Premio Racconti nella Rete 2015 “Se il mondo fosse di carta” di Claudia Pirro
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Restare ferma con le braccia incrociate sul petto, una gamba distesa avanti, abbandonata sul pavimento della mia stanza e l’altra piegata, il gomito del braccio appoggiato sul ginocchio. Le palpebre chiuse, le guance in fiamme, la gola secca, i muscoli tesi come le corde dell’arpa che due settimane fa pizzicavo al concerto di fine anno. I miei genitori e mio fratello seduti in prima fila al teatro. Io che mi inchino per raccogliere le rose che mi lanciano sul palco e poi… il rombo assordante di un aereo che ci sorvola. Lo capii subito che non si trattava di un aereo comune ma di uno che non avevo mai sentito, il cui rumore suonava strano, potente. Forse caddi, spinta a spallate dalla gente che si catapultava fuori, spaventata da quei colpi di fucile che udimmo uno dopo l’altro. Rabbrividisco a rivivere ancora la sensazione dell’aria pesante, delle grida e del panico che, come una scarica elettrica, si diffuse tra il pubblico in pochi istanti. E poi ancora la corsa che facemmo, presi dalla paura, con il fiato corto, la voce spezzata e le caviglie doloranti. In quegli attimi giuro di aver percepito un filo spezzarsi. Come una cordicella di spago che con i minuti si è trasformata in una catena dagli anelli di acciaio. Quel filo che ora mi lega alla mia famiglia, dispersa in un minuscolo puntino di questa terra, di questo paesino, che conosco come le tasche dei miei jeans ma nel quale adesso, sarei capace di perdermi. Il filo che mi univa, mentre correvamo verso casa mia, agli amici e a Jonathan, l’unico di cui mi importasse davvero, che ho perso durante la strada infinita che separava il teatro da casa. L’asfalto se lo è mangiato come se niente fosse, risucchiandolo a sé con un proiettile nero. Ho visto la luce spegnersi nei suoi occhi in pochi istanti, almeno finché non sono riuscita a vedervi più le iridi color cioccolato, il suo solito sguardo vivo e brillante. Per tutta la vita provi a non pensare a te stesso ma quando sei in pericolo non è quello il tuo istinto. Non ho fatto niente per riportarlo in vita. Perché non mi sono fermata? Ragionare. Pensare. Ricordare. È questo che faccio da ormai quattro giorni. Aggiunto ovviamente al pranzo, sempre indigesto per la quantità devastante e troppo pesante del silenzio che sta diventando un’arma. Un’arma che ci uccide l’animo fino a corroderci come acido. Ma secondo Fabian muoverci potrebbe costarci la vita, un prezzo troppo alto da pagare. Ci sono mille guardie nel mondo là fuori, centinaia, magari migliaia, chissà. E sono già qui. Si aggirano per le strade della città, quelle che fino a due settimane fa definivamo le nostre strade, che ci sembrava di dominare solo passeggiandoci sopra e ci sentivamo imbattibili con lo scricchiolio delle nostre scarpe sotto i piedi. Ora tutto sembra essersi rotto. Come un pezzo di vetro che si è frantumato in un colpo solo in decine di triangoli taglienti e pericolosi. Forse è il nostro cuore ad essersi spaccato alla vista di tanta guerra, forse siamo solo noi che non riusciamo a reagire come dovremmo. Ora che siamo soli, in questa casa che non sembra neanche più la mia, il rumore agghiacciante delle pallottole che sfrecciano a pochi centimetri dalla nostra pelle, ci distrugge. Ci indebolisce ogni secondo che riusciamo a vivere. Ogni secondo che ci rimane. Questa è stata in assoluto la prima volta nella nostra vita che abbiamo udito degli spari. Quasi mi sembra sovrannaturale pensando a quando ci ridevo sopra vedendo le scene dei film d’azione che mia madre seguiva la sera tardi con gli