Premio Racconti nella Rete 2015 “Marta” di Alessandro Tassi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Una cosa è certa: Mario sa correre. Mario corre sempre. Corre quando sale le scale, corre per andare e tornare da scuola, ma, soprattutto, corre quando, in estate, dal mercato, con le buste della spesa equamente distribuite tra mano destra e sinistra, torna a casa.
D’estate, Mario corre dalla piazza del Conservatorio, per via Granari fino a piazza San Giovanni e poi, via, sotto l’archetto che dà su piazza Leandra, dove vive con la mamma, in una delle vecchie case che l’abbracciano.
Le pesanti buste che si trascina dietro lo fanno sbandare ad ogni cambio di direzione, ma lui sa che deve fare presto perché, di lì a poco, assisterà allo spettacolo più meraviglioso a cui non avrebbe mai potuto immaginare di assistere, neanche nel più fantastico dei sogni.
Mario varca la soglia del portone del palazzo, sale le scale a due a due, entra nel suo appartamento, lascia cadere pesantemente le buste in terra e, sempre di corsa, si dirige verso la finestra della sua camera da letto. La finestra dà proprio su piazza Leandra, in linea con la fontana che campeggia nel centro.
Ogni giorno dell’estate, da fine giugno ad inizio settembre, Mario aspetta. Aspetta che lei appaia dal medesimo arco da cui pochi attimi prima lui si è precipitato verso casa e, accompagnata dall’ululare delle sirene delle navi che lasciano il porto di Civitavecchia destinate chissà dove, si appoggi alla fontana, che usa coma una sbarra, ed inizi a danzare.
Lei è Marta, dieci anni, due più di lui. L’età è un abisso tanto incolmabile da rendere quell’amore impossibile.
Ma a Mario non interessa, lui si accontenta di vederla danzare.
E Marta danza. Danza con una leggerezza unica. Marta è come un alito di vento. Se Mario chiude gli occhi, ha l’impressione che il profumo di lei gli riempia la stanza.
– Ciao Marta!- salutò Mario quando vide Marta farglisi incontro nell’androne dell’Università.
– Ciao moro!- rispose lei, sorridente.
– Io…insomma, vorrei…se fossi libera, magari…stasera…-
Mario farfugliava parole smozzicate così come il suo cervello le pensava.
– Mario, non ho mai conosciuto un imbranato simile!- esclamò Marta – Ti passo a prendere stasera con il mio motorino. Cerca di scendere subito quando ti suono, non mi piace aspettare!
– Ce…certamente!- fece Mario, mentre lei già si dirigeva verso l’uscita.
Ogni giorno dell’estate, da fine giugno ad inizio settembre, Mario, nascosto dietro i vetri della finestra di camera sua, spia Marta ballare intorno alla fontana di piazza Leandra. Marta ha lo sguardo fiero, puntato verso un orizzonte che gli occhi di Mario non riescono a scorgere.
La pelle di Marta era leggermente abbronzata. Mario, con un dito, accarezzò tutto il suo corpo. Seguì delicatamente la linea del suo naso, si mosse lento intorno ai contorni della bocca, le sfiorò appena il collo per poi soffermarsi più a lungo sulle sue spalle.
Marta se ne stava immobile, distesa sul letto con gli occhi chiusi, facendo ben attenzione a non far capire a Mario il piacere che le dava il suo dito che le scivolava sulla pelle.
Il dito di Mario si spinse fino ai capezzoli, che toccò alternativamente. Con gli occhi stupiti, li osservò crescere poi, incuriosito, li strinse tra le dite facendola gemere appena.
Per Mario fare l’amore con Marta era la cosa più bella del mondo. Ogni volta era come se uscisse dal suo corpo e vedesse la scena da diverse angolazioni. Mentre faceva l’amore con lei era come un regista: nella sua testa accompagnava ogni gesto con musiche che facevano da colonna sonora alle parole che pian piano le sussurrava. Per Mario l’amore era fare l’amore con Marta.
