Premio Racconti nella Rete 2015 “Celìa” di Irene Corda
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Ho una storia da raccontare, ma non è la mia storia. O forse in parte lo è, non so.
Un anno fa volai fino al Guatemala e poi mi diressi verso sud con i mezzi che mi capitavano; attraversai l’Honduras, il Nicaragua, il Costa Rica e Panama.
Viaggiai quasi sempre utilizzando gli autobus che, insieme ai taxi, sono l’unico mezzo di trasporto pubblico nel centro America perché non esistono ferrovie. Gli autobus centroamericani si chiamano chicken bus e sono vecchi scuolabus gialli che vengono rivenduti dagli Stati Uniti in tutto il centro America. Vengono usati come mezzi di trasporto da uomini, donne, bambini e animali .
Fra i passeggeri ci sono moltissimi ragazzi e bambini che vanno a scuola, tutti vestiti nello stesso modo. Ci sono anche giovani madri che salgono sull’autobus con un bambino in collo, uno per mano e talvolta un terzo nel pancione. Altre donne, che vestono con coloratissimi costumi locali, usano questi mezzi per andare al mercato.
Un giorno, viaggiando su uno di questi autobus, una ragazza giovanissima dai capelli neri e lisci che le si erano attaccati alla fronte a causa del sudore si sedette sul sedile accanto al mio. Era incinta e il suo sguardo sembrava perso nel vuoto. La sua espressione era quella di una persona stanca e rassegnata. Era evidente che qualcosa non andava, stava male, il suo respiro affannoso dopo molti minuti non accennava a calmarsi. Le chiesi allora che cosa avesse e se potevo fare qualcosa per aiutarla.
Mi rispose che non aveva bisogno del mio aiuto. Mi spiegò che il suo bambino stava per nascere e che sarebbe scesa al prossimo centro sanitario che avremmo trovato lungo la strada.
I centri di assistenza sanitaria centroamericani sono una specie di piccoli ospedali e la loro funzione è prevalentemente legata alla ginecologia, dato l’alto numero di nascite.
Improvvisamente disse: “Raccontami la tua storia” “La mia storia? Io non ho una storia da raccontare” “Andiamo, tutti hanno una storia da raccontare”. Le dissi allora che lavoravo in Spagna e che scappavo, appena possibile, per viaggiare. Le raccontai brevemente del mio lavoro, della mia famiglia e della mia città, lei mi rispondeva annuendo. Senza che glielo chiedessi iniziò a raccontarmi in modo animato la sua vita.
Aveva diciassette anni e viveva in una piccola città insieme a sua madre. Lavorava in una fabbrica di vestiti ma era stata costretta a licenziarsi a causa della gravidanza. Il padre del bambino era morto cinque mesi prima, lasciandola a soli 17 anni a dover crescere un bambino da sola.
Lanciò un’occhiata fuori dal finestrino e poi mi disse che doveva scendere. Si alzò dal sedile, si avvicinò alla portiera, e guardandomi mi salutò con la mano.
Decisi che non potevo lasciarla da sola, presi il mio zaino e corsi verso l’uscita.
Lei era già scesa e aveva percorso qualche metro verso l’entrata del centro di assistenza, non si era accorta della mia presenza così la chiamai e lei si girò verso di me.
“Che cosa fai?” mi chiese.
“Ti voglio accompagnare”
“Grazie”, guardai la sua mano, stava tremando.
Ci fecero accomodare in un piccolo ambulatorio dove Celìa ebbe il suo bambino poche ore dopo il nostro arrivo. Io le tenni la mano per tutto il tempo.
Bella bella Irene, storia semplice di un gesto grande!:-)
Le parole sono talmente piene di vita che rapide pennellate ne disegnano i contorni. Potrebbe essere approfondita, mi è venuto da pensare, ma nel contempo è già completa così, come se fosse raccontata da un bambino che non si perde in descrizioni inutili ma sintetizza la sostanza. Tipo “Hai bisogno di me?” “Ci sono.” Dalle fessure filtra una bella storia molto più lunga, logicamente adeguatamente stretta in un “racconto breve”.