Premio Racconti nella Rete 2015 “L’impero delle ombre” di Enrico Valdes
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Vaga la mente in confusi abissi
Come allo specchio la mia immagine riflessa, distesa su un letto disfatto, il capo oltre il bordo, le braccia ripiegate all’indietro.
I capelli sfiorano il pavimento, le palpebre sono serrate, la bocca socchiusa.
Una luminosità opalescente mi avvolge nella stanza in penombra.
Un essere ambiguo mi grava sul petto, il suo sguardo è malvagio, la sua ombra incombente.
Dal fondo irrompe una forma paurosa.
Ha occhi bianchi e sogghigna.
Incubo, orrore, cieca violenza.
Mistero.
Mi alzo col cuore pulsante, la finestra è chiusa, non so se sia giorno o notte. Mi vesto lentamente, nel silenzio che mi circonda.
L’angoscia dell’incubo non cede.
Voglio uscire di casa.
Ecco la porta.
Esco fuori, ha piovuto ma ora è sereno.
Pochi i passanti alla periferia del paese, qualcuno mi saluta, rispondo, ma non so chi sia.
Ho superato da poco gli ottant’anni, così mi dicono, e ho quella malattia peggiore del cancro, l’Alzheimer, che mi ha distrutto.
Ha demolito i miei ricordi, i miei affetti e, quella che ero, ora non sono più.
Solo a tratti ritornano sensazioni del passato, nomi, voci e memorie.
Amavo un marito che quasi non rammento, ho figli di cui non so ripetere il nome. Talvolta la malattia mi dà breve tregua, ma subito mi riprende, mi afferra di nuovo, e il mio cervello si oscura, senza scampo.
All’inizio davo poco peso alle amnesie, ci ridevo sopra.
“Sarà l’età.” mi dicevo. Ho cominciato poi a dimenticare le cose più importanti, scambiavo parole giuste con altre incongrue, uscivo con il parapioggia anche se c’era il sole, custodivo il portafoglio tra le pentole della cucina.
I figli mi fecero visitare da uno specialista, e la diagnosi fu quella il cui nome non voglio ripetere.
Le cure furono inefficaci e progressivamente peggiorai.
Ero dolce e fiduciosa, divenni diffidente e permalosa. Quando mio marito morì, di certo anche a causa della pena per me, conobbi la depressione e non mi interessai più di nulla.
Volevo seguirlo, ma come?
Passarono anni inutili e dolorosi, divenni un peso per la famiglia. Stavo chiusa nella mia stanza, inebetita davanti al televisore, non volevo muovermi, e gli amici erano oramai a me sconosciuti.
La religione, che sempre mi aveva confortata, divenne una cosa inutile e indifferente.
Mi hanno portata, per i miei ultimi anni, nel paese dove sono nata.
Qui sto meglio, sono più serena e ho qualche sprazzo di lucidità.
Posso uscire all’aperto, e cercare nei profumi del giardino qualche frammento di me stessa.
Aromi d’erbe, di fiori, di legna bruciata mi riportano indietro. Ma dove? Tutto è sfuocato.
Chi ero? Con chi trascorrevo le mie giornate?
Oggi, invece, so dove andare.
Mi è tornata alla mente una casa al limite del bosco, forse so ritrovarla.
Laggiù qualcosa mi chiama, e vado sicura.
Dalla strada principale giungo, senza fatica, a un sentiero di terra umida,
ghiaia e ciuffi erbosi, lo seguo, costeggiando un ruscello.
Alzo lo sguardo alla volta celestrina e mi sento ebbra.
Sono felice come non mi capitava da anni.
Cammino, e non so quanto a lungo.
Il cielo è luminoso, e nuvole vanno lente, senza sosta.
Un albero imponente sembra sfiorarle e, d’un tratto, la casa compare.
Eccola!
È quella del mio ricordo. Mi fermo, la osservo, la scruto.
D’improvviso è buio.
Ora le finestre sono illuminate, nessuno intorno, nessun rumore.
Su una pozza d’acqua si riflettono le fiamme di luce di un lampione.
Ne sono attratta, ma ho paura.
Paura dell’ignoto.
Paura di ciò che mi verrà incontro.
Paura di cosa troverò.
Dopo la pioggia è giorno,
cumuli si allontanano
lenti nel celeste azzurro;
immensa d’albero la chioma
grigia nuvola oscura,
e cela casa al limitar del bosco.
Nel denso verde è notte,
finestre alte si accendono
nella sconosciuta dimora,
nessuno intorno, silenzio;
su velo d’acqua capovolta lanterna,
riflessi vetri, liquide fiamme.
Mi attrae quel sogno,
ma oltre non oso;
paura d’incontrar l’ignoto,
surreale mistero,
giorno e notte,
svelar non so.
Ma voglio entrare, entro.
Che bello! Mi avvolge un profumo conosciuto: in fondo alla cucina mia nonna mi tiene in grembo, mi insegna a stendere la pasta su un tavolo di marmo, spruzzato di farina, e io giro la manovella di quella macchinetta da dove, lentamente, esce il nastro odoroso di grano.
Gira e gira e la stanza si riempie di bambini, i miei fratelli, i miei cugini, e tutti ridono, mi prendono per mano e corriamo nella stanza dei giochi.
La mia bambola ha occhi di vetro, che si spalancano quando la sollevo e si chiudono quando la metto a dormire.
