Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2015 “Il sogno di Amal” di Carla Pasqualucci

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015

La notte acuisce i sensi. E questa è una notte di fuoco.

Il mio corpo è vivo, sensibile ai più deboli segnali di allarme che possono venire dal mare. Ho fame di aria, eppure non è il vento che manca, in mezzo a questa distesa d’acqua sconosciuta e temuta. Il vento è ovunque: sferza la giacca dello scafista, ritto e determinato a portare questo carico di esseri umani sulla terraferma, percuote le taniche dell’acqua, ormai quasi vuote e ne esce un lamento ottuso, sventaglia a caso i vestiti delle donne e la minuscola bandiera siriana, annodata da chissà chi tra le gomene della barca. Guardo incredulo, quasi ipnotizzato, quello straccetto colorato e penso a chi può averlo lasciato. Un gesto di compassione o di semplice superstizione? Non importa, ora è lì, a ricordarci da dove da dove siamo partiti. Solo un simbolo, si dirà, ma per noi è altro: la sintesi di un destino comune.

Il nostro viaggio continua, accompagnato dalle preghiere di quelli che abbiamo lasciato. E potrei sentirle, anche adesso, le parole salmodiate dalle anziane….se solo si placasse, per un attimo, il rumore regolare dell’acqua sui fianchi di questa dannata barca. Mia madre ha benedetto la nostra decisione di lasciare la Siria, ma non ha mai pensato di seguirci: ha giurato di aspettare lì il ritorno di mio fratello, partito con un gruppo armato due mesi fa. Il tempo che le resta sarà scandito  dall’attesa e dalla preghiera, fino a che suo figlio non tornerà.

Amal, la mia sposa, invece è qui, infagottata in un’enorme giacca a vento che non la protegge dalle sferzate del freddo mentre la sua bella testa fasciata in una stoffa gialla finalmente si riposa sulla mia spalla. Lei non ha paura, lo so. Me ne accorgo da come la guardano le altre donne, che fuggono dalla sofferenza ma senza convinzione, che abbracciano i loro figli ma non li sanno confortare. Lei no. Questa traversata Amal l’ha voluta, con la stessa determinazione con cui ha voluto un figlio da me e la linea del ventre dolcemente arrotondata promette l’arrivo di un bambino sano e fortunato. E a me non resta che guardarla, questa notte, ed essere felice del peso del suo corpo contro il mio.

Poi un lampo, inaspettato, come sempre. E la paura che si affaccia di nuovo: non potremmo affrontare un’altra tempesta. Questa è una delle poche certezze che ci restano. Questa umanità dimenticata dagli uomini in punto imprecisato del Mediterraneo, inseguita dai fantasmi della guerra non può più difendersi dalle offese della natura. Non ne abbiamo i mezzi, nè la forza. Questo mare  è speranza e minaccia. E in questo precario equilibrio vado avanti, tra il ricatto della paura e l’illusione di farcela. Per darmi coraggio vado con la mente al mio primo incontro con Amal. Lei sorrideva, timida, sottobraccio ad un’amica mentre camminavano svelte tra le rovine del quartiere nord di Aleppo. Questo è il primo ricordo che ho di lei. Fuori da quella desolazione potevano sembrare due ragazze di ritorno da una festa che si scambiano confidenze. Ricordo che le ho seguite per un pò, incuriosito e sorpreso della loro allegria, fino ad un cortile dove sono improvvisamente sparite. Smarrito ho provato a cercare le due sconosciute, tra le case abbandonate dopo gli ultimi bombardamenti, ma inutilmente. Poi, mentre mi allontanavo da quel cumulo di case sventrate, si è levato, dal nulla di quelle rovine, una cantilena infantile. Era una filastrocca, di quelle che insegnano ai bambini nei primi anni di scuola, vagamente patriottica e retorica. Erano mesi che non sentivo qualcuno cantare: le voci umane erano state soffocate, da un tempo che a me pareva infinito, da quelle dei mortai e sorpreso da quel regalo inatteso mi sono fermato per alcuni minuti ad ascoltare.

