Premio Racconti nella Rete 2015 “La maledizione dello specchio” di Francesca Antonioli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015-Ehi! Torniamo a casa insieme!-
La voce squillante di Elisa si era sentita in tutta la scuola.
-Shh! Non urlare così!- le sussurrò Cathia, nel più completo imbarazzo. In quel momento tutti gli studenti che si trovavano nel corridoio le stavano guardando.
Voleva sotterrarsi: con le guance in fiamme prese l’altra per le spalle e la trascinò in classe.
-Allora?- fece Elisa. -Non mi hai risposto-
-Parla piano! Non puoi essere un minimo discreta?- rispose Cathia innervosendosi.
-Scusa, sarò più silenziosa-
-Si ok… Dici sempre così-
-Questa volta te lo prometto!-
-Stai strillando di nuovo!- La ragazza adesso era esasperata. Cosa aveva fatto per meritarsi tutto ciò? Lei cercava solo di non farsi notare, di non dare nell’occhio. Lo stesso motivo per cui cercava il più possibile di evitare vestiti o comportamenti appariscenti. I suoi jeans sobri, il giubbotto avvolgente, il tono di voce pacato la aiutavano a rimanere anonima.
Cosa che al contrario non faceva la sua amica. Loro due erano agli antipodi: Elisa era bassa, bionda, solare e colorata. Come non notare i suoi stivali di gomma arcobaleno o la minigonna giallo canarino? Sembrava un razzo segnalatore nel buio della notte.
-Comunque, torniamo assieme oggi?- Elisa sembrava non curarsi minimamente delle preoccupazioni dell’amica, giocherellando con le punte dei codini e guardandola fisso.
-Sì, certo- Alla fine l’unico modo per far stare tranquilla l’amica era acconsentire alle sue richieste: Cathia si era ormai rassegnata.
-Fantastico! Devo proprio farti vedere una cosa- Il suo sorrisetto non prometteva nulla di buono.
La campanella suonò la fine delle lezioni e tutti i ragazzi uscirono dall’istituto. Tra loro anche le due ragazze.
Era un pomeriggio grigio e Elisa e Cathia camminavano una accanto all’altra verso casa. Attorno a loro solo qualche vecchia costruzione in mattoni.
-Cathy?-
-Si?-
-Hai presente quella cosa che devo farti vedere?-
-Si- Aspettava quella domanda da quando erano uscite dalla scuola e non riusciva a spiegarsi il motivo per cui avesse aspettato così tanto prima di tirare fuori l’argomento. Un argomento “così succoso” soprattutto.
-Ecco. È una scoperta grandiosa, forse l’oggetto più strano che si sia mai visto!- Elisa accelerò il passo, emozionata.
-E che cosa sarebbe?- Cathia era incuriosita. Gli oggetti che l’amica le mostrava erano spesso stupidissimi, inutili, ma non poteva dire che non avessero il loro fascino.
-Lo vedrai! Da questa parte!- gridò l’altra ragazza correndo via.
Elisa guidò l’amica per una serie di vicoli e stradine e, svoltato l’angolo dell’ultima via si trovarono ad un capo di una larga strada completamente deserta. Un enorme parcheggio occupava la maggior parte della superficie del luogo, ma sembrava inutilizzato da decenni. Lungo la strada non si poteva non gettare uno sguardo alle macerie di edifici che un tempo dovevano essere stati splendidi.
In fondo al viale c’era, invece, un teatro mezzo diroccato, l’unica costruzione rimasta in piedi. Ai lati dell’edificio c’era un grande prato di erba secca e giallastra, pieno d’immondizia e visitato saltuariamente da un paio di gatti randagi.
Le finestre del teatro erano per la maggior parte infrante, ma, tralasciando il tetto pericolante, la struttura sembrava essersi conservata piuttosto bene.
-Wow, che posto… Come l’hai trovato?-
-Questo è top secret- Elisa le fece l’occhiolino.
Si udì un tuono in lontananza. Si avvicinava un temporale.
Cathia sentì un brivido freddo percorrerle la spina dorsale. Aveva perso ogni desiderio di vedere dove l’amica l’avrebbe condotta.
-Che aspetti?- fece quella correndo avanti -Muoviti, andiamo!-
Anche se timorosa Cathia la seguì.
