Premio Racconti nella Rete 2015 “Storia di un tale qualunque” di Clara Manneschi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015STORIA DI UN TALE QUALUNQUE O di come il signor John Smith cambiò drasticamente vita
Il signor John Smith lavorava da più di dieci anni come dipendente d’ufficio presso Affari & altre Burocrazie. Nessuno sapeva minimamente dove abitasse. Nessuno aveva veramente mai parlato con lui, e nessuno sapeva niente sul suo conto. Era sposato? Aveva figli? Si sentiva solo? Difficile a dirsi, perché non c’era anima viva che di lui non conoscesse solamente l’impiego. Era un ottimo lavoratore, Maestro nelle arti della fotocopiatura, Gran Poeta delle scartoffie e Campione Mondiale di tiro al cestino. Ogni mattina si fermava con la sua bicicletta di fronte al calzolaio e da lì si dirigeva a piedi fino alla stazione degli autobus, scoprendosi spesso a specchiarsi nelle vetrine dei negozi di dolci. Ormai faceva sempre la stessa strada, e chi per distrazione si fosse girato a guardarlo, avrebbe potuto sommessamente sentirlo contare. Uno, due, scalino, tre, quattro, marciapiede, svolta a destra… alla fine, arrivato alla stazione degli autobus, si rassettava ben bene i pantaloni e la giacca, si passava una mano sulla pelata lucente e, con una smorfia del viso, si stringeva la cravatta.
E aspettava.
Questo era il suo momento preferito. Aspettare l’autobus lo rendeva felice, non avrebbe potuto pensare a qualcosa di più emozionante, minuto dopo minuto l’eccitazione saliva al solo pensiero. La mattinata era grigia, ma questo non era importante. I pantaloni si erano leggermente infangati lungo il tragitto, ma questo non era importante. Dall’altra parte della strada due giovani innamorati si tenevano per mano, ma questo non era importante. Una donna cullava dolcemente il figlio, ma neanche questo aveva la minima importanza per lui. L’attesa così dolce avrebbe infine dato i suoi frutti. Perché quel fatidico mezzo, l’avrebbe portato al Lavoro. La sola cosa che per lui contasse, l’unica per cui e di cui viveva.
Il lettore potrà dunque immaginare la sua espressione, quando un ragazzino, sbucato fuori all’improvviso, gli rubò il portafogli e corse via. In un primo momento l’uomo pensò che non avrebbe di certo potuto abbandonare il luogo in cui si trovata, ma poi ricordò che nel portafogli teneva il suo speciale tesserino del DSS: Dipendente Scelto e Selezionato, e senza neanche accorgersene si ritrovò a correre dietro a quella piccola ombra.
L’uomo correva, correva sempre più forte. Le sue gambe si piegavano come mosse da una remota eco. I suoi piedi neanche ricordavano l’ultima volta che avevano calpestato il terreno con tale veemenza. I muri della città, i grattacieli, per la prima volta sembravano schiacciarlo. Il signor Smith sembrò ridursi ad un’impalpabile sottiletta d’uomo. Il percorso diventata sempre più ostile man mano che si ritrovava a incespicare tra viuzze, piccole strade sconnesse, soffocanti incroci e infine, un vicolo cieco.
Si fermò un attimo a riprendere fiato, mentre grosse gocce di sudore stilavano dalla pelle liscia della fronte e della nuca rasata. Si sentiva talmente confuso, perso e desolato, che in un primo momento non si accorse della graziosa allodola azzurra che aveva spiccato il volo da un punto poco distante. Ora, chiunque si fosse trovato in un’analoga situazione avrebbe pensato di essere diventato pazzo. Oppure avrebbe potuto accogliere ognuno di quegli strani avvenimenti, come un segno mandato dall’Alto. Il signor Smith non era abbastanza lucido per fermarsi a riflettere, ma mentre un groviglio di pensieri si contorceva nella sua testa, i suoi occhi erano rapiti da tutt’altra visione: la piccola allodola azzurra stava risalendo in fretta verso il cielo – poteva quasi sentire il suo canto ascendente e melodioso –, si fermò per un istante lasciandosi solleticare dai pochi raggi del sole, poi si voltò e cadde. Puntava a terra come un peso morto, inarrestabile. Minacciava di cadere proprio davanti a lui, che guardava la scena impotente e assolutamente sbigottito. Il suo istinto lo spinse a tendere in avanti le mani, ma la piccola allodola sembrava aver già scelto il suo tragitto. Ed ecco l’asfalto era a pochi centimetri dal suo becco, che la Bella si voltò nuovamente verso il cielo e scomparve.
