Premio Racconti nella Rete 2015 “Martirio” di Riccardo Ortolano
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Martirio
La luce della lampada si riflette rossiccia sul piano dello scrittoio in ciliegio. L’alzata colma di petulanti cassettini lascia cadere silenziosamente la sua ombra, dentro la quale tentano di nascondersi la custodia dei miei occhiali, alcune matite, un temperamatite in bronzo.
L’orologio a pendolo che hai comprato da un antiquario in via Giulia ticchetta solerte dalla parete di fronte, affettando il tempo in piccole porzioni trasparenti e vuote, tutte uguali ed inutili.
In casa si è finalmente fatto silenzio. Niente più squilli di telefono, campanelli della porta, parole, grida, pianti, oh sì, molti pianti.
Il tuo spazio, lo spazio che tu non occupi, attira la mia attenzione, anche se cerco di concentrarmi su qualcosa di più utile.
Non sei più tornato a casa, ormai da due giorni, e la cosa più insopportabile è sapere che soffri, non sapere dove sei, e sapere che sei nel più grave pericolo della tua vita, della nostra vita.
I cinque carabinieri della tua scorta sono stati uccisi e non posso pensare a loro senza sentire un’angoscia profonda, un desiderio di sprofondare sottoterra e non sentire più nulla, tanto è atroce il dolore che provo. Che sia stato compiuto un atto così spietato e crudele conferma tristemente che siamo in guerra. Lo dicevano spesso, di sentirsi in pericolo, minacciati, ma dicevano sempre di volerti proteggere anche a costo della loro vita e purtroppo così è stato, ma non è bastato.
Tuttavia so che sei vivo, lo sento con il cuore, ma anche con la ragione, perché altrimenti … saresti stato ucciso anche tu in via Fani.
Ieri sono scesi in piazza operai e studenti per dimostrare solidarietà. Questo mi ha un po’ consolata.
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Le Brigate Rosse hanno rivendicato il tuo sequestro, senza chiedere nulla in cambio, ma qualcuno dice che vogliono la liberazione di loro compagni in carcere. Ad esempio Curcio.
Cerco di contattare qualche amico, per sentire cosa si può tentare per salvarti, per riportarti a casa. Mi sembra di trovarmi sotto mura ciclopiche, insormontabili ed inattaccabili. Trevati mi dice:
“Arrigo Levi ha scritto sulla stampa: “Con i terroristi non si tratta” e ti assicuro che, per quanto mi dispiaccia nel più profondo del cuore, la maggior parte dei parlamentari la pensa così.”
Ho letto anch’io l’articolo di Levi. Dice che le Brigate Rosse hanno già perso, perché il loro terribile atto ha fatto sì che le forze politiche costituzionali trovassero un’unità assoluta. Ma quest’unità ti condanna.
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Davanti a me ho il Corriere della Sera, prima pagina. Le BR hanno fatto ritrovare un loro comunicato, il primo dal rapimento, ed una tua foto in prigionia. Mi si stringe il cuore, è insopportabile vederti così, triste e umiliato, anche se mi sembra di vedere anche una piega ironica sulla tua bocca. Tuttavia è un grande sollievo non vedere segni di violenza. Il comunicato parla di “processo” a cui vorrebbero sottoporti. Forse è all’assurdità di tutto questo che si deve l’ironia sul tuo volto.
Oggi sono andata da Zamperlini. Sono salita in fretta in auto, con gli uomini della scorta, per timore che qualcuno potesse vedermi. L’autista è partito velocemente, dopo un po’ ho guardato fuori: il sole illuminava i palazzi sotto un cielo azzurro intenso. Più avanti ci siamo fermati in coda. C’era un posto di blocco militare. Roma ne è piena, a quanto pare.
Zamperlini mi ha ricevuto con affetto, ma il suo viso, solcato da profonde rughe e cosparso di macchie, era di pietra, lo sguardo immobile. Dopo alcune frasi di circostanza, mi ha fatto capire che secondo lui non c’era nessuna possibilità di avviare una trattativa con le BR. Ha detto invece che avevano potenziato enormemente le forze in azione per le ricerche e che avevano preparato delle leggi speciali per combattere il terrorismo. L’ho supplicato, non potevano abbandonarti in mano ai terroristi. Dovevano almeno iniziare una trattativa. Lui mi ha detto che era in ballo la sorte dell’Italia. Solo ieri hanno ucciso due giovani di sinistra, mi ha detto, il paese rischia di cadere in una guerra civile.
Torno a casa, in tempo per sentire i miei figli che discutono con voci alterate. Federica e Giorgio sono spesso in disaccordo, in condizioni normali, figuriamoci ora, con la tensione che ci avvolge tutti.
L’orologio a pendolo si è fermato. Non il tempo. Nessuno osa ricaricarlo. Lo farai tu, appena torni.
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Le BR hanno ucciso una guardia carceraria a Torino.
