Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2015 “Come un film in bianco e noir” di Alessandro Manzi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015

Le vertiginose scarpe rosse laccate della donna non passano inosservate nel grigiore di quel pomeriggio in cui anche i colori del mercato delle spezie galleggiano tristi nelle pozzanghere di Eminonu. Dai minareti della Moschea Nuova gli altoparlanti spargono nell’aria le preghiere del muezzin che, mescolandosi con le sirene dei battelli, con i rumori del traffico, con i versi dei gabbiani, si riversano sulla folla insieme con la pioggia. Sul vecchio ponte di Galata i pescatori, immobili sotto gli ombrelli e le incerate, consumano attese e sigarette, guardando giù le acque scure del Bosforo. Istanbul è, come sempre, orgogliosamente malinconica.
Sulla lucida targa in ottone al 233 di Karakoy Kaddesi c’è scritto ” Osman Umit – investigazioni “.
Un’occhiata veloce al biglietto tirato fuori dalla borsetta, fiammante come le scarpe, quindi la donna suona il campanello.
– Si !? Chi è’? – gracchia una voce metallica
– Sono la signora Alina Bekir, ho un appuntamento
– Ah… salga… terzo piano
Dietro la scrivania del suo ufficio immerso in un trionfo di libri e carte, scatole di sigari e narghilè, velieri e bottiglie di raki, vuote e semivuote, Osman Umit ripone il giornale sportivo e quando la vede comparire nella cornice della porta, preceduta da un profumo che sa di acqua di mare, dimentica l’autogol con cui al minuto 87 i suoi “canarini gialli” del Fenerbahce hanno perso il derby di andata della Coppa di Turchia la sera prima.
In un ampio impermeabile nero, stretto in vita, dal quale fluiscono due gambe lunghissime, avvolte in calze di seta scura, la donna che gli sta davanti ha un caschetto di capelli neri e occhi di lince. Sui quaranta portati splendidamente, ancora meglio delle scarpe e della borsetta. Agli occhi di Osman Umit merita subito il titolo di “femmina da schianto”, il massimo nella graduatoria dell’hammam che frequenta.
– Ispettore, deve incastrare mio marito! Sono esasperata. Ho deciso di chiedere il divorzio e mi deve aiutare a raccogliere prove da sbattere su un tavolo di tribunale per uscire da questa situazione… nel modo migliore possibile – e scandisce ad arte le ultime tre parole.
– Capisco… annuisce Osman Umit, consapevole di due cose: che “il modo migliore possibile” è un assegno almeno a cinque zeri e che, ancora una volta, si trova di fronte una vicenda di corna.
– Il compito non sarà difficile… mio marito è un vero porco… sempre dietro a tutte le puttane che gli girano intorno e le assicuro che sono davvero tante… segretarie, hostess, accompagnatrici…
Uomo decisamente fortunato… pensa Osman Umit, continuando ad ostentare professionale distacco, solo apparente però, perchè la generosa scollatura della signora Bekir, emersa dall’impermeabile semiaperto, non lo lascia affatto indifferente.
La donna lo informa così che il marito, Beryl Beyazit, ricco industriale del cemento, è sempre in viaggio per affari e convegni e che, nonostante sia prossimo ai sessanta, grazie anche all’aiuto delle provvidenziali novità farmaceutiche, non perde occasione per portarsi a letto donne che preferibilmente hanno la metà dei suoi anni e con le quali si mostra molto, anzi, troppo generoso.
-… un goccio di raki ?
Alina Bekir prende il bicchiere e sorseggia il liquore. Poi riprende.
– Di recente mio marito ha ricevuto anche gravi minacce.
– Da qualche marito o fidanzato…
– No, no. Per tutt’altro motivo! Una speculazione edilizia. Ha pestato i piedi a qualcuno, che ha pensato bene di inviargli un proiettile in una busta… ovviamente anonima… e dato che molti suoi affari non sono… diciamo così… propriamente limpidi, Beryl ha preferito non denunciare il fatto per non avere tra i piedi la polizia, che avrebbe potuto ficcare il naso nei cassetti sbagliati. Ora, però, è molto sospettoso. Ne tenga conto.
– Non si preoccupi signora Bekir, di me può fidarsi.