Quando il signor Smith sollevò lo sguardo da terra, sul muro del vicolo cieco, una piccola porta era segnata col gesso. Rimuginava ancora sull’accaduto: aveva letto più di una volta di tale comportamento tipico della specie pennuta. Era il prematuro segnale del sopraggiungere della Primavera. Qualcosa di nuovo e straordinario stava per accadere.
Si avvicinò lentamente al muro di cemento e premendo il dito sul riquadro si accorse che quello si spostava con facilità, mentre una stretta fessura luminosa si apriva in quell’omogeneo grigiore.
I suoi occhi furono improvvisamente pieni di luce, ciechi, mentre una brezza profumata di narcisi gli stuzzicava le narici. A poco a poco riuscì ad abituare la vista: il cielo era plumbeo ma doveva essere ancora mattina, davanti a lui un viottolo di mattoni si prolungava all’infinito, mentre i lati della strada erano affollati di estranei. Dovunque era un crogiolo di colore, e il signor Smith impiegò qualche minuto prima di capire che si trovava nel bel mezzo di un mercato, con tanto di banchi apparecchiati e stracolmi, decorazioni colorate e rumori di festa. Tutto ciò non ha alcun senso, pensò. E si chiedeva in effetti dove e come fosse finito in un luogo come quello. Man mano che si avvicinava vedeva gente sempre più strana, surreale.
Alla sua destra un uomo occhialuto e pingue gridava ostentando la merce “Cristoforo Colombo scoprì l’America nel 1492! Si faccia avanti signore! ?: 3,14159265…! Teoremi freschi!”. Andava gridando senza sosta un insegnamento dietro l’altro, teorie antiche ripetute da manuale, lezioni prese da tomi alti più di due metri. Ma nessuno lo ascoltava, era davvero troppo noioso.
Alla sua sinistra invece un banco mostrava le più svariate tipologie di specchi, che però dovevano essere rotti, perché riflettevano ciascuno un’immagine differente del signor Smith. Uno specchio ne mostrava i lineamenti corrucciati, altri mostravano espressioni estasiate, patetiche, drammatiche, spaventate, inquietanti…
Poco distante un uomo, che teneva un banco di maschere dalle fattezze umane, gridava contro di lui inutilmente: Ridammi subito quella maschera che indossi!! Non l’hai pagata!!!
Ma il signor Smith non capì cosa intendesse il venditore e affrettò il passo. Attraversò il banco di una donna dagli occhi spenti, con su scritto Sogni Accantonati, quello di due gemelli, Trionfo e Sconfitta, e ancora quello di un folle, che si illudeva di possedere la merce più preziosa. Tutti lo invitavano ad avvicinarsi, e fu in quel momento che il signor Smith si accorse di essere l’unico cliente presente. Incerto proseguì lungo il viottolo, sicuro di stare sognando. Era un sogno, un sogno così reale eppure lontano, impalpabile. Forse il ricordo di un sogno, o il sogno di un ricordo.
Fu in questo turbine di immagini, odori e flash senza senso che il signor Smith fece una serie di strani e misteriosi incontri.