Vado a parlare ad Arlotti, che ora è presidente del consiglio. Sono fortunata, mi riceve quasi subito. Anche a lui chiedo cosa si può fare per liberarti, se non è possibile intavolare una trattativa, come chiedi tu. Il suo volto tondeggiante sul quale risaltano gli occhiali cerchiati di nero, si contrae in una smorfia di garbata derisione, mista ad un untuoso, sommesso disprezzo.
“Signora carissima – mi dice – io capisco il suo stato d’animo, ma se aprissimo una trattativa con le BR, una delle mogli degli uomini della scorta uccisi, si darebbe fuoco in piazza!”
“Questo mi è impossibile crederlo! – gli urlo in faccia, avvampando di rabbia – Le conosco bene, venivano a trovarci anche la domenica ed erano tutti, mariti e mogli, molto, molto affezionati a mio marito!”
“Signora, mi creda, stiamo facendo tutto il possibile, ma non mi chieda di trattare con chi ha le mani sporche di sangue!”
“Onorevole, saranno presto sporche di sangue anche le sue! Lo state condannando!”
Me ne vado infuriata, senza salutare.
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Giorgio mi porta in camera sua ed accende lo stereo. La nona sinfonia di Beethoven invade la stanza. Dal mio sguardo percepisce lo stupore. Mi sussurra in un orecchio:
“Mamma, forse ci sono dei microfoni. Forse ci spiano. Volevo spiegarti perché litigavamo io e Federica. Conosci l’avv. Spizzi, del movimento Febbraio 74, come me. Sì, quello che è stato qui in casa nostra parecchie volte. Il nostro è un movimento di sinistra, sai, abbiamo conoscenze in vari movimenti. E’ riuscito ad entrare in contatto, non direttamente, con un fiancheggiatore delle BR. Questo tizio vorrebbe uscirne, ma gli servono soldi per scappare all’estero. E’ disposto a dirci dov’è il nascondiglio di papà. Capisci?”
“Giorgio … mi sembra una follia …”
“Mamma, abbiamo il dovere di tentare, la polizia non sta cavando un ragno dal buco. Vuole cinquanta milioni.”
“Mio dio, Giorgio, dove li prendiamo? Lo sai che abbiamo i conti bloccati!”
“Spizzi dice che potrebbe trovare qualcuno che ce li presta, nella cerchia dei nostri amici. Forse possiamo convincere il nostro “amico” ad accettarne venti o trenta.”
“Ma se anche fosse, chi ci dice che non sia un trucco, un avvoltoio che vuole lucrare sulle nostre disgrazie?”
“Io penso che dovremmo comunque tentare, abbiamo il dovere di farlo! La salvezza di papà viene prima di tutto. E poi Spizzi dice di essere abbastanza sicuro che sia tutto vero.”
“Ma è un reato … oh, mio Dio. Va bene, Giorgio, ma sii prudente e dillo anche a Spizzi.”
Rientro in camera mia in trance. Il cuore impazzisce. I mobili mi guardano, scuri ed attoniti, stupiti del mio viso, che si riflette pallido e tremante nello specchio. Che succederà? Oh, Sergio, come vorrei che fossi qui…
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L’avvocato Spizzi entra come un tornado in casa e s’infila in camera di Giorgio, con Giorgio. Lo stereo si accende. Oggi suonano le ouverture di Rossini. Sento il ritmo martellante della Gazza Ladra, la mia mente vorrebbe alzarsi ed andare di là con loro, ma le mie gambe si rifiutano. Si stanno contorcendo internamente come un convolvolo attorno ad una siepe. Finalmente riesco ad alzarmi, mi avvicino alla porta in mogano e vetro. La spingo. Giorgio si gira di scatto verso di me e, riconosciutami, annuisce con forza, mi fa segno di avvicinarmi. Mi avvicino, mi sussurra una frase. “Ce l’abbiamo! E’ a Roma, in via Gradoli”.
Non possiamo rischiare di andare in commissariato. Potrebbero arrestare Spizzi o Giorgio per più di un motivo. Spizzi farà una telefonata anonima da una cabina, subito.
Esce come un tornado. Noi giriamo per casa come in trance. Ora Rossini è stato sostituito dalla radio, nel caso ci fosse qualche edizione straordinaria del notiziario. Accendiamo anche la televisione. Non vedo l’ora che tu torni e possa leggere queste pagine.
Le ore passano inutilmente. Giorgio borbotta “Ma cosa aspettano”, “Quanto ci mettono” ed altre frasi del genere. A tarda sera ancora nulla. Ci arrendiamo ed andiamo a letto. Io tengo una radiolina sul comodino. L’accendo più volte in questa notte tormentata. Nulla. Solo musica classica.
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Dopo due giorni di tormento, sentiamo la notizia. Un comunicato delle BR annuncia che Sergio Mauri è stato ucciso. Il sangue defluisce da ogni organo del mio corpo. Le unghie affondano nel palmo fino a inciderlo, ma non sento il dolore, non lì. Giorgio batte i pugni sul tavolo, Federica urla qualcosa, ma non capisco.
Squilla il telefono. E’ il capo della polizia. Risponde Giorgio.