Giunte all’ingresso, Cathia si affacciò a una finestra spaccata, facendosi largo tra le ragnatele, e guardò all’interno: la stanza che vide era buia, una piccola hall in disuso.
Elisa stava già togliendo la catena arrugginita che bloccava la porta e incitava l’amica perché la seguisse.
A Cathia quel posto non piaceva per niente, le dava una sensazione spiacevole. Stava ferma sulla porta, esitando. -Eli… Andiamo via- disse. Ma quella era già entrata e non la sentiva, anzi, continuava a gridare: -Dai, Cathy, vieni!-
Cathia varcò la soglia con circospezione, con l’unico intento di prendere Elisa e andare via. Aveva i nervi a fior di pelle.
La hall era nel degrado più totale: c’era sporcizia che si accumulava negli angoli, topi che rosicchiavano la moquette, scarafaggi… La ragazza era divisa tra il disgusto e l’inquietudine: da quanti anni nessuno entrava in quel posto? Come l’aveva trovato Elisa?
Al lato opposto di quella stanza c’era una porta tagliafuoco a due ante, scardinata e cadente. Mostrava uno stretto corridoio con qualche quadro storto alle pareti. Avanzando la ragazza notò che raffiguravano delle inespressive maschere teatrali, che con le loro orbite vuote parevano scrutare nell’intimità dell’animo di ogni essere vivente di passaggio.
Tremando Cathia percorse l’andito fino a raggiungere l’uscita. Si trovò in una sala appena illuminata dalla luce esterna, che filtrava dai lucernari, anch’essi privi di vetrate.
Era enorme: di fronte a lei si aprivano due ali di poltrone di velluto rosso ammuffito, divise da un largo camminamento lineare che conduceva al palco di legno marcio; le pareti erano costituite da un gran numero di tribune che potevano ospitare ognuna tre o quattro persone. Cathia non aveva mai visto un posto tanto grande.
-Cathy! Di qua!- Elisa era in piedi nel mezzo del palco pericolante e faceva cenno all’amica di raggiungerla.
La ragazza deglutì. “Forza”
L’altra intanto era sparita nel retroscena, in direzione dei camerini.
Cathia la seguì, entrando in una stanza per niente illuminata. Continuò a muoversi in avanti alla cieca, tenendo gli occhi spalancati nel buio. Ad un certo punto vide uno spiraglio di luce. Lo seguì, fidandosi.
Entrò in una stanzetta polverosa, con un tavolo rovesciato in un angolo: qui trovò l’unica finestra intatta dell’edificio. Attraverso questa entrava la fredda luce invernale.
Elisa era lì, ritta davanti a una parete. Cathia non vedeva cosa l’amica stesse guardando: qualunque cosa fosse era coperta del tutto dalla figura di Elisa.
Si voltò sentendola arrivare.
-Eccoti!- disse. -Guarda!-
Si spostò, scoprendo uno specchio.
Ma non era uno specchio normale.
Cathia rimase a bocca aperta. Stando davanti allo specchio non vedeva il suo riflesso. Sì, l’immagine sul vetro era una parte di lei, ma…
Vedeva la sua schiena.
Il retro del giubbotto, le tasche posteriori dei jeans, i lunghi capelli neri… Quello non era uno specchio normale.
Si voltò: doveva essercene un altro da qualche parte dietro di loro, uno specchio che riflettesse l’immagine della sua schiena a quello che le stava di fronte.
Niente, la parete alle sue spalle era spoglia. Un muro bianco costellato da macchie d’umidità.
Com’era possibile? Di quale assurdo trucco si trattava? Un’illusione? Non riusciva a capire il senso di quell’oggetto. Chi l’aveva messo lì e perché?
In quella stanza non c’era nulla che potesse rispondere alle sue domande.
-Hai visto, Cathy?- rideva Elisa. -Non è bellissimo?-
La superficie dello specchio era opaca e annerita dal tempo, la cornice elaborata, che una volta doveva essere stata lucida e brillante, era ormai del tutto arrugginita.
-Sì, credo… Credo di sì- Non riuscì a nascondere una nota di dubbio nella voce. Come faceva a considerarlo “bello”?
-Tutto questo posto è splendido!- esclamò la biondina, dando le spalle allo specchio e facendo vagare lo sguardo per la stanza.
Cathia la guardava con una strana sensazione.
