Premio Racconti nella Rete 2015 “Cosa c’é dietro? (Inverno a Milano)” di Diego Piselli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2015Milano è percorsa continuamente da impulsi invisibili, che passano nei muri, sotto le strade, nell’aria e magari anche nell’acqua dei Navigli e dell’Idroscalo: dietro le vite dei residenti e dei pendolari, dietro la realtà dei ragazzi e i sogni dei vecchi scorre un incessante battito di terabyte.
Gli impulsi fanno prelevare dai bancomat gli euro nuovi di stampa, fanno scambiare le azioni in borsa ai bancari e spedire le newsletter dei grandi magazzini e degli oratori. Fanno parlare le ragazze dei call center non ancora traslocati in Albania e scambiare i messaggini degli amanti con le Emoticon.
Quasi nessuno si chiede chi- o che cosa – stia dietro questi impulsi, chi – o che cosa – governi il mormorio di sottofondo dei giorni e delle notti ambrosiani.
Pochi cercano una spiegazione, provano a capire la trama del traffico di dati.
Qualcuno ci prova per lavoro, come i ragazzi della Telecom e di Google e i poliziotti della Postale.
A loro modo provano a capire per mestiere anche gli hacker, i ladri di identità e gli spammatori professionali.
Qualcun altro cerca la direzione degli input perché è appassionato ai complotti e cerca la tana del Grande Vecchio che governa la Rete.
Ma di solito, per quelli come me, il mistero di cosa c’è dietro i miliardi di impulsi che girano per la città non vale nemmeno la pena di essere considerato.
Qualche settimana fa è successa una cosa strana.
Me l’ha raccontata un amico che lavora in un social network a Londra: è addetto al controllo del traffico italiano e, forse, gli piace spiare quello che fanno le persone (diciamo che va un po’ oltre il confine e – quando può – indaga nelle memorie dei pc e dei tablet o controlla le SIM degli smartphone).
La storia era talmente bella che mentre lui parlava io ho iniziato a prendere appunti: per la prima volta mi era chiaro che dietro il traffico di segnali sulla Rete forse c’è qualcosa.
Gli appunti sono lievitati nel mio cuore fino a che ho scritto questa cronaca.
È talmente incredibile che la tengo nel mio diario per rileggerla ogni tanto.
CRONACA.
Milano, una sera d’inverno, inizio gennaio.
Non fa molto freddo ma l’aria è sporca e una pioggia oleosa scende piano sulle case e sui taxi, coprendo con il suo mantello umido il lavoro incessante delle reti dati.
I programmi televisivi del pomeriggio sono quasi finiti e le radio mandano tanta pubblicità.
Amina, regolare in Italia, è giovane ma già un po’ vecchia: le stanno venendo gli occhi arrabbiati sotto i capelli (tanti capelli e tanto ricci): il fiato è stanco e sa di sigaretta.
Ha seguito un amore e le cose non sono andate bene, forse perché stringere nel pugno l’aria di Milano è tanto difficile quanto raccogliere la sabbia del deserto: adesso deve arrangiarsi da sola, magari arrotondando con qualche consegna non proprio legale.
La giornata di lavoro al fast food è finita: Amina si è cambiata, ha salutato il capo e le colleghe e sta tornando a casa in tram dal centro, guardando distratta lo schermo del Nokia.
Con Facebook magari arriva il contatto per una consegna.
È seduta e tiene il telefono appoggiato in grembo, sui jeans slavati un po’ attillati.
Marco è un uomo molto alto, con un principio di pancia e la brillantina: si veste sempre un po’ blasé col cappottino strizzato e gli piacciono i ristoranti di pesce a mezzogiorno dei feriali; qualche volta di sera va al bar per il torneo di scopa con gli amici imprenditori.
È uscito da un incontro d’affari da un notaio in Via San Damiano.
Viene dalla provincia di Brescia e fa l’impresario con suo fratello. Non è più sposato.
Oggi la sua società ha comprato dalla cooperativa di Bologna un palazzo sui Navigli con permesso per sopralzo e parcheggio sotterraneo: se va tutto bene in quattro o cinque anni la cosa è fatta e si guadagna qualcosa.
Per le tasse non ci sono problemi: nei paesi della Bassa ci sono tante cartiere che stampano fatture di costi per abbattere l’utile, con modica commissione.
Marco è salito in macchina e ha acceso il navigatore dell’Audi: a Milano non viene spesso e non saprebbe ritrovare da solo lo svincolo per l’A4.
Lo schermo dello MMI, però, rimane vuoto: invece della solita voce di donna si sente uno strano rumore, come quello delle scariche delle vecchie radio.
Marco si spazientisce, parcheggia ed entra in un bar a bere un caffè, mettendosi a giocare un po’ con Facebook sul telefono, mentre pensa che sabato è invitato al matrimonio di quel suo amico che ha una distilleria di grappa e sposa una cubana.
