Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2015 “Natale rosso, bianco e blu” di Deepa Minasi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015

Blu del crepuscolo e dell’auto francese che trasporta Alberto Greco, ambasciatore italiano in Francia, cittadino onorario di Parigi, ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica Italiana, appena rientrato a Roma. L’auto blu procede lenta e sicura su viale Parioli, poi svolta a sinistra fino alla grande cancellata; l’autista in tenuta blu scende ad aprire la portiera posteriore e l’ambasciatore emerge con un paltò blu e un pratico ma elegante bagaglio a mano della Delsey, anch’esso blu.

Bianco delle nuvole e dell’elegante piastrellato di villa Greco imbiancato di neve, mentre s’apre il cancello telecomandato e si accendono i lampioni; bianco dei vapori e della schiuma da bagno ai fiori d’arancio a ricoprire i sali viola di lavanda provenzale; bianco del ventre gonfio che affiora dal pelo dell’acqua, bianco dei gigli sulle pareti, bianco dell’accappatoio sul riscalda-asciugamani, bianchi i sanitari e le candele decorative ancora incartate, bianche pure le ciabatte.

Rosso della tovaglia di pizzo francese anni ’40 cosparsa di stelline d’oro, rosso delle facce paonazze di babbo Natale stampate sui festoni che percorrono i quattro lati della grande sala; rosso del volto senza tempo di Adeline, governante fidata e ottima cuoca francese, che prima di andar via ha preparato tutto come si deve: solo piatti freddi, perché la sera di Natale anche la servitù vuole stare con la propria famiglia.

Blu delle Fenestrier ai piedi, dell’elegante completo Lanvinn da cui affiora una camicia, perfetta. Alberto Greco vaga nella grande sala deserta attorno ai profumi rossi bianchi e blu del cenone di Natale, contempla la tavola imbandita scostando uno alla volta i coperchi dei vassoi per rivelarne il contenuto: le crudité variopinte, le langoustine bianche e blu e ancora il delicato foie gras avvolto in un fazzoletto di seta blu-elettrico. Le dita lunghe e affusolate di Alberto Greco si ritrovano inconsapevolmente a contatto con l’argento di un coltello Laguiole a smussare le protuberanze del foie gras, per cercare di nascondere gli innocenti furti ai commensali che stanno per raggiungerlo.

Bianco sempre più bianco della neve che dietro la porta-finestra del salone continua incessantemente a ricoprire i palazzi del quartiere, come su un grande schermo silenziato. Ogni rumore è attutito, gli alberi bianchi sonnecchiano, i lampioni bianchi illuminano i fiocchi nel cielo che, sempre più numerosi, vanno a depositarsi sul bianco che nasconde marciapiedi, semafori e macchine parcheggiate. Il cancello automatico è chiuso, non una macchina in transito su viale Parioli, né anima viva alla porta di villa Greco.

Rosso della bocca, delle labbra di Alberto Greco che attendono l’avvicinarsi del coltello, del minuscolo boccone di foie gras. Gli occhi si chiudono nell’estasi del sapore prediletto, quindi si riaprono sul gioco di luci delle ghirlande natalizie intermittenti riflesse sui preziosi calici di cristallo di Baccarat: rosso, bianco e blu, rosso, bianco e blu, rosso, bianco e blu e poi di nuovo rosso. Come la tovaglia rossa, la lingua rossa che indugia sulle labbra rosse, piccole e sottili per raccogliere ogni minima particella della sublime mousse di fegato.

Blu del Motorola muto nella mano di Alberto Greco, blu della luce che illumina la pelle liscia e curata delle dita.

Bianco del volto turbato da un’impercettibile smorfia, bianco della mano che posa il cellullare sul bracciolo e impugna un candido tovagliolo bianco per pulire l’angolo della bocca da cui affiora un rivolo di saliva bianca, poi il bianco di schiuma e bollicine di un Maison Veuve Clicquot millesimato che a cascata scivola in un calice.

Rosso della pelle del divano Luigi XVI dove Alberto Greco si siede nella posizione che sempre adotta quando è in attesa, con il piede sinistro che dondola sul ginocchio destro e fa oscillare pigramente il calice di Champagne tra il medio e l’anulare.

Blu della copertina della partitura della Danse Macabre di Camille Saint Saens, appoggiata al leggio del pianoforte, che Alberto Greco segue mentalmente mentre, con le mani agili di chi ha suonato per anni, nervosamente batte le dita sul bracciolo di legno del divano acquistato dal più famoso antiquario di Nizza, ruotando ritmicamente il polso per lanciare periodiche occhiate all’orologio.

Bianco della camicia sbottonata sul collo, delle minuscole goccioline di sudore sulla fronte bianca e dei capelli tirati all’indietro.

Rosso degli occhi venati di sangue e delle narici arrossate dall’alcol. Rosso dei preziosi mobili di mogano che Alberto Greco, scosso dalle vertigini, vede ondeggiare insieme alle medaglie al merito nella vetrinetta rossa e alle bandiere francesi ai lati delle porte.

