di uno dei due. E’ vero, però non è detto neanche che sarebbe contento di sapere che vado dallo psicanalista per liberarmi di lui.
Chissà di cosa sarebbe contento, mio padre, forse di sapermi sereno, ma quello è più difficile. Lui mi ha insegnato a guidare, mica a vivere sereno.
Il dottor Grabski, dopo quattro anni, mi ha suggerito anche che è bello che mia madre mi dica “ciao, piccolo mio”, perfino di fronte agli altri, che un giorno mi mancherà molto, e che comunque non ha niente a che vedere con le dimensioni dei genitali.
Mi ha anche detto, il dottor Grabski, dopo quattro anni, che i sei cilindri devo trovarli dentro di me, anzi, che secondo lui sono sulla buona strada, stando agli ultimi sogni che gli ho portato, che “gli ho offerto” dice lui, quelli nei quali ammazzo uno a uno senza piangere tutti i fratelli che non ho, e quelli nei quali invece piango dopo essere finalmente riuscito a scopare Francesca come piace a lei.
Dopo quattro anni, che sono pochi per la psicanalisi, ho capito con l’aiuto del dottor Grabski, che non devo scappar via veloce dalle preoccupazioni, ma prenderle di petto, razionalizzarle, trovare la soluzione se c’è, o prendermela serenamente nel culo se la soluzione non c’è. L’ho capito, dopo quattro anni, ma ne serviranno almeno altri cinque o sei, con l’aiuto del dottor Grabski, per accettare la seconda ipotesi.
La cosa straordinaria che mi ha detto l’altro giorno il dottor Grabski, dopo soli quattro anni, è che adesso è proprio convinto che ce la farò, è entusiasta di tutti i sogni che gli porto, che “gli offro” dice lui, pieni di sana violenza; è l’aggressività che finalmente fa capolino nel mio inconscio fino ad oggi compresso e gonfio di sensi di colpa.
Finalmente sta emergendo, mi ha detto il dottor Grabski, quella parte di me sconosciuta, che solo con un costante lavoro di esplorazione del profondo può-manifestarsi-e-portarmi-verso-un-nuovo-equilibrio-che-mi-porterà-maggiore-consapevolezza-che-farà-sì-che-io-possa-accettarmi-per-quello-che-sono-e-quindi-rendermi-anche-accettabile-agli-altri-o-fregarmene-se-gli-altri-non-mi-accettano-come-vorrei.
E’ stato bellissimo, ho pianto molto quando il dottor Grabski mi ha detto queste cose, anche se so bene che il lavoro di esplorazione del profondo durerà ancora molti anni.
Davvero, sono molto soddisfatto del lavoro che sto facendo col dottor Grabski, anche se da quando è cominciato il nostro lavoro di esplorazione del profondo, da quasi quattro anni, ogni notte, in realtà, invece di divertirmi a uccidere i miei fratelli e a scopare Francesca come piace a lei, devo sopportare le puerili impuntature del dottor Grabski, che vorrebbe essere sempre lui a guidare la macchina grande.
E’ originale questo racconto che sfiora il ritmo di uno scioglilingua e che non scade mai nel banale. L’avvio descrive il desiderio di guidare la macchina grande da parte del protagonista. La conclusione ha il sapore di una presa in giro della psicanalisi, considerato che il dottor Grabski, lo psicanalista, ha problemi maggiori rispetto al paziente perché vorrebbe guidare lui la macchina grande.
Emanuele
L’uomo che acquista l’auto ‘grande’, potente e alla moda, da professionista rampante, nel tentativo patetico di compensare le proprie carenze e si affida alle mostruose prestazioni dei cento cavalli per dimostrare, prima di tutto a sé stesso, di essere migliore di quanto in realtà non sia. Autonalisi irriverente e ironica di una mania tipica dei nostri tempi (mi hai fatto pensare all’autista incazzato di Giole Dix) ma anche di un certo modo di ‘fare psicanalisi’, superficiale e pretenzioso… Indovinato il finale con l’inversione di ruoli. Chi psicanalizza lo psicanalista? Davvero una buona prova. Approfitto per segnalarti il mio “La Torretta di Guardia”