“Sono Giorgio, il figlio. Mi dica. Il messaggio potrebbe essere falso? Grazie, commissario, lei ci dà un enorme sollievo, la ringrazio anche da parte di mia madre e mia sorella. Ah, c’è dell’altro? Caspita, ottimo! No! Come vuoto? Sono fuggiti? Ve li siete fatti scappare, maledizione!! … Si, mi scusi, non volevo offendere, la prego di capire, tutti questi shock! Va bene, commissario, grazie, ci tenga informati.”
Clic.
Il mio sguardo interrogativo attende una risposta. Giorgio annaspa. Poi sbotta:
“Mi ha detto che hanno trovato un nascondiglio delle BR, in via Gradoli, ma era vuoto. Non c’era più nessuno, capisci? Scappati. Maledetti! Hanno qualche informatore nella polizia, non c’è altra spiegazione!”
Ho voltato lo sguardo verso la finestra e visto il cielo color dell’imbrunire. Bello com’è bello il cielo di Roma. Triste come un sogno infranto.
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La tua lettera a Zamberlini e le altre hanno fatto nascere una questione infinita sulla veridicità delle lettere. Sono arrivati a dire che sei stato drogato o che la prigionia ti ha fatto uscire di senno o che chi scrive veramente è un brigatista.
Io so che le lettere sono tue. Conosco troppo bene il tuo stile, i tuoi modi. Anche Giorgio e Federica ne sono convinti. Certo, ormai è più di un mese che sei prigioniero; sicuramente, nonostante le rassicurazioni che dispensi per non rattristarci, avrai sofferto enormemente, nel corpo e nello spirito. E questo potrebbe aver alterato il tuo equilibrio mentale. Ma non è così, e quello che scrivi io lo condivido assolutamente e completamente. Chi sostiene il contrario, e sono molti politici colleghi di partito, lo fa perché in questo modo può ignorare i tuoi appelli e giustificare la volontà di non aiutarti, di abbandonarti al tuo destino. Anzi, un timore mi gela il sangue: che proprio loro, i tuoi colleghi, vogliano liberarsi di te, persona scomoda, ed anzi sfruttare il tuo martirio per rafforzare il partito e se stessi al potere.
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Un nuovo comunicato delle BR. Una nuova foto. Sei vivo. Chiedono di liberare tredici dei loro in carcere. Sono disperata. I nostri figli hanno scritto un comunicato per te, che abbiamo inviato con un telegramma ad un giornale di Milano, di cui conosco il direttore e so che ne farà un uso corretto.
«Caro papà, sentiamo il bisogno dopo tanti giorni, di farti giungere con queste poche righe, un segno del nostro affetto…»
E’ giusto che tu sappia quanto ti amano, in questo momento in cui le tue lettere paiono sempre più tragiche e rassegnate. Forse servirà a darti la forza di resistere, finchè Iddio non ti salverà, perché io so che lo farà.
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E’ tutto finito. Ieri mattina la televisione ha interrotto i programmi ed ha detto che le BR hanno fatto ritrovare il tuo corpo, nel bagagliaio di un’auto. Senza vita. Oh Dio, Dio, Dio! Perché un martirio così crudele, per una missione che non volevi, che io non volevo, perché volevamo finalmente dedicarci ai nostri figli, al piccolo adorato nipotino Luca, al prossimo figlio di Angela. Perché per chiamarti a sè ha usato questa muta di belve, di iene schifose putride vigliacche!
Abbiamo pianto, gridato, sussurrato, battuto i pugni. Io e Federica, Emma, Angela, Giorgio, i tuoi figli. Gli unici che abbiano sempre, fortissimamente, voluto la tua salvezza.
Oggi ti abbiamo sepolto qui, in questo paesino fuori Roma, vicino a questa casa che tu amavi tanto per la tranquillità. Non abbiamo voluto nessuna cerimonia ufficiale, nessun politico, non avremmo sopportato di vedere le facce da tristezza di circostanza di chi ti ha abbandonato e condannato.
Riposa in pace.
Celebrazione di una brutta pagina, rievocata in un bello stile.
Il punto di vista della moglie rende il racconto originale. Mi è venuta in mente una frase, dolcissima, estratta dalle lettere di Moro alla moglie scritte durante la prigionia, che i Virginiana Miller hanno usato in una loro bellissima canzone, “Anni di piombo”: E una mia immensa tenerezza passa per le tue mani…
Molto coinvolgente, bella resa di un momento orribile.
Complimenti davvero. Una brutta pagina della nostra storia (arcinota e arcirappresentata) ma il punto di vista dal quale hai scelto di raccontarla le da una veste originale e assolutamente credibile. L’idea di raccontare lo strazio della famiglia, l’intimo dolore della moglie e del figlio (incapace di arrendersi al destino già scritto dai politicanti di mestiere) è una scelta coraggiosa che funziona. Ci hai portato dentro le.mura di casa Moro, nell’ angosciosa attesa di una buona notizia che purtroppo non arriverà mai… Sarei curioso di conoscere il tuo parere sul mio “La Torretta di Guardia” del 27 maggio