Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2015 “Apri quel cancello” di Daniela Barone

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015

Io ero seduta all’ultimo banco, Lei era alle prime file. In mezzo a noi tante persone. Era una di quelle occasioni in cui preferivo stare da sola e in disparte, quella mattina poi il cielo non aiutava, si era già messo a piovere da un pò e il freddo pungente del mese di febbraio continuava ad insinuarsi inevitabilmente nelle mie ossa. Dall’alto del suo pulpito il prete continuava la sua messinscena e il mio pensiero cominciava a sganciarsi da quel poco di reale che c’era attorno a me, forse l’anima è davvero qualcosa di diverso dal corpo pensai, forse la mia anima ogni tanto ha bisogno di liberarsi e vagare senza un senso, senza uno scopo preciso. Non partecipavo ai loro gesti, non ne capivo il senso e quindi rimasi seduta tutto il tempo fino a quando non mi resi conto che era tutto finito e che ognuno di loro, come quando al cinema, alla fine di un film danno i titoli di coda, lentamente escono dalle loro file e si dirigono verso l’uscita. Ritornata in me, mi alzai anch’io, finalmente ero fuori e potevo respirare di nuovo, tutti si accalcavano attorno ai parenti del morto e parevano sinceramente dispiaciuti, ignari quasi che da lì a poco c’era chi sarebbe di nuovo tornato a tradire la moglie, chi avrebbe fatto ancora carte false per scavalcare il migliore amico in un lavoro, chi in tutti i modi si sarebbe letteralmente venduto per un soldo in più. E così cominciai ad avviarmi alla mia auto che avevo parcheggiato poco distante da lì, quando Lei si avvicina, mi prende per un braccio e mi sorride. Mi sentii subito sollevata. Poche persone avevano quell’effetto su di me, starle vicino mi faceva sentire bene, bastò uno sguardo per capire che aveva avuto, nella sua testa, i miei stessi pensieri. Ma quel giorno non arrivammo subito alla mia auto, camminavamo piano e per quella strada stretta che ogni tanto si apriva su qualche corte di palazzo più vecchio che antico, un’apertura diversa colpì la nostra attenzione. C’erano due cancelli all’interno, neri con punte dorate. Senza parlare entrammo, varcato il primo che era aperto decidemmo di attraversare anche il secondo, al di là del quale non si vedeva nulla, vi era qualcosa di indefinito dopo quel cancello e noi volevamo sapere cosa fosse. L’unico colore che i nostri occhi percepivano era il grigio, in tutte le sue tonalità, quasi fosse una foto in bianco e nero. Ma quel cancello non voleva saperne di aprirsi, sembrava chiuso a chiave sebbene non avesse una serratura, allora cominciai a spazientirmi e mi voltai indietro come per andarmene quando Lei che non si era affatto persa d’animo mi propose addirittura di scavalcarlo. Chiuse di forza il primo cancello per non farmi andar via, aveva già preso ad arrampicarsi quando ecco che un rumore di ferro vecchio ci indicò che il cancello, grazie a chissà quale strano meccanismo, prese ad aprirsi. Attraversato, senza esitazione anche il secondo cancello, che si chiuse alle nostre spalle, ci rendemmo conto di essere sole, in un posto sconosciuto dove l’unico rumore era il crepitio delle foglie secche sotto i nostri piedi. Lentamente tutto apparve più chiaro, la fitta foschia cominciò a diradarsi, davanti a noi cinque viali alberati di splendide magnolie dai fiori rosa si diramavano in altrettante possibili direzioni. Ora la scelta toccava a noi. Mi fidavo del suo istinto e così feci scegliere Lei, mi prese la mano e mi condusse nel secondo viale dove le magnolie, ai suoi lati, erano le più alte e il rosa dei fiori era così intenso da sembrare quasi porpora. Così mi disse, a me invece apparivano tutti uguali, i suoi occhi vedevano ciò che io non ero ancora in grado di vedere.