Una sensazione sgradevole, dalla parte più istintiva del suo animo le diceva che quella situazione non era normale, che non doveva restare lì, che Elisa si stava comportando in modo strano. Ma lei non diede retta a quel sentimento insulso, dandosi della sciocca timorosa.
Perché non gli hai dato retta, Cathia?
Gettò un’occhiata allo specchio.
E la sua bocca si spalancò, i suoi occhi si sgranarono, le membra persero ogni vigore.
Ora sulla superficie dello specchio non vedeva più la sua schiena e quella della compagna. Lei stava di profilo, voltata nella direzione opposta rispetto a quella in cui stava.
Ma lei non era il suo riflesso.
Pelle bianchissima, macchiata di rosso sulla guancia e sulla mano, capelli arruffati che nascondevano a stento i buchi neri al posto degli occhi. Un vestito stracciato, non i suoi jeans e il giubbotto.
La ragazza nello specchio dava le spalle a un’altra, girata frontalmente: Elisa.
Lacrime copiose le scivolavano lungo le gote, il volto e le braccia erano ricoperti di lunghi graffi. Imitava i movimenti dell’altra se stessa, quella in piedi nella stanza, mimando un’invocazione di aiuto con le labbra, senza smettere di piangere.
“Scappa” gridava il suo cuore, “vattene da qui” aggiungeva la sua mente, ma non un muscolo della ragazza obbediva al comando, paralizzato da una paura incontrollabile.
-Cathy?- La voce squillante della falsa Elisa si era trasformata in un sussurro inquietante alle sue orecchie. Guardandola negli occhi poté notare una luce oscura di cui non si era accorta prima. Sorrise, scoprendo denti affilati come lame.
Quella non era la sua migliore amica. Quello era un mostro. La vera Elisa era oltre lo specchio, rinchiusa in una prigione da cui non sarebbe mai potuta uscire.
Ma in quella gabbia non era da sola.
La ragazza che le faceva da riflesso si voltò, mostrandole il viso. Un viso scavato, ferito, martoriato. Il viso di un essere che aveva perduto tutta la sua umanità.
Non poté opporsi alle mani che la trascinavano nello specchio, a quelle che ce la spingevano dentro. Il suo stesso terrore l’aveva legata, immobilizzata, segnando inevitabilmente il suo destino.
L’interno dello specchio era uno spazio completamente vuoto, più nero di qualunque cosa avesse mai visto. Il gelo che sentiva non poteva essere attenuato.
La ragazza senza occhi aveva rubato il suo aspetto, come l’altra quello di Elisa.
Costrette ad imitare alla rovescia i movimenti delle due, si accorsero che se ne erano andate solo quando riottennero la possibilità di muoversi a loro piacere.
Gridarono e picchiarono contro il vetro, chiamando aiuto. Ma i loro sforzi erano vani.
Nessuno poteva udirle e nemmeno salvarle.
Presto sarebbero state inghiottite anche loro dalla maledizione dello specchio.
Francesca Antonioli
Che bello! Scrittura semplice e diretta. Ottimo il passaggio dall’atmosfera da commedia adolescenziale all’inquietudine che arriva appena si staglia il teatro diroccato.
Complimenti!
Bel racconto… Mi ha ricordato un po’ Coraline di Neil Gaiman (se non lo hai letto dovresti farlo, chissà che non ti ispiri per il prosieguo del racconto). Un horror adolescenziale ben strutturato. Bello il contrasto tra la solarità delle ragazze e la cupa ambientazione del teatro diroccato. C’era anche qualcosa di Harry Potter o sbaglio? Se hai modo e tempo mi piacerebbe sapere che ne pensi del mio “La Torretta di Guardia”
Rapido e quasi tutto gestito attraverso dialoghi. Si inserisce a pieno titolo nel nobile filone degli specchi magici.
Se hai voglia, ti invito a leggere i miei due racconti, Il Coccodroccolo e Penelope, la Tessiragna.
Arianna
Non ci crederai ma qualche brivido mi ha percorso la schiena. Mi piacciono i racconti horror e questo è proprio bello. Incalzante, angosciante. Gli specchi, poi da sempre rappresentano una linfa vitale per questo tipo di scrittura. Davvero complimenti, anche perché in questo genere di racconti si può correre il rischio di strafare e di cadere nel comico involontario. Ottima prova.