Il primo avvenne con l’Anagrafe, un uomo vestito di tutto punto, con grandi baffi folti e vocione autoritario. –Chi è lei, signore?– esordì all’improvviso, – Il mio nome dice? Sì, sì, ho capito. Mi chiamo John Smith– rispose. L’uomo iniziò a controllare una lunghissima lista che arrivava fino a terra ma conteneva un solo nome. –Impossibile, a noi non risulta alcun John Smith. Qui è scritto esplicitamente che lei è Principe Johnny Naso-lungo, sovrano di Letto a Castello Superiore. Lo conferma? – l’altro era sbigottito –Assolutamente no!– rispose. – La pregherei signore, di rimanere calmo. E’ o non è questo il suo nome? – Non lo è – Mh, in tal caso non posso farla procedere oltre –
Il signor Smith era sconcertato ma voleva in tutti modi dimostrare a quel truffatore la sua vera identità: – Aspetti!- disse – Ho qui la mia carta d’identità, posso mostrargliela…Oh no –. Il signor Smith si ricordò che la carta d’identità stava ben ripiegata nel suo portafoglio, che non possedeva più. – Documenti come quelli non hanno alcun valore qui– sentenziò l’Anagrafe. – Ma che cos’è, in fondo, un nome? – le parole gli uscirono di bocca senza neanche rendersene conto, ma improvvisamente, una parte di lui sentiva l’urgentissimo bisogno di continuare quel viaggio in un modo o nell’altro. Aveva sempre usato l’arte della retorica al lavoro, per lavarsi le mani da affanni troppo gravosi: forse in quel momento la disciplina gli sarebbe stata davvero utile. L’Anagrafe si accorse del tono persuasivo con cui il signor Smith aveva formulato quelle parole e si affrettò a rispondere, severo: – Non è davvero importante, caro signore, l’insieme di lettere che compongono quello che anni addietro i vostri genitori scelsero come vostro nome di battesimo. E’ ciò che si cela dietro quel nome, l’uomo che rimane oltre le parole, tra la curva sinuosa di una J e le linee rigide di una T. Perché, a mio avviso, alla domanda Chi sei tu? Non dovremmo mai rispondere con il nostro nome –.
Il secondo incontro ebbe luogo con una vecchia fioraia, una donna davvero minuta, dall’aria gentile e dal dolce profumo di margherite. Mostrava un banco pieno di fiori, dai girasoli alle anemoni, dai cardi ai crisantemi, dai lillà alla lavanda. Ognuno di quei fiori sembrava avere un particolare significato, ognuno di quegli odori rispecchiava un’essenza profonda che non comprendeva. Ma ogni petalo dagli svariati colori, sembrava emanare piccole volute variopinte, come nebbia dolce. Il signor Smith venne subito attratto da uno splendido girasole e gli si avvicinò. –Oh signore, non si avvicini– esordì la vecchietta – Quel fiore tanto bello, simboleggia false ricchezze. Non fa per lei – l’uomo ritirandosi vide che l’anziana seguiva le indicazioni di una giovane donna, che rimaneva nascosta dietro al banco e non sapeva parlare. Lei le indicava i fiori e la vecchia li interpretava al suo posto. La giovane era davvero graziosa, dalla carnagione chiara e gli occhi cerulei e il signor Smith non riuscì a distogliere lo sguardo da quella creatura così fragile e perfetta. –A lei in particolare, signore, non può ancora avvicinarsi!– esclamò la vecchia, avvicinandosi preoccupata alla fanciulla. La giovane donna, vestita di bianco, sorrise e chinando leggermente il capo, indicò loro altri fiori. – Per lei signore – disse la donna, tornado al banco–Narciso, nuovi inizi, Bucaneve, speranza, Camomilla, forza nelle difficoltà, e Camelia, il mio futuro è nelle tue mani –. Poi la ragazza prese da sola altri due fiori e li porse al signor Smith. Le labbra della giovane si schiusero come per articolare le parole, simili a petali di rosa. Ma ancora una volta la voce era quella della vecchia: – Garofano e Non-ti-scordar-di-me, io non ti dimenticherò, tu non dimenticarmi.
Il signor Smith si allontanò, tenendo in mano il mazzetto di fiori. Non riusciva a togliersi dalla mente l’idea che quella ragazza somigliasse moltissimo alla figlia del calzolaio – davanti al quale lasciava la bicicletta tutte le mattine – che lo fissava sempre dalla vetrina, gli sorrideva e arrossiva.