– Non ho dubbi… questo è il mio biglietto con i miei numeri e questo è un acconto per lei – si sfila così il guanto sinistro e firma un assegno di diecimila lire (turche, ovvio).
Osman è sorpreso, mai ricevuto un acconto così, gli verrebbe da dire…è troppo, invece con studiata sufficienza dice
– Grazie… per il momento può bastare. Questo è il biglietto con i miei numeri. Anche quello del cellulare al quale può sempre chiamarmi… all’occorrenza.
Si pente subito della pausa ambigua e saponosa infilata prima dell’ultima parola. Non è certo quello l’approccio giusto per la signora Alina Bekir.
– Grazie… all’occorrenza… la chiamerò – gli sorride lei maliziosa.
***
Osman Umit ai tavolini dell’Heci Abdullah, proprio davanti al Gran Bazar, si godeva il sole e quell’azzurro insperato che aveva riverniciato Istanbul dopo tanta pioggia. Ora i colori erano più forti delle voci e delle grida. Istanbul era più chiassosa di una scolaresca irrequieta.
Mangiava cozze fritte allo spiedo, perso ad osservare le scarpe dei passanti che dribblavano avanzi di verdure, cartacce, frutta marcia e bottiglie: risalire dalle scarpe alla personalità di chi le porta ai piedi era una delle sua manie. Avrebbe chiamato la signora Bekir non appena finito il sigaro che stava accendendo alla fine di quel pranzo, ma il trillo del cellulare lo sorprende.
– Buongiorno ispettore Umit… novità?
– Nulla di particolare, suo marito sembra un monaco derviscio anzichè il donnaiolo che mi ha descritto! Però… a proposito… ora che ci penso, dovrei farle una domanda un pò… particolare. Mi scusi, ma potrebbe essere importante. Suo marito ieri è andato da Caprice, un negozio di intimo che si trova…
– Lo conosco…
Figuriamoci, pensò Osman Umit.
– Ha detto alla commessa che avrebbe dovuto fare un regalo a sua moglie. Le ha regalato per caso un completo intimo, di colore viola e molto sexy? Di quelli… insomma…
– Da puttana ?
– Beh, non volevo dirlo!
Non capiva se fosse quella donna a prendersi gioco di lui o se fosse lui a essere divenuto improvvisamente un pò imbranato.
-Comunque sarà un regalo destinato a quell’altra. Quella che dovrà incontrare nella camera 72 del Sumengari Hotel domani sera. Ho ascoltato casualmente la telefonata con cui ha prenotato la stanza. Avevo lasciato la doccia aperta e lui credeva che io fossi ancora lì sotto. Ovviamente a me ha inventato la solita balla della cena di lavoro-
– Perfetto, lasci fare a me allora!
Il giorno dopo Osman Umit, dopo aver studiato la zona, fingendosi un cliente dell’Avv. Ozil, di cui ha notato la targa sul portone al n. 243 di Amiral Sokak, una stradina molto tranquilla davanti all’hotel, saluta il portiere dello stabile e sale fin sul terrazzo, appostandosi lì con la sua Nikon munita di teleobiettivo, proprio nel punto più comodo per inquadrare sia l’interno della camera 72, attraverso la sua grande finestra, sia l’ingresso principale dell’hotel.
-…cazzo di mestiere – pensa- pagato per fare il guardone!-
Le nuvole rossastre del tramonto accompagnate da una musica lenta e turca sulla sua testa, sui palazzi e sui minareti, scendevano dietro la moschea di Solimano, nella parte più alta di Sulthanameth. Istanbul era più ammaliante di una danzatrice scalza.
E’ di nuovo il cellulare a spezzare l’incanto.
– Sono Alina Bekir… è pronto ?
– Certo. Sono in terrazzo, proprio davanti alla finestra della stanza e aspetto i piccioncini.
– Anch’io mi trovo da queste parti. Lo vorrei sorprendere in hotel con quella puttana e scatenare una scenata memorabile di cui si ricorderanno un bel pò di testimoni, che poi chiamerò in tribunale per far raccontare al giudice a cosa può arrivare la disperazione di una donna tradita. Potrebbe essere una buona idea, no…!? ….pronto!?… il mio cellulare si sta scaricando… allora, che ne pensa…?