Da un’altra parte della città (bel quartiere, qualche albero e i panifici come una volta), Giulia sta pensando a cosa preparare per cena.
Suo marito è andato a prendere i bambini in piscina: è un ragazzo di quarant’anni calmo e un po’ stempiato.
Giulia è molto bella e non lo sa, ha quarant’anni anche lei e quattro figli. Non è pelle e ossa e, quando cammina, gli uomini si voltano.
Quattro figli sono tanti: è una cosa un po’ sovversiva e le colleghe in banca la trattano sempre come se avesse qualcosa da farsi perdonare.
Mentre guarda cosa c’è in frigorifero fa una pausa e scorre il suo Facebook sull’IPad.
È iscritta a tanti gruppi, anche quello della Parrocchia e quello di un partito, per quando si sente militante.
^*^*^
Tre persone diverse, che non si conoscono, stanno percorrendo lo stesso fiume di dati, navigando con le loro piccole sim card.
I minuti passano, i dati scorrono e le radio mandano i successi del cantante che è morto da poco, con un po’ di pubblicità e le parole sommesse degli speaker che parlano stando attenti alle vocali.
A un certo punto i video si appannano, iniziano a lampeggiare e succede qualcosa.
Sul Facebook di Amina compare la nuova richiesta di amicizia di un utente maschio.
Amina accetta senza pensarci e subito l’utente le manda un indirizzo: è quello di un posto in periferia, dove ci sono i depositi dei corrieri.
Dev’essere è il contatto per una consegna: è un pochino lontano e forse pericoloso, ma il Signore la proteggerà, come ha fatto altre volte.
Bisogna tornare a casa, farsi prestare lo scooter del vicino e andarci.
Marco sta verificando se la ragazza dell’immobiliare con gli occhiali da sole extra large ha accettato la sua richiesta di amicizia: è carina e gli farebbe fare bella figura.
Intanto sulla sua mail arriva un messaggio da utente cifrato: lo apre e c’è scritto lo stesso indirizzo che è arrivato a Amina.
Marco non sa dov’è il posto, ma la via e il numero gli rimangono impressi.
Paga il caffè, guardando assorto i vecchi che giocano con le slot e risale in macchina.
Senza pensarci digita nel navigatore l’indirizzo ricevuto via mail invece di quello di casa sua: questa volta l’MMI funziona e inizia a dirigere, ronzando, il percorso della macchina.
Intanto, a casa di Anna, le onde del 3G nutrono il tablet.
Facebook è pieno di inserzioni.
Una è un po’ strana e si ripete continuamente.
Non è vera e propria pubblicità e dice: “PACCO DA RITIRARE. URGENTE. ULTIMA POSSIBILITÀ”.
Sotto c’è un indirizzo, lo stesso che è apparso sugli schermi di Amina e Marco.
Il messaggio è sempre più insistente e si sovrappone alle pagine di Facebook, come quei banner che ti tocca cliccare altrimenti non te ne liberi.
Giulia sente che il richiamo le riempie il cuore.
Prova una curiosità irrefrenabile e capisce che deve andare a vedere che pacco c’è.
Sente i bambini che salgono con papà sulle scale, tornando dalla piscina.
A lui e a loro non può dire niente. Sono un po’ egoisti e già dicono che è fanatica di Facebook.
S’infila la giacca e mentre entrano scappa fuori borbottando al marito con troppa allegria: “Amore, scappo! Mi ero dimenticata una riunione a scuola”.
Non dice quale scuola, scappa per le scale e sale in macchina, inseguita da richieste di indicazioni per la cena, che non ha preparato.
*^*^*
L’indirizzo è quello di un vecchio deposito su un viale largo e male illuminato, vicino alla Tangenziale, dove corrono i furgoni colorati dei padroncini che consegnano per i corrieri.
Il posto sembra abbandonato, è buio e senza insegne.
Amina è già arrivata quando, insieme, frenano la macchina di Marco e quella di Anna.
Marco scende, un po’ frastornato.
Non capisce perché è arrivato lì.
Giulia e Amina sono deluse.
A quanto pare, non c’era proprio nessuna ragione per perdere del tempo e venire a prendere freddo.
I tre sono un po’ sospettosi.
Temono di essere stati attirati in una trappola e diffidano l’uno dell’altro.
Marco ne ha avuto abbastanza di scherzi con le donne e non vuole storie.
Giulia e Amina si osservano, scontrose, scrutandosi i vestiti.
Per un po’ non succede niente e i tre stanno per andarsene.
Poi il traffico cessa per un attimo e dall’interno del deposito si sente un rumore, prima fioco e poi sempre più forte.
Sembra un gatto che miagola ma, se si ascolta bene, il suono è troppo rotondo per essere quello di un animale.