Il terzo incontro avvenne con una prostituta, che giaceva addormentata su di un cespuglio di mirto, all’ombra di un albero. Era davvero bellissima, dall’appetitosa carnagione color caramello. Le lunghe ciglia nere le accarezzavano le guance, mentre i capelli, sciolti da una parte e raccolti dall’altra, sembravano indomabili e ricadevano sul collo e sulle spalle come drappeggi di velluto. Appena intravide l’uomo avvicinarsi si destò e gli sorrise. Lui si limitò a sedersi accanto a lei.
–Sono confuso– disse – Credo di essere innamorato –. La donna sorrise e lo ammonì: –Oh, mio caro, non sai proprio niente dell’amore. Vedi questo cespuglio di mirto? Simboleggia il vero amore, ma ha impiegato anni per diventare così rigoglioso. Anche l’amore deve essere coltivato e nutrito, ma prima di tutto deve essere scelto. Perché l’amore è la cosa più impegnativa e appagante che possa esistere. E’ tiepido, è sussurrato, ha la delicatezza delle cose importanti. Ma è anche forte, è un calore che ti pervade, ti inebria e ti fa sentire libero di essere tutto quello che sei, e tutto quello che potresti e vorresti essere. Trova il tuo tempo, devi ancora imparare a vivere, e l’amore è per coloro che vivono. Busserà anche alla tua porta, più presto di quanto immagini. Oppure l’ha già fatto, e non ti resta che prepararti ad aprire –.
– E come farò a capire di essere pronto? – chiese lui allarmato. Ma la donna sorrise di nuovo e sinuosa, si sollevò da terra come un angelo e si allontanò svanendo nella fiamma rosea del tramonto.
Il signor Smith si ritrovò nuovamente solo, ma in quel momento la sua attenzione era già stata attratta da un’altra immagine differente. Ormai si era allontanato dalla calca del mercato, eppure lì davanti a lui c’era ancora un ultimo banco isolato e fatiscente. Avvicinandosi ebbe la possibilità di vedere chiaramente le sembianze del venditore. Era un ometto minuscolo, a metà tra un bambino e un vecchio, non rimaneva mai più di qualche secondo nella stessa posizione e teneva costantemente le braccia tese in avanti, come inseguisse qualcosa. Non si accorse neanche del signor Smith e continuava ad esclamare concitati Oh! Che bello! Bellissimo! Stupefacente! Assolutamente meraviglioso!. Fu allora che il signor Smith si accorse che l’omuncolo aveva degli occhi spropositatamente grandi. –Cosa c’è di tanto meraviglioso? – chiese, –Tutto! Tutto! – rispose quello. –Questa foglia, non vede che bel colore brillante? Il sole così splendente! Questa formica così piccola e così forte! Il modo in cui brillano gli occhi degli innamorati! La risata di un bambino! Magnifico! –. Il signor Smith si chiese chi mai potesse essere quell’uomo che trovava meravigliose anche le cose più piccole e insignificanti, e che trovava comunque la capacità di stupirsi. Di sicuro doveva essere strano forte, perché a vedersi nessuno si avvicinava più a quel banco da diverso tempo.
FORSE SI ERANO PERFINO DIMENTICATI CHE ESISTESSE.
– Come fai a stupirti di cose tanto banali? – chiese il signor Smith. – Nulla di ciò che la vita ci offre dovrebbe essere considerato banale…Oh! Banale ci appare ciò che non ci tocca [Che bello!!], il che, è un po’ in antitesi con il vero significato della parola “vivere”. [Fantastico!] Non trovi? – l’omuncolo era riuscito a proferire queste parole con tono serio, ma senza mai smettere di tremare come una spiga di grano al vento. – Dovremmo lasciare una parte di noi stessi in ogni cosa che ci colpisce, così quelle stesse cose possono lasciare qualcosa in noi. Le cose banali non dovrebbero esistere. Dovremmo continuamente riscoprire noi stessi, solo per non far apparire banale la nostra esistenza…Meravigliosoo!!! –
Il signor Smith se ne andò, lasciando l’omino di nuovo da solo. Più procedeva avanti e più si sentiva strano e confuso. Qualcosa si stava muovendo dentro di lui, ma non sapeva dargli un nome, né una causa. Non ne intuiva la natura, né che cosa ne sarebbe scaturito. Si potrebbe dire che non avrebbe neanche percepito che qualcosa stesse cambiando, se qualcosa non stesse cambiando, in quel preciso momento.