occhi spalancati, accecati dalla luce della televisione. Ma quelli che abbiamo sentito erano spari veri, mirati ad ucciderci. In un giorno come un altro. Un giorno che ricorderemo per sempre. Chissà se tutto questo avrà una fine. Quanto dovremo aspettare prima che ci trovino? E se succederà, sarà per ucciderci o per salvarci? Chissà se siamo davvero capaci di resistere ancora. Chissà se IO sono veramente in grado di resistere. Tutto questo da quando abbiamo scoperto che niente nelle nostre vite stravolte da quei venti colpi di pistola sarà come prima. Lo so. Lo sa Fabian, come lo sa Chris, come del resto lo sanno anche Bea e Phoebe. Uno di quei venti colpi, che sono durati sette, otto anni della mia vita, ha colpito Cassie. Ne è bastato uno, ma mortale. E l’ha uccisa. Lei era al mio fianco come sempre. Uno stupido proiettile fabbricato per atterrarla. Come lo è stato quello che ha fermato il cuore di Jonathan. Chi può avere alimentato la sete di tanto desiderio? Solo il sogno di dominare. Ogni cosa, piccola o grande cambierà e noi non potremo alzare un dito per impedirlo, come non abbiamo potuto fare niente per Cassie quando l’abbiamo vista morire davanti ai nostri occhi. Come non ho avuto il coraggio di muovere un dito verso il mio migliore amico abbandonato come uno straccio sull’asfalto della strada. Ieri ho rischiato la vita. Oggi rischio i miei giorni, il mio fiato, il mio corpo. Domani rischierò il mio futuro e tutto quello che ho o che mi è rimasto: la consapevolezza di aver visto ciò che è successo. A pensarci meglio la guerra assomiglia ad un serpente: ti scivola accanto e quando meno te lo aspetti ti morde affondando i suoi denti colmi di veleno nella tua pelle. E tutto improvvisamente si fa nero. Nero come il cielo della notte che da cinque giorni non è più cosparso di stelle ma solo di paura. “Niente si cancella, tutto rimane.” Me lo ha detto stamani Oscar. Forse si riferiva al ricordo dei nostri due amici, non ne ho idea. Io preferisco associarlo a quella piccola briciola di forza che mi è rimasta dentro. E se per i soldati là fuori è insignificante, per me è più vitale dell’acqua. Farò di tutto per non far morire una seconda volta Cassie e Jonathan che mi hanno lasciato proprio quando avevo più bisogno di loro. Per non far morire la memoria di coloro che se ne sono andati e ai quali abbiamo dato le spalle mentre fuggivamo. Il mio destino non sarò più a deciderlo io, ma sarà nelle mani di quelli che stanno oltre le finestre, incoscienti, fuori di loro, che hanno fatto strage di innocenti e che avranno il fegato di eliminarne ancora, fino a rimanerci secchi da soli. Perché ogni volta che sparano, uccidono una parte di loro. E non se ne accorgono. Non si pentono. Per tutto quello che fanno e per quello che ancora faranno. Uomini che non hanno cuore, incentivati dalla loro fame di potere e divorati dall’istinto di uccidere. Sono lucidi mentre sparano, lucidi come il vetro di un paio di biglie che ora sembrano occhi sul viso di un uomo che non vale più nulla. Oltre tutto questo, sembra essere un film di azione e fantascienza ma che e’ reale. Come il fatto che da quando ci siamo nascosti e ci contavamo di continuo per convincerci che non mancasse nessuno ed eravamo in diciotto, siamo arrivati ad essere in tredici in una stanza di quattro metri per tre e cinquanta. Cassie non c’è. L’assenza di Jonathan sembra incolmabile e insormontabile. Altri quattro non ci sono: si sono offerti di andare in ricognizione in paese, ora terra deserta della bellezza di vivere, piena di carri armati, di furgoni che secondo Bea trasportano armi e viveri per i soldati, ma per me solo terrore. I nostri quattro