– Non sono uno psicologo…faccia come crede. L’importante è che non si faccia vedere da suo marito prima che lui salga in camera, altrimenti va tutto a…
– Ok, ok…
Dopo qualche secondo la luce della stanza 72 si accende e il sig. Beryl Beyazit, distinto, alto, brizzolato, compare su quella specie di schermo che è l’ampia finestra. Poggia una borsa in terra, si toglie il soprabito gettandolo su una sedia, poi, allentatosi il nodo della cravatta, si abbandona su una poltrona. Di fronte a lui un tavolo in cristallo con una bottiglia di champagne e due bicchieri. Sulla destra un grande letto matrimoniale con una coperta color rubino. Alla parete di fondo due enormi quadri moderni.
Il sig. Beyazit guarda nervosamente l’orologio. Osman Umit lo inquadra con la Nikon, lo segue come un cecchino per studiare la messa a fuoco, quindi spara qualche scatto di prova.
Dopo pochi minuti il sig. Beyazit scompare dallo schermo per un attimo. Forse si dirige verso la porta di ingresso della stanza. Infatti. Ricompare indietreggiando, tira la sottile tenda chiara della finestra e si siede sulla poltrona.
Adesso, a causa della tenda, la visuale è velata, la luce permette di vedere nella stanza con una sorta di effetto flou, come in un vecchio film in bianco e nero. Osman Umit inizia il proprio servizio fotografico.
Una donna dai lunghi capelli neri è entrata sulla scena. Clic. Il volto non è ben visibile. Clic. E’ stretta in un tubino nero. Clic. Si siede di spalle alla finestra sulla poltrona davanti all’uomo. Clic. I due parlano, lei fa un gesto inequivocabile con la mano destra, sfregando ripetutamente indice e pollice fra di loro. Clic. Probabilmente, anzi, sicuramente sta chiedendo soldi. Clic. Beyazit fa cenno di aspettare e prende il portafoglio. Clic. Tira fuori un fascio di banconote e le mette accanto allo champagne. Clic. Versa lo champagne e lo offre alla donna. Clic.
Osman Umit ha l’impressione di vedere un film muto dove i gesti sono più importanti di ogni parola. E’ un film già visto, ma stavolta l’attrice è da oscar… e non per la recitazione.
Quando l’atmosfera comincia a scaldarsi l’attenzione di Osman Umit viene però distolta da un indiscreto concerto di clacson, che iniziano a suonare in un crescendo. Si affaccia e guarda in basso. Due auto bloccano la strada. Un banale tamponamento. Però… ma si… è lei… riconosce l’inconfondibile caschetto, l’impermeabile nero e le scarpe rosse della signora Bekir che, poggiata sul cofano sta scrivendo, probabilmente i suoi dati, su un foglio che consegna al giovane palestrato con un giubbotto nero, che sta davanti a lei e continua a fissare il danno alla parte posteriore della sua auto.
-…ma guarda tu se questa pazza con tante strade che ci sono ad Istanbul doveva venire a tamponare proprio qui sotto!- bofonchia Osman Umit.
Poi torna ad inquadrare la stanza dell’hotel, perchè sa che sta arrivando il momento clou del film.
Beyazit e la sua amica hanno altro da fare che controllare la situazione del traffico.
La donna si alza dalla poltrona e, sempre di spalle alla finestra, inizia a sfilarsi il tubino. Clic. Ora indossa solo un indecente, microscopico, perizoma viola e un reggiseno dello stesso colore. Clic. Anche le autoreggenti sono dello stesso colore. Clic. Prende la borsa con la destra e con la sinistra vi infila veloce le banconote. Clic. L’uomo la invita sul letto, dove si è seduto. Clic. La donna estrae una pistola dalla borsa. Clic. La punta verso l’uomo. Clic. Questo cerca istintivamente di proteggersi il corpo con le mani. Clic. La donna fa fuoco. Clic. Una volta. Clic. Due volte. Clic. Tre volte. Clic. L’uomo cade riverso sul letto in un lago di sangue. Clic. La donna tira fuori dei documenti dalla borsa di Beyazit. Clic. Esce dall’inquadratura. La luce si spegne. Manca solo la parola: fine.