Prendemmo a camminare lentamente sempre senza parlare ma tenendoci solo per mano, finalmente raggiungemmo la fine di quel viale e ciò che si presentò davanti a noi ci lasciò letteralmente a bocca aperta. Una lunga spiaggia di sabbia dorata che la luce di un sole pomeridiano rendeva quasi rossiccia era bagnata da un mare limpido le cui onde, prima di giungere alla fine della loro corsa, si infrangevano su una fila di scogli neri posizionati ad una decina di metri dalla riva. Lei mi lasciò la mano e la portò alle labbra per la meraviglia, le si appannarono gli occhi dall’emozione, aveva riconosciuto il suo mare, era tornata nella sua terra. Nel cielo un’aquilone volava libera, spinta soltanto dal vento, il filo che avrebbe dovuto tenerla ancorata a qualcosa di reale fluttuava libero nell’aria, la leggerezza di quel posto invase le nostre membra regalandoci un momento di pura gioia. D’istinto seguimmo l’aquilone e dopo aver fatto pochi metri cominciammo a sentire una musica che via via si faceva sempre più forte confondendosi con urla di bambini che giocavano a rincorrersi. In particolare, un ragazzino biondo rideva felice mentre un altro più grande, dall’espressione apparentemente imbronciata cercava di afferrarlo, in disparte un uomo li seguiva attentamente preoccupato che non si facessero male. Ci trovavamo ad una festa con saltimbanchi e giocolieri, ovunque si sentiva odore di zucchero filato e sparse qua e là bancarelle di legno con ogni tipo di dolciume o giocattolo. Una bambina dai lunghi capelli neri scelse con decisione il suo giocattolo preferito, una bambola bellissima con un vestito da principessa, la strinse forte a sé e guardò i genitori con aria soddisfatta.

In quel posto il tempo pareva indefinito, non ci trovavamo da nessuna parte in particolare ma come sospese nel tempo stesso, il principio e la fine non esistevano e da un momento all’altro avevamo la sensazione che potesse succedere di tutto. Più nulla intorno a noi, d’incanto un prato sconfinato di girasoli e un vento verso sud ci invitava alla corsa, ora si udivano solo le nostre risate libere e spensierate, esauste e piegate sulle ginocchia ci stendemmo e chiudemmo gli occhi. Ogni cosa, ogni desiderio poteva realizzarsi in quel posto.

La voce di un uomo cominciò a parlare “sono contento di averti finalmente ritrovata, ci hai messo un pò ma alla fine ci sei riuscita”. Il tono di quella voce mi era familiare, non potevo credere alle mie orecchie, non aprivo gli occhi perché temevo che così facendo se ne sarebbe andato un’altra volta, per sempre. Continuò a parlare “quando aprirai gli occhi, se vorrai, potrai vedermi e io sarò l’immagine che tu, in questo tempo ti sei fatta di me”. Pensai subito ad una foto, ritrovata per caso poco tempo prima in cui lui, giovane, bello e sorridente con una camicia bianca e il viso abbronzato, aveva l’espressione di un ragazzo di oggi, nonostante si trattasse di una foto scattata più di vent’anni prima. In quel momento il mio cuore batteva così forte che poteva scoppiarmi dal petto all’istante, mi tremavano le mani, a soccorrermi ancora Lei che me le strinse con una forza che non sapevo neanche avesse, riuscii di nuovo a calmarmi e così ebbi il coraggio di aprire gli occhi. Quante volte avevo desiderato di potermi perdere nel suo abbraccio come quando ero bambina eppure lui non era lì, avevo compreso quello che per tanti anni continuavo a rifiutare, la sua assenza per troppo tempo aveva distrutto la mia anima, l’accettazione della sua assenza ora la faceva risvegliare.

Le presi il palmo della mano, qualche settimana prima avevamo scherzato sulla lunghezza di un’ipotetica linea della vita, sottile e spezzettata, in effetti spesso avevo avuto l’impressione di aver vissuto in  equilibrio come fanno i funamboli, cercando di proteggermi dal dolore come faceva l’uomo dalle ossa di vetro, bardato da decine di vestiti, chiuso sempre in casa per paura di farsi del male, scegliendo quindi di non vivere e rifugiandosi, invece in una vita immaginaria. Pensai che se è vero che la sensibilità nasce dal dolore, è pur vero che molti sono pronti a calpestarla, a usarla contro di te, a farti sentire diverso e debole. Prendere coscienza della propria ricchezza d’animo è un processo così lungo e difficile ma quando ciò avviene nulla potrà abbatterti e si avrà la sensazione di poter girare, a proprio piacimento la propria vita come una palla di vetro per cambiare prospettiva, paesaggio ogni volta che lo si desidera realmente.

Era giunto il momento di tornare indietro, per entrambe e ci ritrovammo nuovamente, al principio dei cinque viali alberati. Cosa sarebbe successo se avessimo, invece del secondo viale, imboccato un altro? In un’altra circostanza, probabilmente il dubbio avrebbe preso il sopravvento sugli eventi, straordinari, di quel giorno ma non fu così, quello che i nostri sensi percepivano in quel particolare momento era una tale pace che non sentivamo la necessità di porci ulteriori domande. D’improvviso di nuovo la foschia che avvolgeva i due cancelli, stavolta spalancati, ci indicavano la via del ritorno. Raggiungemmo, finalmente la mia auto, il freddo era quello di prima ma un bel calore aveva invaso il nostro corpo. Misi in moto e partii, la strada davanti a noi ci indicava soltanto la via di casa.

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