Ogni giorno d’estate, da fine giugno ad inizio settembre, Marta balla proprio davanti alla fontana che sta al centro di piazza Leandra. Balla con grazia, sicura che, da una delle finestre che circondano la piazza, due occhi la stiano guardando. Lei sa che quegli occhi sono gli occhi di Mario.
Finalmente Mario riuscì a laurearsi, suo padre sarebbe stato fiero di lui. La laurea in architettura l’aveva conquistata pagandosi gli studi a forza di pomodori raccolti nelle campagne tarquiniesi, ogni estate dalla mattina alla sera, risparmiando ogni centesimo necessario al pagamento dell’iscrizione e dei libri di testo.
Marta era ormai un avvocato, le piaceva la professione ed era cinica ed ambiziosa quanto bastava.
Il sogno di Mario era di progettare la loro casa, un posto speciale dove dividere la loro vita e, magari, riempirla di bambini.
Il sogno di Marta era quello di arrivare più in alto possibile, d’altronde chi la conosceva diceva che aveva tutti i numeri per avere successo, peccato per quel suo fidanzato un po’ sfigato.
Ogni giorno d’estate, da fine giugno ad inizio settembre, Mario passa molto tempo all’oratorio e spesso confessa ad un prete che, nascosto dietro alla finestra di camera sua, guarda una bambina danzare proprio davanti alla fontana di Piazza Leandra.
– Spiare non sta bene, Mario! – lo rimprovera l’uomo – Dovrai fare penitenza.
– Oh Gesù, d’amore acceso, non t’avessi mai offeso! Oh mio caro e buon Gesù, non ti voglio offender più!- recita Mario, ogni volta.
Ma a Mario piace fantasticare sul loro futuro insieme, peccato non avere il coraggio di correrle incontro e dirle qualcosa.
Mario ha otto anni ed è troppo timido per parlare con una bambina di dieci che ogni giorno, sfacciatamente, balla in mezzo alla piazza. A lui piace semplicemente starsene nascosto in camera sua ed osservare Marta mentre balla.
Il giorno del matrimonio Marta aveva un bellissimo abito da sposa scollato sul di dietro, che lasciava scoperta la sua schiena flessuosa.
– Lo hai messo al contrario!- le diceva scherzoso Mario, imprigionato in un improbabile vestito gessato.
La chiesa l’avevano costruita nell’undicesimo secolo, nell’anno mille, quello della fine del mondo. Era piccola, poteva contenere cinquanta persona al massimo, ma era fin troppo grande per i pochi invitati. Un po’ di buon senso aveva consigliato i due giovani sposi di sottrarsi all’estro di parenti mai frequentati.
Un sacerdote barbuto aspettava sorridente, in piedi, sull’altare. La madre di Mario accompagnava il figlio commossa.
Trenta passi, né uno di più né uno di meno, separavano Mario da Marta. Lei incedeva sicura ed elegante come una regina, alla sua sinistra il padre, dall’aspetto più popolare. Mario si sentì rassicurato.
Ogni giorno d’estate, da fine giugno ad inizio settembre, per Mario è bello aspettare nascosto dietro la finestra della sua camera da letto l’arrivo di Marta.
Marta ha dieci anni, due più di lui, ed è bellissima.
Mario la osserva arrivare tranquilla da sotto l’archetto che da S. Giovanni immette su piazza Leandra. Giunta vicino alla fontana, Marta indossa il suo i-pod ed inizia a danzare. Ogni volta che Mario la vede danzare, vorrebbe correrle incontro e stringerla forte per farle capire quanto le piace. Mario non sente la musica, ma i movimenti di Marta gli entrano dentro come le note delle canzoni che sua madre sente mentre sbriga le faccende domestiche e che a lui piacciono tanto.
La cosa che Mario più desiderava da Marta era un figlio. Erano sposati ormai da cinque anni e lei sembrava non accorgersi di questo suo desiderio.