Bianco dello champagne che schiuma e si sparge sul pregiato tappeto blu, rosso della testa appoggiata alla spalliera del divano rosso, bianco delle dita rilasciate sul bracciolo. Bianco delle lacrime leggere miste a sudore che imperlano le ciglia annebbiando la vista dell’ambasciatore. Le luci rosse bianche e blu della sala si confondono con quelle sfocate dell’albero. Il Motorola rimasto sul divano s’illumina silenziosamente: rosso, bianco e blu, rosso, bianco e blu.

Bianco del dolore, dei pugni chiusi e dei peli che spuntano dal dorso delle falangi in contro luce, bianco delle labbra con la saliva che scende sul tappeto, bianca come la spiaggia quel Natale che ha nevicato e Alberto è finalmente a casa, quella bianca-bianca dell’infanzia: ecco la tovaglia bianca di quel Natale, il pane bianco, il sale, la carne bianca del cappone, i tortellini bianchi e il formaggio bianco a pioggia, la madre vestita di bianco che si avvicina e dice qualcosa a suo padre che intanto lo sta tenendo in braccio, ma non si sente niente; bianche anche le voci, bianco il ricordo che tosto sfuma, resta il bianco sulle montagne di cartapesta del semplicissimo presepe con la cometa bianca in cima alla capanna e il bianco di un pacchetto da cui esce una piccola trottola rossa, bianca e blu: “viene dalla Francia, te la manda da Nizza lo zio Pino. Te lo ricordi lo zio Pino? E la Francia, Alberto, lo sai dove sta la Francia? Un giorno magari c’andremo tutti insieme.”

Nero del cielo nero ora che si è alzato il vento, una macchina nera parcheggia sotto il lampione davanti al cancello di villa Greco, spegne le luci. Nero dei tre ombrelli che escono dagli sportelli neri e si fermano davanti allo schermo nero del video-citofono. Il primo ombrello nero si muove in cerchio mentre gli altri due aspettano davanti al video-citofono sempre ostinatamente nero: uno, due, tre, quattro minuti, il vento s’accanisce, la neve ora arriva in orizzontale, il primo ombrello nero torna in macchina, gli altri due aspettano ancora un poco: uno, due, tre minuti, poi rinunciano e tornano anch’essi nella macchina che velocemente si allontana da Villa Greco.

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7 commenti »

  1. Tutto è Francia in questo raffinatissimo racconto: i colori, la cuoca, le pietanze, il servizio, i cristalli, la mobilia, la musica. E’ tutto impeccabile nella preparazione. I dettagli sono curati al massimo. Ogni cosa è al suo posto. Tutto tranne l’umore dell’ambasciatore Alessandro Greco. Il Motorola che tarda a suonare suggerisce un’atmosfera di solitudine. La Danse Macabre è un’ulteriore indizio del triste epilogo. Davvero ben scritto, invidiabile conoscenza della cultura francese. Complimenti!

  2. Grazie Matteo! Sono felice che ti sia piaciuto. L’idea era proprio quella di riuscire a far percepire la profonda solitudine di quest’uomo.

  3. Ciao Deepa. Anche qui, come ne “Il treno”, la vera protagonista è la Signora con la falce (maiuscolo per darle il dovuto e temuto rispetto). Una protagonista incombente, alla quale nessuno sfugge, nemmeno un uomo importante come il signor Greco. Mi è piaciuta moltissimo l’alternanza di colori che sembrano scandire il tempo come un concerto (o meglio, forse una marcia funebre). E l’ultimo colore non poteva che essere il nero. E poi questi tre ombrelli che arrivano e aspettano, poi se ne vanno senza nemmeno chiedersi che cosa sta succedendo, come se avessero capito e volessero sfuggire al loro destino (del resto, muoiono sempre gli altri, no?). C’è poi il Natale, che dovrebbero essere festa di gioia…c’è la raffinatissima Francia…insomma un racconto di morte e solitudine che però contiene mille altre cose inaspettate. Brava.
    A proposito di Ferlinghetti, la poesia La lunga strada è un capolavoro. Sono felice di avertela fatta conoscere.

  4. Vedo che anche tu giochi sui colori….
    Semprei i soliti della solita vita: rosso, bianco e blu. Solo che ora non sono più il rosso, il bianco e il blu di un tempo. Se prima scandivano il tempo delle feste, delle vacanze, del Natale e della famiglia riunita, ora si trasformano in nemici che scandiscono i momenti di una vita infelice. La solitudine, il dolore, la noia.
    La fine di una vita felice e l’inizio di un incubo che si perpetua all’infinito.
    Bello, intenso.

  5. Grazie mille Duccio, hai compreso perfettamente il senso della storia.

  6. Grazie Laura, mi fa molto piacere che ti sia piaciuto.

  7. Opulenza di arredi, cibi, stoviglie, da un lato. Solitudine e nostalgia dall’altro. Complimenti.

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