Osman Umit guarda giù dal terrazzo, i clacson hanno smesso di suonare. Alina Bekir si sta dirigendo verso la porta girevole dell’hotel. Osman Umit vorrebbe bloccarla… ma non può gridare… troppo lontano… allora prende il cellulare per avvertirla del pericolo che corre… che c’è una donna armata… che il marito è…
Riprende l’ultima chiamata e schiaccia il tasto di richiamata… secondi interminabili…
Poi la voce “solita”, gentile e irritante “l’utente non è al momento raggiungibile…” – sempre così quando la telefonata è urgentissima, è il banalissimo pensiero di Osman Umit.
Non sa cosa fare, quindi decide di non fare nulla. Aspetta ancora qualche minuto, poi la luce della stanza 72 si accende di nuovo. Riconosce l’impermeabile nero di Alina Bekir. La donna si porta una mano davanti alla bocca e fugge stravolta.
Proprio allora qualcuno lo raggiunge alle spalle. Una botta alla testa. Perde i sensi e… la macchina fotografica.
***
Osman Umit al Nadir Cafè-Bar guarda alla televisione il notiziario che precede l’atteso derby di ritorno per la coppa di Turchia fra i suoi “canarini gialli” e gli odiati cugini del Galatasaray. Il servizio sull’omicidio di Beyazit è l’ultimo, in coda a tutti gli altri. La notizia ha perso gran parte del suo interesse.
“A distanza di dieci giorni emerge una novità sull’omicidio dell’industriale Beryl Beyazit. Spunta fuori un video girato con una microcamera montata sulla finestra della stanza che confermerebbe la versione fornita dal detective privato che, a suo dire, avrebbe fotografato l’assassina, venendo poi derubato della macchina. In questo filmato la donna dai lunghi capelli neri, ancora ricercata dalla polizia, è ripresa sempre di spalle. La microcamera trovata dalla polizia durante la perquisizione della stanza, forse sarebbe stata piazzata con l’intenzione di ricattare l’industriale, magari con l’aiuto di personale dell’albergo. Si continua ad indagare nel campo delle speculazioni edilizie dell’industriale. La direzione dell’albergo avrebbe confermato che sarebbe stato personalmente l’industriale a prenotare telefonicamente la stanza, come aveva fatto già tante volte per incontrarsi con altre donne, sempre diverse.
Adesso linea alla redazione sportiva per l’atteso incontro di calcio….”.
La partita è per Beyazit un concentrato di pura sofferenza, in silenzio, in un angolo con il suo bicchiere di raki.
Al minuto 88 il risultato è ancora di 0-0 “…scende sulla destra Ujfasi, potrebbe essere una delle ultime occasioni per il Fenerbahce per andare almeno ai supplementari, Ujfasi supera il terzino, crossa al centro, Mozar al volo di destrooo …. alle stelleeee… clamoroso errore di Mozar… il centravanti si è letteralmente divorato un goal praticamente fatto!!!… è proprio vero il destro non è il suo piede!”. Nel locale scende il gelo. Anche Osman Umit è rimasto immobile ma la colpa non è di Mozar… che pure strozzerebbe volentieri.
***
La barca ondeggia pigramente sulle acque del Bosforo. La signora Bekir è sdraiata sul ponte a prendere il sole in un costume bianco che esalta la sua abbronzatura. Osman Umit è su una sdraio, anch’egli in costume e occhiali da sole.
– Qui possiamo parlare in tutta tranquillità – dice Alina Bekir
– Ho capito che è stata lei ad uccidere suo marito!- esordisce sbrigativo Osman Umit.
– Bravo, davvero in gamba!
– Lei ha firmato l’assegno nel mio studio con la mano sinistra, togliendosi apposta il guanto, pur avendo la mano destra già libera, perchè l’altro guanto l’aveva già tolto quando mi ha stretto la mano. Anche la donna che ha sparato impugnava la pistola con la mano sinistra… mentre l’altra donna che era in strada per interpretare Alina Bekir scriveva con la mano destra… cosa impossibile per una donna mancina come lei. Chi era quella donna ?
– Mia sorella. Mio padre l’ha avuta da un’altra donna e non l’ha mai riconosciuta. Mi raccontò tutto in punto di morte. Ovviamente non le dirò assolutamente nulla di più su di lei! Ci somigliamo come due gocce d’acqua e dopo averla rintracciata e frequentata, grazie a questa somiglianza impressionante mi è venuta l’idea. Così le ho offerto una barca di soldi solo per tamponare un’auto ed entrare al Sumengari indossando i miei vestiti.