Camminando a lungo per quel sentiero ormai sterrato continuava a non vedere nessuno, mentre una fitta foresta gli si parava all’orizzonte. Era quasi sera. Ad un tratto però vide qualcosa muoversi sul ciglio della strada, nascosta tra l’erba alta e gli asparagi: fu questo il quinto incontro. Avvicinandosi vide che altro non era che una ragazzina, aveva gli occhi velati di lacrime e il corpo in fermento. Sembrava una crisalide sul punto di spaccarsi: da fuori si può percepire solo un leggero tremito, mentre all’interno una tempesta, una metamorfosi perfetta e incontrollabile sta operando all’oscuro di tutti. – Ciao – esordì cauto il signor Smith, scostando l’erba alta. La ragazzina lo guardò negli occhi (dello stesso colore dei suoi), sembrava terrorizzata e sul punto di scoppiare, ma sussurrò solamente: – Per favore, fermati a parlare con me – . Il signor Smith, senza dire una parola, si sedette accanto a lei sull’erba, ben attento a non pestarle il vestito azzurro. – Come ti chiami? – le chiese. – Bella – rispose lei.
– Perché tremi così tanto Bella? –
– Perché ho paura –
– Perché hai paura Bella? –
– Perché ci sono cose che non posso controllare –
– Capisco. Ad esempio? –
– Beh, sono una bambina. Non riesco a controllare niente che vada oltre l’orlo del mio vestito –
– Mh. Non preoccuparti: dimmi cosa desideri, te lo potrò dare io –
– Vedi quel fiore lì? Ecco … sì sì quello. Non riesco a raggiungerlo – disse la piccola con le lacrime agli occhi.
– Ma è così vicino –
– Lo so, ma non ci riesco –
– Vuoi che lo preda io al tuo posto? –
– No, devo farlo da sola. Ci sono cose che dovrò fare da sola, non potrai sempre essere lì ad aiutarmi –
– Cosa vuoi che faccia? –
– Resta con me –
– Ma certo. Fino alla fine –
La bambina si mosse un poco, si sollevò leggermente, piegò le gambe e fu in ginocchio. Poi guardò il signor Smith: aveva negli occhi lo sguardo di chi sta facendo qualcosa di pericoloso, ma giusto, necessario. Era emozionata. Con le sue sole forse fu in piedi, mosse prima un passo, poi l’altro, con cautela. Come se il prato fosse di legno scricchiolante. Ecco a pochi metri faceva capolino quel delicato dente di leone. La bambina si chinò e lo afferrò con le dita, ma in quel momento si sentì cedere, come se una forza la spingesse di nuovo verso terra. Una sua personale gravità. Il signor Smith fu abbastanza veloce da accoglierla tra le sue braccia, prima che la testa colpisse la terra dura.
– Papà, non ci sono riuscita –
– Si che ci sei riuscita! Guarda, hai il tuo fiore –
– Allora perché sono caduta? –
– Perché sei stanca, hai fatto tutto da sola –
– Hai ragione. Ma tu eri qui? –
– Io sono qui- disse il signor Smith, poi aggiunse: -Hai visto non era tanto lontano? –
– Lo so: tutti desideriamo qualcosa, ma molti non la raggiungono. Si arrendono e non si accorgono di essere molto più vicini di quanto pensano.- Il signor Smith divenne improvvisamente muto e malinconico: quanti sogni aveva abbandonato lui? Chiuse gli occhi, e quando lì riaprii la bambina era scomparsa e il dente di leone era ben posizionato nel suo taschino. Per la prima volta nella sua vita, non ebbe paura. Non si chiese che fine avesse fatto la piccola, ne se stesse diventando pazzo. Anche se tutti quegli avvenimenti fossero stati frutto di un sogno o di un delirio irrefrenabile. Il signor Smith non si pentiva di nulla, avrebbe rifatto tutto.