Sono tornato, nei giorni seguenti, in quel quartiere, di ritorno dal mercato, dopo aver sistemato con mio padre le poche cose che ancora potevamo vendere nel vecchio suk. Le case, o i loro simulacri, avevano la fissità di un cimitero e proprio là io cercavo la vita. Finalmente, un giorno, l’ho rivista, ma stavolta era accompagnata da un gruppo di bambine che la seguivano silenziose, solo più tardi ho scoperto che erano sue allieve: in una improvvisata scuola clandestina, Amal e le sue amiche cercavano di offrire loro l’illusione di una vita normale tra letture, laboratori di ricamo e lezioni di canto.

Il resto è una storia d’amore, comune ed eccezionale, come tutte le storie d’amore. Ma la nostra è anche la storia di un viaggio forzato, di panico ai posti di blocco, di una fuga illuminata dai razzi e di abbracci forti, per sostenere il peso di uno strano destino che ci ha voluto sposi in esilio. E senza dircelo, mentre attraversiamo il confine, ci rendiamo conto, senza dircelo, che la cosa più difficile sarà estirpare la nostalgia del nostro paese.

La mia sposa, la mia bellissima e coraggiosa sposa, ora dorme e sogna la rocca di Aleppo e l’odore dei gelsomini per le strade della nostra infanzia.. Dove sono le tue mani? Le tieni strette intorno al ventre per proteggerlo da questi fratelli che potrebbero soffocarci con i loro corpi. Ne abbiamo visti tanti svenire, sopraffatti dalla fame o dai ricordi. Ma a noi non è permesso pensare al passato, i ricordi dobbiamo chiuderli, sigillarli : questo è l’impegno che ci siamo scambiati, insieme alla promessa di matrimonio. Sposarsi in tempo di guerra. Esiste una follia più positiva di questa? Niente invitati, niente offerte di cibo o musiche sincopate di tamburi o urla di uomini festanti alle nostre nozze, solo una promessa solenne davanti ai tuoi fratelli: quella di proteggerti dal male. E io manterrò fede a questo giuramento, sopravviveremo a questa notte, alla potenza del mare e alla ferocia dei traghettatori. Poi, quando questa traversata sarà solo un fantasma lontano, che ci tornerà in sogno sempre più raramente perdendo la forza come un incubo ormai addomesticato, allora avremo anche noi una festa nuziale, così come vuole vuole la nostra fede. Un matrimonio deve essere sempre annunciato, così ci tramanda la legge. E anche il nostro lo sarà, davanti a una moschea e al suono dei tamburi, così che anche nei quartieri più lontani giunga l’eco della nostra unione.

Nostro figlio nascerà in una terra sconosciuta a noi e a lui. Senza paura sarà lui a guidarci e se sarà una femmina sarò orgoglioso della sua bellezza e della grazia dei suoi passi. Ho conosciuto solo donne coraggiose e la guerra le ha rese invincibili. Avrà la stessa smania di vivere del nostro popolo perchè il suo breve cammino è già iniziato da nomade, ancor prima di vedere il sole, e quando il mondo degli uomini cadrà a pezzi, lei sarà lì con il suo carico di speranza ad indicarci il futuro.

 

 

 

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2 commenti »

  1. Complimenti per il racconto. Nella sua reale crudeltà, l’ho trovato veramente affascinante.

  2. Tema attuale affrontato con poetica nostalgia. Condivido la scelta del racconto in prima persona e l’idea di far emergere (non solo dalle cose che racconta ma anche dal modo in cui le racconta) la personalità del narratore: uomo di buona cultura e profonda sensibilità costretto dalla guerra a fuggire dalla terra natia verso un futuro che ha le forme morbide della sua sposa, Amaal, e del bambino che porta in grembo. Complimenti. Sarei curioso di conoscere il tuo parere sul mio “La Torretta di Guardia” del 27 maggio anche perché credo ci siano delle affinità con il tuo racconto… Spero di averti incuriosita…

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