Ora invece sono più grande, il mio corpo è cambiato, mi guardo allo specchio mentre provo una camicetta nuova. Mamma è al mio fianco, siamo felici e parliamo, ma non capisco le sue parole, voglio toccarla, ma lei scompare.
Vorrei chiamare mio padre, ma non ne ricordo più il nome, non ricordo più il suo viso. Sono colpevole? Dovrò essere punita?
D’incanto però questa nuvola di tristezza si dirada, tra poco vedrò lui.
È Stefano, verrà a prendermi per portarmi via.
Sono una donna oramai e la mia vita sarà con lui, tutti i giorni della nostra esistenza.
Si apre una porta.
Eccolo, viene da me, per me sola. Il mio cuore galoppa, lui mi abbraccia, mi stringe, ci baciamo e voliamo insieme in un sogno.
Ho un abito bianco, un anello all’anulare, e lui mi è vicino.
La marcia nuziale si diffonde dall’organo alla navata della chiesa, dai banchi tutti ci ammirano mentre raggiungiamo il portone.
Su di noi una pioggia di petali bianchi.
Sento un brivido.
Una donna sconosciuta mi si avvicina, ha in mano uno specchio, me lo mette davanti: i miei capelli sono grigi, la pelle grinzosa, lo sguardo spento.
Voglio urlare, ma il mio sposo mi tiene stretta e avvicina le sue alle mie labbra.
Ho vergogna, mi rifiuto, mi sottraggo con forza, e cado a terra.
Ora è tutto silenzio.
“È qua, l’ho trovata!”
La gente accorre e i fasci delle torce si concentrano su di lei.
“Questa era la villa dei suoi nonni. Chissà come c’è arrivata, dista più di un chilometro dal paese!”
“Era una bella casa, ma sta crollando e dovranno demolirla. Al suo posto costruiranno un supermarket.”
“Mamma, come stai? Rispondimi!” implora la figlia ansante.
Ma lei non la può più sentire.
Buongiorno Enrico, la delicatezza del suo racconto mi ha particolarmente colpita. Una poesia piena immagini che, sebbene affronti una tematica forte, non ha l’insostenibile peso della malattia di cui parla. Un punto di vista diverso che ruba l’inconsistenza delle ombre per tessere una trama leggera. Ribadisco che mi è piaciuto molto e aggiungo che l’equilibro tra evocazione, narrazione e descrizione è – secondo me – perfetto.
Questo genere di scrittura mi piace, asciutto, veloce, essenziale ma non quando c’è bisogno di poesia. Hai messo tanta poesia, dolce ed amara.
Bravo Enrico mi complimento.
p.s. se ti va leggi il mio racconto, “Io non lavoro” sarei curiosa di avere il tuo parere 🙂
Cara Lidia, grazie per il suo apprezzamento. L’idea del racconto mi è venuta osservando un quadro di Magritte (L’impero delle ombre 1954) su cui ho scritto dei versi riportati nel testo.
L’argomento basilare è il ricordo, qua demolito dalla malattia. Se volesse nel racconto potrà trovare un ulteriore riferimento a un pittore romantico.
Un saluto Enrico Valdès
Correggo: “L’impero delle luci” è il titolo del quadro di Magritte. E.V.
Cara Liliana, hai interpretato bene il racconto, che nasce da un’ispirazione poetica. La poesia arriva all’essenza del sentimento e dell’emozione, dove forse non possono altri mezzi espressivi.
Ho letto con piacere il tuo racconto che scorre leggero e coinvolgente. Mi piace quel: “Vorrei…” ripetuto. Complimenti!!
Grazie Enrico mi fa piacere ti sia piaciuto io tengo molto a questa storia 🙂
Racconto delicato che tratta con leggerezza un argomento duro come un macigno. Mi piace la parte del ricordo nella casa della nonna, quelle pennellate di vita ricordate a sprazzi. Capisco il riferimento al supermarket, ma personalmente non lo avrei riportato, stacca troppo con la poesia di prima e la successiva morte della protagonista.
Poetico e tenero. La frammentarietà delle frasi, piuttosto pericolosa in un racconto, qui funziona benissimo e rende splendidamente sia il personaggio che il momento che attraversa. Complimenti.
Nel leggerlo mi sono chiesta a più riprese: è capitato davvero e l’autore dà voce ad una persona a lui vicina che non c’è più? Mi sono convinta di sì per l’intensità con cui riesce a far ripercorrere l’esistenza di quella persona dal momento in cui la fa entrare nella casa nota ma sconosciuta. Prosa e poesia insieme non sono facili da gestire è un doppio registro, ma questo è un racconto e la poesia c’è finita in mezzo o questa è una poesia ed il racconto c’è nato intorno… Chissà ?!
A differenza di quanto ho fatto con altri racconti questa volta non ho letto gli altri commenti e questo per poter giudicare senza lasciarmi condizionare… Devo dire che mi ha colpito molto, per il registro stilistico essenziale e poetico, ma anche incalzante e frammentato e per quel modo assolutamente personale con il quale sei riuscito a guidarci attraverso sentieri e ricordi… Fino a un luogo che, quasi miracolosamente, resiste al tempo e alla malattia… Ancora per un po’… Complimenti. Sarei curioso di conoscere il tuo parere sul mio “La Torretta di Guardia”