Marta era molto presa dal suo lavoro. Era sempre stata molto ambiziosa.
Mario la vedeva così sfuggente quando si parlava di avere dei figli, che finì col convincersi che non fosse il caso di affrontare ulteriormente l’argomento.
Il lavoro la portava, sempre più frequentemente, lontana da Mario, anche per lunghi periodi.
-Ho conosciuto un uomo, ci vediamo da quasi un anno ormai. Ho deciso di andare a vivere con lui. Domani mando qualcuno a prendere le ultime cose!-
Poche parole scritte su un post-it appiccicato sullo specchio del bagno rendevano chiara la verità che lui si era negato fino a quel momento.
Trovarsi ogni giorno solo in quella casa, che aveva progettato e costruito per lei, non lo aiutava a superare la depressione in cui era caduto. Mario non aveva altri interessi se non la sua donna. Eppure uno dei suoi scrittori preferiti, Gibran Kalhil Gibran, facendo parlare il suo profeta lo aveva avvertito: […] vi sia spazio nella vostra unione, e tra voi danzino i venti dei cieli. Amatevi l’un l’altro, ma non fatene una prigione d’amore: […] siate uniti, ma non troppo vicini; le colonne del tempio si ergono distanti, e la quercia e il cipresso non crescono l’una all’ombra dell’altro.
Cosa restava a Mario ora che Marta lo aveva lasciato?
Si trascinava da un posto all’altro sempre profondamente annoiato, in cerca di una nuova identità che potesse restituirgli una qualsiasi capacità di godersi la vita.
– L’alcool ha uno strano sapore metallico quando ne ingurgiti grosse quantità. Tutto inizia a sapere stranamente di gin!-
Parlava da solo Mario, mentre passeggiava in pieno inverno lungo i binari della stazione indossando una camicia di lino, un paio di jeans e delle ciabatte infradito.
Ogni giorno d’estate, da fine giugno ad inizio settembre, uno strano fatto eccita Mario: Marta arriva tutta sorridente a piazza Leandra. Ha dieci anni ed è la bambina più bella del mondo. Indossa un vestito di cotone leggero, tagliato sotto il seno, che naturalmente ancora non ha, che le arriva alle ginocchia. Ogni giorno, Marta, prima di iniziare a danzare, si guarda intorno, ma soprattutto punta lo sguardo verso la finestra della stanza di Mario, sicura che lui, là dietro, la stia guardando.
All’inizio Marta si sforzava di non pensare a Mario, convinta che la nuova vita iniziata con quel suo nuovo compagno più determinato e sicuramente più uomo, le avrebbe dato emozioni più mature, che con Mario, eterno bambino, sentiva che non avrebbe mai provato.
Quando Marta rivide Mario, lui se ne stava avvolto in una coperta sotto casa sua. Sembrava un barbone, lo riconobbe appena. Marta sarebbe stata tutto il giorno sola, l’altro era fuori per discutere un affare importante.
Lo aiutò a rimettersi in piedi. Insieme salirono i pochi gradini che li separavano dall’ascensore. Entrati in casa, Marta aiutò Mario a spogliarsi e ad infilarsi nella vasca da bagno. Puzzava come un caprone, la vita di strada gli aveva dato altre priorità.
I seni di Marta nelle sue mani avevano una nuova consistenza. Per Mario fare l’amore con Marta era la cosa più bella del mondo. Fare l’amore con Marta aveva ogni volta un sapore diverso. Fare l’amore con Marta non aveva il sapore metallico del gin.
Mario e Marta quel giorno non si parlarono, si salutarono silenziosamente e ognuno tornò per la sua strada.
In realtà, Mario, grazie alla speranza che quell’incontro aveva fatto nascere in lui, trovò la forza di tornare a vivere. Pian piano abbandonò la strada e si trasferì nella loro vecchia casa, in cui i ricordi di lei non lo spaventavano più, anzi gli davano il coraggio di ricominciare.