Sul viale non c’è nessuno e il deposito è buio.
Le due donne accendono le torce dei telefonini e si precipitano verso l’ingresso, senza nemmeno guardarsi.
Marco le segue, incredulo.
La porta del deposito è semiaperta e da dentro viene odore di umido e di borse della spazzatura vecchie.
I tre entrano a cominciano a percorrere le stanze, guidati dal rumore, che non è mai cessato.
Passano in mezzo a mucchi di sporcizia e di macerie.
È una sequenza di stanzoni vuoti: ci sono solo pochi mobili rovesciati, elenchi telefonici pieni di muffa e scatoloni di documenti ingialliti.
Il suono è sempre più vicino.
Viene da un ripostiglio, dove c’è un bimbo dentro un borsone da palestra, avvolto in una coperta rossa tutta macchiata.
È cianotico e piange disperato: bisogna fare qualcosa subito.
Nessuno parla, ma la diffidenza è sparita.
Marco prende in braccio il bambino, mentre le due donne si tolgono le giacche e lo avvolgono bene, piangendo per l’emozione.
Poi si telefona al 118.
Qualche minuto ed è tutta una confusione di sirene, infermieri e volanti della polizia.
Arriva, insieme alla polizia, anche una troupe di RAI Regione.
Marco, Amina e Giulia riferiscono cosa è successo al capopattuglia della Volante.
Poi i poliziotti li invitano al Commissariato di zona per il verbale e un caffè: incredibilmente nessuno chiede loro cosa ci facevano al deposito e si perde molto tempo solo perché il sovrintendente è troppo commosso e il computer si blocca spesso.
Quando escono è tardi.
Ormai si trattano come amici e, senza bisogno di mettersi d’accordo, salgono tutti e tre sulla macchina di Marco per andare in ospedale a vedere come sta il bambino.
Lo vedono dal vetro della nursery. È inequivocabilmente lui, un bel maschietto: solo che adesso è pulito e ha un bel colore.
Non piange e dorme sereno.
Marco e le due donne escono e si ritrovano, un po’ svuotati, sul marciapiede davanti all’ospedale.
Si sono dimenticati dei telefonini ma, stranamente, non sono arrivati messaggi o telefonate.
“Ragazze, fino a stasera non vi conoscevo, ma vi devo ringraziare. Abbiamo fatto una cosa bellissima”.
Le donne ridono di cuore mentre il fiato si congela, avvolte nella giacche un po’stropicciate che hanno ancora l’odore del bimbo e della polvere del deposito.
Amina ha dimenticato la rabbia e, per la prima volta dopo tanti anni, gli occhi sono pieni di pagliuzze dorate.
Giulia pensa a cosa avrebbero fatto le colleghe e soprattutto la vicina di scrivania che veste in greige, con i tacchi alti e la circonferenza vita di un serpente magro, ma scaccia subito il pensiero, che le sembra egoista.
È lei la prima a salutare: “Ora mi sa che devo andare. Marito e figli mi daranno per scomparsa. Vi lascio il mio numero di cellulare”.
Marco sospira pensando che adesso bisogna fare un po’ di autostrada.
Amina ride, pensando a una bella colazione con le amiche e dice “Ciao, ci rivediamo”.
Da quella sera tre persone condividono un segreto e ogni tanto si sentono con WhatsApp.
Quando il messaggio arriva, sullo schermo appare una luce dorata.
La vedono solo loro.
NOTE.
Dalla Piccola Treccani ed. 1995: il termine epifanea (“manifestazione”) era usato dai Greci per indicare l’azione di una divinità che, invisibilmente presente, manifesta la sua presenza attraverso un segno.
Dal Corriere della Sera di qualche settimana fa: ieri sera a Milano per diverse ore si sono verificati problemi di connettività internet. Per tutta la durata del black out gli utenti hanno ricevuto messaggi confusi da destinatari sconosciuti.
Dal sito www.milanotoday.it: continua la gara di solidarietà per il piccolo Marco, il neonato che ai primi di gennaio è stato trovato in un deposito … i cittadini contattano il centralino dell’ospedale per offrire un aiuto, o anche solo per manifestare il loro affetto … Molti offrono somme di denaro o portano vestitini. I medici fanno sapere che il bimbo sta bene.
Ciao Diego, è un fatto di cronaca raccontato con intelligenza e con una sensibilità che non si coglie negli articoli dei giornalisti. Grazie per aver raccontato di una situazione strana, disturbi nella rete telefonica o similare, che ha portato un messaggio su tre telefonini e al salvataggio di un bimbo abbandonato in un deposito della zona industriale.
Ha il sapore di un intervento straordinario, come “Miracolo a Milano”, il film di Vittoria De Sica del 1951 (una nebbia improvvisa salvifica nelle aree di sviluppo residenziale).
Emanuele.