La vita con mio marito ormai era una noia mortale. Molto meglio Nazir, un “ragazzone” di ventisette anni, con il quale ho una relazione segreta da circa un anno. Immagini se mio marito lo avesse scoperto! Avrebbe ottenuto immediatamente il divorzio senza concedermi una lira (turca, ovvio), essendo solo mia la colpa.
– Nazir è il tizio del tamponamento… immagino.
– Davvero intuitivo
– Comunque anche suo marito la cornificava alla grande!
– Macchè! Era più fedele di un cagnolino. Aveva semplicemente delle fantasie deviate. In particolare gli piaceva il giochetto di incontrarmi in hotel, come se fossi una sconosciuta, pagarmi e fare l’amore come fossi…
– Una puttana…
– Appunto! Che fatica! Ogni volta inventarmi una donna diversa… parrucche, occhiali, foulards… all’inizio mi dava anche qualche brivido, poi… solito hotel, solita stanza… solito uomo.
Ho pianificato tutto, dapprima inviando la busta con il proiettile, tanto per intorbidire le acque. Dopo qualche tempo ho proposto a Beryl il solito giochino e lui ha subito prenotato la camera. Gli ho anche chiesto un completo adatto alla circostanza e lui è andato da Caprice.
Sapevo che l’unico punto in cui lei si sarebbe potuto appostare sarebbe stato quel terrazzo. Quando ho avuto la conferma che era lì, ho fatto cenno a mia sorella e a Nazir di entrare in Admiral Sokak con le macchine e creare un pò di casino, mettendo in atto la scena del tamponamento, solo per attirare la sua attenzione.
Intanto io sono entrata travestita in hotel da un ingresso secondario dopo aver spento il cellulare. Avrei fatto fuoco solo dopo aver ascoltato per un bel pezzo i clacson. Spegnere la luce della stanza era il segnale per mia sorella che sarebbe potuta entrare in hotel.
– E la microcamera ?
– L’ho piazzata io in un’altra occasione. Il video doveva essere la prova fondamentale, lei, ispettore, avrebbe dovuto avere solo un ruolo di supporto e di contorno alla prova regina. Naturalmente sarei stata molto attenta a farmi riprendere solo di spalle.
Poi, nel bagno, fuori dal raggio della microcamera, ho tolto la parrucca, messo un abito diverso, rivoltato il soprabito double face, riposto tubino, pistola e parrucca nella borsa e sono scesa in ascensore al primo piano, dove mia sorella era salita nel frattempo. Ci siamo incontrate nel bagno al lato dell’ascensore. Lì abbiamo scambiato gli impermeabili. Io ero di nuovo Alina Bekir che, entrata in hotel, andava nella stanza 72 per sorprendere il marito. Avevo lasciato la porta socchiusa.
Mia sorella, invece, è scesa con l’ascensore al piano interrato, dove c’è il parcheggio e da lì è andata via con la macchina disfacendosi poi della borsa.
Nazir, invece, che abita nel palazzo dove lei era appostato, è salito su e, per gettare altro fumo negli occhi, le ha rubato la macchina fotografica. Se non ci fosse riuscito… pazienza… avrebbe sempre potuto dire che aveva sentito dei passi sul terrazzo e aveva sorpreso lì sopra un tipo losco. In fondo la prova decisiva restava il filmato.
Pensi che una mia amica per consolarmi della morte di Beryl mi ha detto: coraggio… grazie a quel banale tamponamento hai incontrato Nazir. Ah… domani ho appuntamento dal notaio per la successione… sono l’unica erede di Beryl…
Osman Umit ha allora pensieri davvero intrascrivibili, mentre il suo sguardo risale la linea delle anche della signora Bekir come un cammello su una duna.
Alina Bekir sa che Osman Umit non la denuncerebbe mai perchè mai potrebbe provare l’esistenza di sua sorella, praticamente un fantasma, e anche perchè… all’occorrenza…

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1 commento »

  1. N.B.: nel 3° paragrafo anzichè “La partita è per Beyazit un concentrato di pura sofferenza” deve intendersi “La partita è per Osman Umit un concentrato di pura sofferenza”. Scusate il refuso.

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