Ora avvertiva uno scosciare d’acqua poco distante e si scoprì assetato. Non molto lontano infatti, scorreva un fiume e sulla riva se ne stava un vecchio. –Tu invece chi sei?– gli chiese. –Io sono te- rispose, – Sono ciò che sei, che potresti essere. Sono ciò che sei stato e che hai dimenticato. Io sono il Principe Johnny Naso-lungo, come ci chiamava nostra sorella quando eravamo piccoli. Io sono innamorato della figlia di James il Calzolaio, e amo la nostra bellissima bambina. Io non vivo per il lavoro anche se apprezzo profondamente ciò che faccio. Tu non sai più per cosa impieghi il tuo tempo. Tu vivi come se gli altri non ci fossero, e allo stesso tempo, proprio per questo, hai annullato te stesso. Tu vivi con una maschera, fino al punto da non sapere più chi rimane sotto di essa. Tu hai dimenticato tutti coloro che hai incontrato e così hai dimenticato te stesso. Ognuno di noi, fin dal momento in cui nasce, ha la possibilità di accogliere nella sua vita persone, sentimenti, ricordi ed esperienze. Così come possiamo scegliere di rifiutarle se lo riteniamo necessario. Sono le nostre scelte che determinano chi siamo, da soli non saremmo completi né minimamente costruiti. Questo fa la differenza tra essere vivi e no, essere uomini o semplicemente fantocci. Noi dobbiamo vivere, dobbiamo ardere, dobbiamo trovare il nostro equilibrio ma mai cedere. Dobbiamo scoprire, stupire e stupirci con occhi di meraviglia. Solo così possiamo accogliere ogni aspetto della nostra vita al meglio, ogni dono senza renderlo banale o scontato. – Il signor Smith sorrise: un sorriso sghembo, complice.
– Qual è lo scopo di tutto questo? – chiese.
– Farti capire che può esserci uno scopo. Che puoi vivere ogni giorno, anche nel tuo piccolo rendendolo speciale. Che puoi vivere tutti i giorni della tua vita, e non sprecarne nemmeno uno. –
– E la morte? –. Il vecchio fece una lunga pausa.
– Scoprirai che ci sono cose più determinanti della morte, più importanti della paura che si può avere di lei, e perfino più dolorose. –
Il signor Smith, adesso, sapeva esattamente cosa fare. Le parole di quell’uomo avevano penetrato il suo cuore come una lama e ora non desiderava altro che iniziare tutto d’accapo. E tutto di lui in quel momento era pervaso da una strana energia che finalmente avrebbe potuto aprirgli la mente. Adesso poteva tornare a vivere davvero.
In quel momento il suo sguardo venne attratto da una luce perfino più forte di quella che portava dentro di sé, nel profondo dei suoi occhi. –Cosa c’è dall’altra parte? – chiese. –Tutto ciò che puoi immaginare– gli rispose il vecchio. In un istante il signor Smith si tolse le scarpe e si tuffò nel fiume.
La sua figura sembrava impotente di fronte alla corrente minacciosa, ogni bracciata era un’agonia, eppure ogni metro che percorreva dava all’uomo un’energia nuova, e quelle acque così tumultuose non potevano che parergli rigeneranti. Poi ad un tratto, le sue dita si schiantarono sulla roccia dell’altra riva e, infine, RIEMERSE.
Ovviamente nessuno al di fuori di lui avrebbe mai conosciuto questa storia, nessuno avrebbe capito cosa un giorno lo spinse a cambiare vita, a riemergere dalla coltre di nebbia in cui si era nascosto. Nessuno avrebbe mai visto nulla di tutto questo, o sentito alcunché. E nessuno gli avrebbe comunque creduto.
Quindi si dirà semplicemente che il signor Smith impazzì, cambiò radicalmente, rassegnandosi alla perdita nel tesserino DSS. E che proprio quel giorno fu visto, seduto ai piedi della solita stazione, con i piedi nudi e un dente di leone stretto tra le labbra. Sorrideva. Ma questa volta non aspettava l’autobus. Aveva imparato ad essere…