amici si sono persi? Sono solo semplicemente nascosti da qualche parte, mi convinco. O forse lo erano fino ad un secondo fa. Non lo potremo mai sapere. E tutto e’ reale come il battito del mio cuore, che spero non smetta di pulsare almeno fino a domani. Non ho intenzione di abbattermi, arrendersi e’ da perdenti: James aveva ragione quando lo disse prima di partire per la città. È forse la cosa più difficile che abbia mai fatto. Mi concentro sul pomo d’Adamo di Fabian che sale e scende ad ogni suo respiro. Poi abbasso gli occhi verso le dita di Bea, saldamente intrecciate alle mie. Ha le pupille fisse verso la parete di fronte a noi. Quella su cui hanno la schiena appoggiata Marlene e Oscar. È immobile, ma nel silenzio avverto il suo battito confondersi col mio. Un sollievo… falso. Perché non potrò avere sollievo fino a quando tutto questo non finirà. Mi rendo conto di essere o di apparire debole, a volte. Proprio come adesso, quando so di non poter fare niente per cambiare la situazione. Se lo sono stata in passato… ora devo fare tutto il possibile per non esserlo in futuro. Lo devo a Jonathan, a Cassie e agli altri quattro miei amici che ora non sono qui con me. Ma se sono vivi, e me lo sento, io devo riuscirci. Fino a quando ci sarà la speranza tra di noi, allora brillerà quella stella, in alto nel cielo che non si spegnerà mai. Se il mondo fosse di carta, una semplice pallottola di carta straccia, io sarei una delle mille pieghe di quel pezzo di foglio bianco. Se il mondo fosse di carta, penso che noi tutti saremmo le gocce di inchiostro, che come fiumi scivolano lungo la superficie levigata di quella carta. E sentiremmo i pezzetti tagliati da quel foglio, rotti dalle fibre e dalla polvere, sfiorarci le labbra e la pelle. Li avvertiremmo mentre si divertono a farci il solletico, mentre noi ci sforziamo di non voltarci indietro per ammirare l’orizzonte che si perde come un bambino oltre le verdi colline. Rimanere a fissare i corpi inermi di quelli che se ne sono andati via, non ci è utile. Ci ricorda quanto siamo soli e intimoriti dal mondo di fuori. E a questo punto penso che è meglio soffrire per un’assenza perduta, come quella di Jonathan o di Cassie che per una falsa illusione. Illudersi che verremo liberati non conta nulla. L’importante è sperarlo fino in fondo. Una speranza che non smetta mai di ardere la legna della nostra anima e della nostra memoria. Guardo Bea, Chris e Oscar. Si mordono le labbra, disegnando cerchietti col dito sul pavimento. Fanno scorrere il palmo sulle piastrelle gelide della mia stanza immaginando che possano trasformarsi in barche per navigare via dal mare di paura che ci travolge. Scuoto la testa, vedendo Bea stringermisi accanto. Il vuoto. Ecco quello che vedo nei loro occhi. Giuro con tutta la determinazione che ho, che un giorno, un giorno lontano ma che sarà reale, quegli occhi saranno pieni di verde, pieni di inarrestabile vita che nemmeno un colpo di pistola può abbattere. E torneranno ad essere quelli di prima. Dobbiamo darci una mossa, dobbiamo svegliarci. O dormiremo per sempre. Anche se non e’ un incubo e tutt’altro che immaginazione. Desidero svegliarmi con tutte le mie forze e ritrovare l’energia scorrermi in corpo. Desidero svegliarmi con il ricordo di Jonathan e dei suoi occhi impresso nell’anima, come l’ultimo sorriso di Cassie. Desidero svegliarmi e voltare la pagina del libro e guardare Fabian e non vergognarmi di farmi scendere un paio di lacrime dagli occhi. Siamo pronti. Ogni cosa è pronta. Anche il più piccolo dettaglio. Domani partiamo per la città. A cercare gli altri. E non importa cosa ci accadrà. Saremo fieri di ciò che abbiamo fatto.