Ogni giorno d’estate, da fine giugno ad inizio settembre, gli occhi di Mario incontrano quelli di Marta. In una muta complicità, lei danza di fronte alla fontana di piazza Leandra, tenendo il suo sguardo fisso su una particolare finestra, quella che nasconde Mario.
Mario ha otto anni ed già innamorato.
Ad ogni passo di Marta, Mario ha come un sussulto, un tremito incontrollato. Se l’amore esiste, è ciò che lui sente per lei. Non può esserci alcun dubbio.
Marta non ha mai visto Mario, forse lo immagina diverso da come lui realmente è. Non sa se Mario sente la stessa cosa che lei sente per lui. Ma non le importa, lei danza per lui.
La vita di Mario e Marta si trasformò in un susseguirsi di incontri clandestini. Lei adduceva con l’altro le scuse più impensabili per vedersi con Mario. Lui era più fortunato: non aveva bisogno di addurre scuse, con partner che non aveva mai desiderato di avere, per incontrarsi con Marta.
In Mario tornò a rivivere prepotentemente il desiderio di avere un figlio, un figlio dalla sua donna. Ma come fare a dirglielo, lei non aveva mai voluto parlarne.
– Sono incinta!- esordì Marta, un pomeriggio, mentre stavano seduti sul divano della loro vecchia casa.
Mario la guardò senza parlare.
– È tuo, ne sono sicura!- continuò.
Mario la fissò senza parlare.
– Lui già lo sa. Gli ho detto che torno con te!- spiegò lei.
Mario aveva gli occhi sgranati e non parlava.
– Se ho fatto bene i conti, dovrebbe nascere a luglio. Sono fortunata, almeno evito di farmi parte dell’estate con la pancia. Quando avremo il prossimo, sarà il caso di programmarlo. Non mi piacciono le donne incinte in costume da bagno, turbano il mio senso estetico!
Marta ora si prendeva gioco di Mario, che, nel frattempo, aveva iniziato a tormentare il telecomando della televisione cambiando canale con una rapidità degna solo dei più grandi videodipendenti.
Ogni giorno d’estate, da fine giugno ad inizio settembre, c’è un fatto che riempie la vita di Mario. Marta si affaccia su Piazza Leandra dall’archetto che la separa da San Giovanni. Tutti nella piazza sanno che Mario è innamorato di Marta, ma solo pochi immaginano che lei ogni giorno si metta vicino alla fontana, proprio sotto la finestra di Mario, perché le piace l’idea che lui la guardi.
Mario guarda Marta lottando con la tentazione di correrle incontro e dirle che lui esiste e ciò che lo fa esistere è lei.
Mario ha otto anni, troppo pochi perché Marta si accorga di lui.
Marta ha dieci anni e non si vergogna di essere innamorata di un bambino che passa il tempo a guardarla ballare nascosto dietro una finestra.
Quando nacque, la bambina aveva i capelli ricci, come quelli di Mario ed un nasino impertinente come la madre. Insieme a Marta, Mario guardava la bambina incredulo di vedersi arrivato a quel punto.
Ma fu quel giorno, quel preciso giorno, tra tutti quelli che esistono compresi tra giugno e settembre, che Mario corse. Corse veloce come un fulmine, corse più veloce di quando correva dalla piazza del Conservatorio, per via Granari fino a piazza San Giovanni e poi, via, sotto l’archetto che dà su piazza Leandra dove viveva, in una delle vecchie case che la circondano, con la mamma, trascinandosi dietro pesantissime buste della spesa.
Stavolta Mario corse scendendo le scale, corse veloce verso la fontana che stava in mezzo alla piazza. Davanti alla fontana c’era Marta che ballava. Quando Mario, col fiatone, fu di fronte a Marta, non disse nulla, le allungò semplicemente la mano e lei gliela strinse.
Insieme si diressero verso l’archetto che porta a San Giovanni ed insieme lo varcarono, lasciandosi piazza Leandra alle spalle.